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Da leggere per sorridere

Post n°82 pubblicato il 03 Maggio 2011 da Ladypapaya

 

 

 

 di Ladypapaya

Un Pout - Pourri di racconti da condividere con quelli che, come me, tentano d’ironizzare sulla banalità del quotidiano, di uscire dall’annebbiamento della routine.

I racconti si riferiscono a un periodo di fervore cerebrale sopraggiunto per scongiurare quello che mio marito, simpaticamente, definisce l’incontro dei neuroni una tantum.

 Istruzioni per l’uso: i racconti che seguono devono essere letti comprendendo lo stato d’animo di chi, la mattina, inizia la giornata incontrando in bagno uno sconosciuto con il pigiama sformato, regalo di Natale dalla madre. Anche lui non mi riconosce e quel Buon Giorno mugugnato a denti stretti in realtà ha un diverso significato Con chi ho il piacere di parlare?

 

 INTRODUZIONE

 

Ebbene sì, questi racconti riguardano la mia vita e a molti non gliene fregherà granché  sapere che esisto. Tuttavia, vorrei regalare frammenti di me da spargere in giro come si fa con le ceneri di chi non c’è più.

Nonostante dalla lettura dei racconti la mia persona risulti goffa, sprovveduta e maldestra, credetemi, sono una persona normale che vive una vita normale, all’interno di un contesto normale. E’ il termine normale che assume un’inquietante valore.

Nella vita ho sentito tante volte pronunciare  la frase - Vorrei avere una bacchetta magica e far scomparire tutti -. Io al contrario sono un tipo di donna semplice: vorrei lasciare tutti al loro posto e scomparire io.

Ho definitivamente accettato che le formule magiche non esistono, non ci sono principi da aspettare, e mi sono arresa alla legge di gravità che spietatamente spinge verso il basso quelle parti di corpo che dovrebbero volgere verso l’alto.

Tuttavia riesco ancora a ironizzare su ciò che sono permettendomi di farlo anche con gli altri.

Alcune cose invece mi fanno soltanto incazzare. Una di queste è la pubblicità. Una in particolare mi fa imbestialire. Ricordate quella di una marca di biscotti  che mostra a un pubblico televisivo di rimbecilliti una famiglia allegra e festosa mentre fa colazione? In dissolvenza la loro abitazione, un mulino, sperduto nella campagna. E qui mi soffermo. Io abito in un ex mulino, abbastanza sperduto nella campagna, e la mattina appena sveglia litigo sulla scelta di chi deve scendere al piano terra dove si trova la cucina. Ci andiamo normalmente io o mio marito alternandoci per risparmiarci tre piani per scendere, tre piani per ritornare in camera e altrettanti per scendere di nuovo. Non abbiamo le facce sorridenti la mattina, soprattutto quando con il vassoio della colazione, a turno, risaliamo quelle rampe di scale con un fiatone che ogni anno peggiora. Per ora il bambino è risparmiato, perché troppo piccolo, ma ci stiamo organizzando.

A questo punto mi aspetto che il telespettatore si faccia una semplice domanda: se una famiglia al completo fa colazione comodamente seduta a tavola, senza fretta, diciamo alle otto di mattina, con brioche calde fumanti e biscottini da inzuppare nel latte, perché non inquadrano anche la domestica che dai fornelli saluta rivolta alle telecamere?

Ingannata e frustrata cerco di convincere mio figlio che la pubblicità è tutta un’illusione ma quando con il dito indica lo schermo per mostrarmi  gli ultimi giochi della play station che vorrebbe in regalo comprendo che la mia battaglia è inutile perché c’è sempre il tal amico, il compagno di scuola, insomma qualcuno che ha fregato i genitori riuscendo a farselo regalare condannandomi alla resa. Certo, se dovessi dare retta a lui mi troverei presto sul lastrico perché il più pidocchioso gioco elettronico da play station non costa meno di quaranta – cinquanta euro e chi li produce non ha altro a cui pensare che mettere sul mercato nuove versioni alla rapidità della luce. A svuotare definitivamente il mio portafoglio ci sono anche gli acquisti giornalieri delle figurine da collezionare e delle insignificanti buste sorpresa che si acquistano da giornalai sempre più confusi davanti alle richieste delle piccole sanguisughe, le scarpe da ginnastica che s’illuminano, le magliette degli eroi preferiti, le merendine che nessuno mangia e che si comprano soltanto per scovare il tal pupazzetto, i palloni firmati dai calciatori che arrivano a casa dopo aver collezionato centinaia di bollini. Potrei continuare all’infinito e credetemi sulla parola, io ce la metto tutta per non cedere, ma mio figlio riesce con una facilità stupefacente a ottenere quello che desidera ricattandomi  come uno spregiudicato malvivente. Volete qualche esempio? “in piscina non ci vengo” mi ripete settimanalmente e per farlo entrare in acqua devo supplicarlo fino a provare vergogna, “io non mangio” e il suo rifiuto m’impedisce di andare a dormire per il senso di colpa, “io i compiti non li faccio” e allora scatta il baratto: tu fai questo io ti regalo questa cosa. Insomma spesso mi sento una mamma presa in ostaggio da un moccioloso nanerottolo che vanifica il significato di donna autoritaria.

