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« Adriano Olivetti Enrico Mattei »

Enrico Mattei: La Tragica Fine

Post n°131 pubblicato il 27 Maggio 2006 da fra.gas
 
Foto di fra.gas

 

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Biografia

Il "governo ombra" di Mattei

Attraverso "Il Giorno", Mattei preparò il terreno all'avventura trans-mediterranea, insinuandovi gradatamente sempre più ampi e decisi cenni all'apertura verso i paesi africani e del Medio Oriente, coi quali solidarizzava per l'eventuale passato coloniale ed ai quali apriva una porta (senza precedenti) per rapporti paritari, riconoscendo loro rango e dignità di stati "veri", non più di entità di seconda categoria.

Riuscì a coinvolgere in queste sue aperture molti dei famosi democristiani della Cattolica, ed attraverso questi ne raggiunse anche di altre correnti e provenienze, democraticamente tutti ponendoli in imbarazzo nei confronti dell'alleato statunitense. Amintore Fanfani dovette inventarsi il termine di "neoatlantismo" per rivestire di una qualche accettabile coloritura filosofico-politica quello che di fatto era uno sganciamento netto, e di importante contrasto, con gli interessi delle sette sorelle.

Del resto, il governo "ordinario" della Repubblica si trovava spesso a dover in pratica rincorrere e spesso giustificare, non senza affanno per entrambe queste prestazioni, la condotta irruente e disorientante dell'ottimo cittadino, il quale non agiva in base a direttive politiche, ma le suscitava.

Iniziò infatti la fase delle "corse in taxi", come egli stesso ebbe a definirle: intervistato su alcuni finanziamenti dell'Eni al Movimento Sociale Italiano, essendo sorto il dubbio che un'impresa statale così importante fosse eventualmente caduta in mano ad un filo-fascista, Mattei candidamente rispose che usava i partiti allo stesso modo di come usava i taxi, "salgo, pago la corsa, scendo". Del come li finanziasse non parlò, poiché avrebbe dovuto rivelare che occultando in bilancio i guadagni dell'ente (soprattutto quelli del metano), era riuscito a creare una quantità di "fondi neri" da far impressione. Con questi effettuava tutte le operazioni che non sarebbe stato possibile effettuare scopertamente, quindi in pratica corrompeva, comprava servizi d'ordinario non comperabili, sebbene la giustificazione addotta fosse che si trattava di un lobbismo contrapposto all'altrettanto oscuro lobbismo delle sette sorelle, ma stavolta condotto nell'interesse del Paese.

Si è detto, ma senza riscontri, che fu grazie ai fondi neri che fece approvare dal Parlamento una legge con la quale l'Eni diventava di fatto un organismo (di impervia definibilità) autorizzato a disporre delle concessioni in Italia e provvisto di carta bianca per le concessioni all'estero. Una legge davvero su misura per l'Eni, o più correttamente, per Mattei.

Poi, quasi "legibus solutus per legge", partì.

Con pazienza ricostruì i rapporti con la turbolenta Persia, ne allestì con l'ostica Libia, ex-colonia contro la quale l'Italia aveva anche combattuto guerre, stabilì un contatto importantissimo con l'Egitto, autorevole e pressoché unico interprete del mondo arabo, e trattò col Re di Giordania al modo in cui si tratta con un sovrano (rispetto, al tempo, non abituale da parte dei petrolieri anglosassoni). Fedele ad un suo intimo convincimento che gli suggeriva di comprendere i problemi dell'interlocutore prima di contattarlo, si arrischiò (non poco) ad ingerirsi nei rapporti fra l'Algeria e la Francia, che con fatica ancora la teneva per colonia. Altrettanto con la Tunisia, il Libano ed il Marocco, Mattei si occupò, non richiesto, dei loro problemi interni ed internazionali, arrivando per giunta a proporre una sorta di ente trans-nazionale che potesse pacificarli, rappresentarli nei loro rapporti col mondo occidentale ed offrire loro protezioni commerciali. Si è detto che l'OPEC abbia poi tratto più d'una ispirazione da quelle proposte di Mattei.

Fu una vera campagna di attacco al "fronte" mediterraneo, condotta con velocità e con la contemporanea presenza in più punti dell'area, a volte ai limiti dell'ubiquità, grazie alla modernissima e scintillante flotta di aerei ed elicotteri dell'Eni, superiore per mezzi e qualità degli stessi alla flotta governativa.

Fu con la Persia, con il giovane scià Reza Pahlavi, occidentalizzato quanto bastava per aprire all'antichissimo impero le porte della comunicazione internazionale, che ebbe le prime concessioni. A paragone del lavoro diplomatico intessuto per ottenerle, la montagna aveva partorito un topolino, trattandosi di concessioni di scarsissimo valore tecnico e probabilmente la loro lavorazione sarebbe stata anti-economica. Però erano le prime concessioni che venivano assegnate ad un ente non allineato con le sette sorelle e, più che rompere il ghiaccio, si era trattato di infrangere un tabù. A titolo di curiosità si nota che nella cornucopia di offerte presentate al trono di Teheran vi si potevano trovare anche non meglio definite "disponibilità" ad arrangiare un matrimonio combinato con qualche (forse ignara) sorella di Umberto II di Savoia, onde avvicendarne la triste e sterile Soraya che, crudeltà del business e della legge salica, era stata una delle più sincere sostenitrici a corte della causa di Mattei.

Lo stiracchiato accordo persiano, va detto, nasceva in un contesto assai caotico, con lo scià impegnato a difendere lo scettro contro movimenti rivoluzionari dei quali non si è smentito che ricevessero finanziamento (e forse armamento) da governi occidentali di paesi con compagnie petrolifere del cartello delle sette sorelle. Queste pragmaticamente trattavano con pari affezione i sostenitori dell'impero così come i rivoluzionari e gli altri oppositori, purché, par di poter concludere, comunque il petrolio persiano potesse finire in Gran Bretagna. La morte violenta di taluni dignitari e di alcuni funzionari tecnici persiani tendenzialmente favorevoli ad un'apertura italiana (alcuni addirittura strangolati con le mani), fu segnale alquanto esplicito della determinazione degli avversari e della loro capacità di infiltrazione. Del resto, pare ormai di comune accezione che dopo il colpo di stato del 1953, col quale il potere fu assunto da Mohammed Mossadeq, lo scià sia potuto rientrare in patria e riassumere il comando solo grazie alla CIA. Ciò malgrado, pur dimenandosi fra problemi di miseria e sottosviluppo da un lato, ed istanze teocratiche dall'altro (con la pressione del clero degli ayatollah), ed avendo quindi sempre costante necessità di un appoggio fermo e potente come quello americano, lo spirito intimamente nazionalista di Pahlavi gli suggeriva di avvicinarsi all'outsider italiano, con il quale, si è da molti sospettato, avrebbe discusso a fondo di eventuali prospettive per alleggerirsi del peso del colonialismo economico occidentale.

Che Mattei abbia effettivamente affrontato di questi temi con lo scià non è provato, ma i fatti paiono proprio dire che non sarebbe da escludere. Mattei, di suo, non smentì mai l'illazione, con questo confortando le operazioni che consolidavano il mistero sulla sua immagine di presunto occulto mediatore politico internazionale. Alcune posizioni dello scià sembravano coincidere con alcune visioni del nostro (auto)inviato, ed oltre alla lotta al colonialismo economico, parrebbe che anche l'idea di fortificare nella regione uno stato come la Persia, capace di frapporsi ai due blocchi (americano e sovietico) in reciproca avanzata, in posizione adatta a favorire un'eventuale aggregazione dei popoli arabi, sia stata ben più che condivisa da Mattei.

La via del petrolio, in ogni caso, sebbene con modalità di imprevista complicazione, era stata aperta. Altri paesi avrebbero presto interpretato l'imperiale avallo come una preventiva autorevole validazione dell'interlocutore, e le concessioni si sarebbero presto sovrapposte alle concessioni.