Se mio figlio riesce a mettermi all’amgolo, mio marito mi abbatte prima che suoni il gong e la realtà é così logorante che colgo l’occasione per sfogarmi: avete idea di cosa significhi quell’amnesia che colpisce i mariti davanti agli armadi?

“Amore, dove sono i calzini di lana a coste larghe? Sarebbe sufficiente chiedere “dove sono i calzini di lana” ma lui é preciso e deve specificare bene che cosa sta cercando.

“Dove sono da sempre, nel cassetto, prima anta a sinistra” urli scandendo bene le parole.

“Quale cassetto?” insiste.

E’ in momenti come questi che desidero scomparire. “Il primo in alto”.

“Nel cassetto non ci sono.”

“Guarda bene, ci sono, ci sono.”

Desideri che un fulmine lo colpisca.

“Io non li trovo. Perché le cose non sono mai dove dovrebbero essere?” Non si accontenta d’infastidirmi, deve anche insultarmi.

Ogni volta la stessa storia. Arrivo davanti all’armadio, apro il cassetto e i calzini sono lì, davanti a me.

“Ecco qui i maledetti calzini di lana a coste larghe”.

Sbuffando nemmeno ti ringrazia. Nonostante l’evidenza la ragione è sempre sua.

A proposito di calzini a me capita spesso di scoprire che sono diversamente accoppiati. Per esempio uno è blu e l’altro nero oppure uno è più corto e l’altro più lungo. Questo è il vero mistero della mia esistenza. Un calzino scompare per ricomparire un giorno modificato. E questo succede anche con i calzini di mio figlio. Sopra il comò nella sua stanza c’è una cesta piena di calzini che attendono di essere ricongiunti ai compagni scomparsi. Alcuni  attendono da anni.

Questo è soltanto un esempio di ciò che rovina le mie giornate. Io ho imparato a convivere con i miei difetti e con quelli altrui, ma certe volte desidero pronunciare la magica frase bididibodidibù e svanire avvolta in una nuvola. Anche senza nuvola andrebbe benissimo.

Quotidianità da sconfiggere ironizzando sulle proprie abitudini, sui limiti del proprio carattere, raccontando storie vere per prendersi in giro perché  credo che la comicità vada ricercata negli avvenimenti giornalieri in cui ognuno di noi è coinvolto. Un esempio: che cosa c’è di più esilarante di una donna, carica di buste della spesa, alla ricerca del cellulare che squilla insistente nello zaino? Una donna, carica di buste della spesa, alla ricerca del cellulare che squilla nello zaino consapevole che sarà quella rompicoglioni della mamma. Ammettere che in momenti come questi essere orfani sarebbe così rassicurante.

Oppure come non sbellicarsi dalle risate se tuo marito ha invitato a cena degli amici, quando avevi deciso di cenare con una pizza surgelata?

E delle vacanze rovinate da amici invadenti e dal maltempo che si abbatte sempre sui rari week end necessari per evadere? Sono costretta a raccontarvi questo: a quante persone è capitato di portare il figlio in un famoso parco divertimenti  sotto un temporale fuori stagione durato tutto il giorno? L’apice del divertimento sono state le ore di attesa sotto l’acqua per accaparrarsi tre poncho di plastica e un ombrello (altri disgraziati come noi non hanno avuto questa fortuna) e mettersi in fila per accedere all’unico gioco al coperto dove ci siamo scatenati in svariati, mortificanti, giri sul bruco mela.

La lista può proseguire all’infinito: matrimoni noiosi da cui non sempre puoi sfuggire, feste di carnevale per bambini mostruosamente insopportabili, festività natalizie divenute un obbligo a cui non riesci a sottrarti, incidenti curiosi, gaffe da dimenticare, situazioni imbarazzanti  o più semplicemente il proprio e altrui vissuto riconsiderato e raccontato per ironizzare.