Ministro degli esteri del suo proprio aziendale governo, in trasferta Mattei parlava di politica internazionale per procacciare petrolio all'Italia. In patria, invece, rintuzzava gli attacchi che gli venivano rivolti a titolo talvolta più vendicativo che non combattivo. Come per il progetto di costruzione della poi realizzata centrale nucleare di Borgo Sabotino, a poca distanza da Latina, cui l'Eni - ormai senza più vincoli di oggetto sociale né di compiti d'istituto - partecipava in cordata con altre imprese (ma fu l'unica criticata). Il risultato fu che, con notevole aggravio di costi e di dilazione dei programmi, i tempi del progetto vennero a diluirsi per effetto delle polemiche interne, secondo l'arte antica e mai in obsolescenza della curiale dialettica italiana.

Ma l'Eni poteva a sua volta vendicarsi, ed è probabilmente con questa condizione d'animo che fu richiesta ed ottenuta la rappresaglia. Essendo appunto titolare di un potere poco ancora dipendente da quello politico, Mattei chiese ed ottenne la revisione della legge mineraria, per poter operare in Sicilia, dove ottenne concessioni e trovò altro petrolio. La Sicilia sarebbe stata un'importantissima vittoria interna, che Mattei avrebbe sfruttato con toni da alcuni definiti populistici, al fine di imporre la sua visione eticizzante della missione delle imprese di stato. Proprio in Sicilia avrebbe poi tenuto un famoso comizio (ché tale era divenuto, in luogo del previsto discorso di inaugurazione) il giorno stesso della sua morte, discorso-comizio che giustamente Rosi ha ricostruito con ampiezza nel suo film, correttamente riportandone i toni - ormai consueti - di romantico riscatto dalla miseria, dall'emigrazione, dall'umiliazione straniera.

Ribaltando invece le non meno vibranti polemiche sui rapporti che l'Eni intratteneva con la Libia sotto la copertura di una società minore, obbligando il governo italiano a patteggiamenti di varia natura con il suo omologo locale, ottenne una potenzialmente importante concessione nei deserti di quello stato che pareva giustificare ipso facto il machiavello adottato, lasciando senza argomenti i detrattori (e senza concessione le sette sorelle).

La capacità di brandeggio della politica italiana fece di Mattei un vero governante nell'ombra e ci si domanda, senza potersi dare agevole responso, quale sia stata e come sia inquadrabile l'effettiva situazione di potere in quel frangente, quando il responsabile di un'azienda di stato (e per questo - sebbene sui generis - una sorta di dipendente statale, della cui onestà di fondo, peraltro, non si è mai dubitato) comandava sulla parte politica dello stato (che controllava con ogni mezzo, anche con quelli meno ortodossi) decidendo per essa gli indirizzi nazionali.

L'incidente

L'incidente nel quale Mattei perì fu, almeno temporalmente, preceduto da alcuni accadimenti che, a posteriori, taluni hanno inteso interpretare come espressivi presagi.

A proposito dell'Algeria, Mattei aveva pubblicamente dichiarato che non avrebbe accettato le pur allettanti concessioni sul Sahara se non quando quello stato avesse finalmente raggiunto l'indipendenza. Ciò contrastava con una proposta appena ricevuta da parte delle sette sorelle, che disperatamente cercavano di coinvolgere l'Eni in una politica comune, ritenendo che tutto il polverone italiano fosse stato sollevato al fine di barattare migliori condizioni commerciali. Con la sua sortita, Mattei aveva invece messo in ulteriore difficoltà il cartello antagonista, obbligandolo implicitamente a schierarsi per la Francia o contro di essa, per gli indipendentisti o contro di essi. Per la prosecuzione del colonialismo economico o contro di esso. Ed un qualsiasi sbilanciamento in questo senso delle sette sorelle avrebbe meccanicamente schierato anche il governo americano.

Ricevette "perciò", una suggestiva missiva dell'OAS, un organismo armato francese ufficialmente clandestino (che comunque almeno in quella fase mostrava di avere interessi coincidenti con quelli governativi), che senza grandi perifrasi gli preannunciava le possibili funeste evoluzioni di una sua eventuale pertinacia nell'appoggiare il Fronte di liberazione algerino. Le minacce, i cui tempi e modi di trasmissione erano stati accortamente studiati, ebbero l'effetto di preoccupare Mattei, che non poté nascondere i suoi crucci alla moglie ed al capo della sua scorta, un fidato amico partigiano; questi immediatamente creò un ulteriore cordone di sicurezza attorno al dominus dell'Eni, distanziandone la scorta ufficiale composta di poliziotti e carabinieri (ed agenti del SIFAR, quantunque Mattei controllasse anche questo) e frapponendovi una squadra di altrettanto fidati amici dei tempi della resistenza.

L’8 gennaio 1962 Mattei era atteso in Marocco per l'inaugurazione di una raffineria, ma il pilota del suo aereo personale, accorgendosi di una lievissima sfumatura sonora da uno dei reattori, scoprì un cacciavite fissato con del nastro adesivo ad una delle pareti interne del motore. L'episodio, classificato come banale "dimenticanza" dei tecnici, poteva con ottima probabilità provocare la seguente dinamica: il calore del reattore avrebbe sciolto il nastro, il cacciavite sarebbe finito nel reattore stesso, che sarebbe esploso senza lasciar traccia dell'oggetto, potendo il tutto poi apparire come un "normale" incidente.

Tra la fine del settembre dello stesso anno e l'inizio del mese successivo, Mattei ricevette Leonid Kolosov, capo-centro del KGB sovietico per l'Italia settentrionale, il quale gli segnalò che contro la sua persona erano in corso progetti di "neutralizzazione".

Lasciando la moglie per partire per la Sicilia, il 26 ottobre 1962, Mattei la salutò - secondo alcune ricostruzioni - dicendole che poteva anche darsi che non sarebbe tornato.

La sera del giorno dopo, il 27 ottobre, l'aereo Morane Saulnier MS.760 Paris su cui stava tornando da Catania a Milano, precipitò nelle campagne di Bascapè, un piccolo paese in provincia di Pavia, mentre durante un violento temporale si stava avvicinando all'aeroporto di Linate. Morirono tutti gli occupanti: Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi ed il giornalista americano William Mc Hale. Secondo alcuni testimoni, il principale dei quali era il contadino Mario Ronchi (che in seguito ebbe a ritrattare la sua testimonianza), l'aereo serebbe esploso in volo.

Le indagini svolte dall'Aeronautica militare italiana e dalla procura di Pavia sull'ipotesi di attentato, si chiusero inizialmente con un'archiviazione "perché il fatto non sussiste". In seguito, nel 1997, il ritrovamento di reperti che potevano ora essere analizzati con nuove tecnologie, fece riaprire le indagini giudiziarie. Queste stavolta si chiusero con l'ammissione che l'aereo "venne dolosamente abbattuto", senza però poterne scoprire né i mandanti, né gli esecutori. Il sostituto procuratore Calia, che aveva riaperto il caso, sulla base delle sue risultanze si spinse ad affermare che "l'esecuzione dell'attentato venne pianificata quando fu certo che Enrico Mattei non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell'ente petrolifero di Stato".

Sulla vicenda è stato girato il film "Il caso Mattei" e sono stati scritti diversi libr

Post mortem

Secondo molti osservatori, la vicenda di Mattei non si concluse con la sua morte, anzi avrebbe avuto echi e conseguenze di variegata natura, nell'immediato come a lungo termine.

Innanzitutto va detto che l'incidente di Bascapé impedì di perfezionare un accordo di produzione con l'Algeria, indubbiamente un legame in potenza contrastante con gli interessi delle sette sorelle.

Inoltre, delle persone che ebbero a che fare con Mattei e con l'inchiesta sull'incidente, ne morirono alcune in circostanze misteriose.