Posso anche raccontare, ammesso che interessi a qualcuno, del mio rifiuto per la tecnologia. In macchina ho installato un navigatore satellitare che non so usare. Il motivo? Rifiuto di leggere i manuali per principio e quello del navigatore è oltraggiosamente voluminoso. Una volta soltanto ho impostato sul display un indirizzo e mi sono ritrovata contromano. Da quel giorno ho continuato a chiedere ai passanti le indicazioni per raggiungere una strada, anche se quasi sempre, incontri chi risponde “mi dispiace, non sono della zona”, oppure “è una strada che conosco, ma in questo momento proprio non ricordo da che parte si trovi”. In ogni quartiere quindi ci sono fuori sede e  smemorati. Ci devi fare i conti.

Il rifiuto della tecnologia riguarda anche il mio rapporto con il cellulare che uso soltanto per telefonare. Gli sms m'innervosiscono (soprattutto l’uso del T9 mi fa impazzire), la telecamera non mi serve perché non saprei proprio che diavolo fotografare, ma quello che veramente mi fa incazzare sono le suonerie selvagge e le persone che urlano al cellulare camminando avanti e indietro nei luoghi pubblici. Alla faccia della privacy ho potuto ascoltare conversazioni private con tanto di nomi e cognomi, particolari personali, liti. Di una signora sconosciuta sono venuta a conoscenza della sua malattia e del risultato delle analisi del sangue.

Una volta però mi sono divertita ascoltando la conversazione di un signore felicemente abbracciato a una giovane ragazza davanti alla vetrina di Coin. Evidentemente parlava con la moglie (il dito sulle labbra per invitare la ragazza al silenzio lo ha tradito) e la informava, dispiaciuto, di un suo ritardo in quanto bloccato  in mezzo al traffico sulla Via Appia. Un uomo fantasioso, certamente, perché ci trovavamo davanti alla Coin di Via Cola di Rienzo. Chi conosce Roma sa che questa via si trova dalla parte opposta della città.

Approfittando di questo spazio non posso tacere sulla mia avversione per l’uso di videoregistratori, macchine fotografiche digitali, pentole a pressione, forni  a microonde, computer, fax, fotocopiatrici. So di non poterne fare a meno e per questo aumentano le mie difficoltà nel loro utilizzo.

Ultimamente, cercando di comprendere un gioco scaricato sul computer per mio figlio di sei anni, mi sono sentita perfettamente, inesorabilmente, imbecille. Dopo un’ora di tentativi per prendere una chiave con la quale entrare in una certa stanza del gioco (premetto che il gioco era adatto ai bambini dai 6 anni in su e il protagonista era Topolino)  mio figlio con la sua infantile vocina, mi ha detto: “Mamma stasera chiedo aiuto a papi, lascia perdere.” Mi sono arresa all’evidenza e all’innocenza ma il giorno dopo tramite Internet ho trovato le spiegazioni del gioco. Certo, questo significa barare, ma la guerra è guerra.

Allora, coraggio, prendiamoci in giro.

Devo anche fare i conti con l’età, con quell’età di mezzo che imbarazza: se metti i pantaloni a pinocchio sei ridicola, se ti vesti con abbigliamento classico dimostri dieci anni di più. Certo in aiuto ci sono le creme, i lifting, i push up per il seno, le palestre, le tinture e le estention  per i capelli, le unghie finte, le ciglia finte, e infine il chirurgo plastico. Niente di drammatico ricorrere al bisturi. La chirurgia estetica soft interviene poco poco, giusto per togliere qualche zampetta intorno agli occhi, tirare gli zigomi, ridurre il doppio mento, eliminare le borse sotto gli occhi, stirare la pelle del collo e del decolté, svuotare il conto in banca. Niente di eclatante, soltanto un ritocchino per ridare splendore al viso e al corpo che ti hanno tradito. Una domanda: perché gli uomini con i capelli brizzolati, la pancetta, restano affascinanti? Perché non hanno la cellulite? Perché un uomo di cinquantanni può spassarsela con una ragazza di venti e vivere la sua storia con orgoglio mentre una donna non può avere come amante un uomo più giovane? Io non ci sto, come disse qualcuno molto in alto, proprio non ci sto.

Ma tornando a noi, permettetemi di  raccontare i fatti miei a modo mio.

I racconti che seguono sono pezzetti della mia vita, da leggere come si leggono i diari, dove ognuno potrà ritrovarsi in qualche situazione (seppur con alcune differenze).

Se alla fine della lettura io vi diventerò antipatica, oppure prenderete le parti dei miei parenti e dei miei amici, beh, affari vostri.

Io sono così e non intendo cambiare. Lasciatemi soltanto sfogare e sdrammatizzare.

Il mio motto è: se posso ridere di me, pensa quanto posso ridere di te!

Che dite: siete incuriositi e continuo o lascio perdere?

 
 
 
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