Il caso più noto è certamente quello del giornalista Mauro De Mauro, il quale si era mostrato assai disponibile a fornire a Francesco Rosi, autore del noto film, materiale (probabilmente nastri magnetici audio) ritenuto di estremo interesse per la ricostruzione dei fatti che il regista andava raccogliendo come base documentale per la sceneggiatura. Pochissimo prima dell'incontro previsto con Rosi, De Mauro (che aveva lavorato anche a "Il Giorno") scomparve nel nulla. Ufficialmente considerato un delitto di mafia, il caso De Mauro è riemerso in tempi recenti a seguito delle dichiarazioni di un pentito, Tommaso Buscetta, il quale lo poneva in collegamento con la morte di Mattei e suggeriva che anche l'incidente di Bascapé fosse stato un "favore" reso dalla mafia a ignoti, forse stranieri.

Per combinazione, la maggior parte degli investigatori che si occuparono della scomparsa di De Mauro, tanto della Polizia quanto dei Carabinieri, effettivamente morirono a loro volta assassinati dalla mafia; il più famoso fra loro era il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nel frattempo divenuto prefetto di Palermo, e la stessa fine toccò al vicequestore Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile della stessa città.

Nel 1986, seguendo di poco un'espressiva sortita del capo del SISMI, l'ammiraglio Fulvio Martini, e nello stesso senso, Fanfani parlò apertamente dell'incidente come di un "abbattimento", definendolo forse il primo atto di terrorismo aeronautico in Ital

Cui prodest?

Se si trattò di attentato, come la maggior parte delle congetture farebbe sospettare, moventi davvero non ne mancavano a nessuno fra i più reputati "operatori" del settore.

Che le sette sorelle potessero trarre ragione di sollievo dalla morte di Mattei è, più che ovvio, quasi sottinteso: l'unico competitore in grado di metterle in difficoltà le aveva costrette a rivedere tutti gli accordi, compresi quelli già correnti, dopo il suo ingresso in questo terribile mercato. Le perdite (in realtà, i minori introiti) ascrivibili a Mattei superavano il bilancio medio di uno stato medio, e per molto meno si fanno anche guerre. La tradizionale vicinanza delle sette sorelle con il governo degli Stati Uniti, è stato detto, non consente di escludere che organizzazioni come la CIA possano aver giocato un loro ruolo.

La CIA, impegnata in una fase cruciale della guerra fredda, esattamente nei giorni in cui si chiudeva la crisi dei missili di Cuba, avrebbe avuto quindi anche altre buone ragioni per eliminare Mattei, che con la Russia aveva allestito una linea commerciale (rompendo l'embargo politico): oltre a dare un monito a chi avesse inteso fare affari con Mosca, avrebbe potuto inviare con l'attentato un'espressiva ingiunzione anche alla stessa capitale sovietica, impegnata nel braccio di ferro missilistico, disturbandola nel suo approvvigionamento finanziario-energetico. E per altro verso, taluni a posteriori hanno intravisto diretti avvertimenti in alcuni interventi politico-giornalistici di poco precedenti, divulgati dalla stampa americana, con i quali si rimproverava all'Italia di esser venuta meno ad impegni di lealtà derivanti dall'Alleanza Atlantica, dal diktat e addirittura dall'armistizio di Badoglio.

Su altri versanti, dalla Francia l'OAS (Organisation Armée Secrète) aveva buoni motivi per frapporsi all'evoluzione politica algerina cui tanto Mattei andava contribuendo. Intanto la morte di Mattei impedì, come si è detto, il perfezionamento di un importante accordo, e inoltre venne meno una voce che ispirava alla popolazione come ai notabili locali la frattura con Parigi, facendo loro intravedere spiragli di beneficio derivabili dall'eventuale gestione diretta delle risorse petrolifere, al momento condizionate, se non proprio governate, dalla Francia.

Ma, non intendendo privarci di edificanti richiami patriottici, occorrerà notare che a più riprese sono state formulate ipotesi riguardanti anche eventuali moventi interni, italiani, autoctoni. Nel 1962 Mattei non era solo l'ago della bilancia del potere italiano, era proprio il potere; era il titolare monarchico di uno stato interno allo Stato, che quantunque agente per conto dello Stato (e non si ha motivo di dubitare che davvero intimamente e sinceramente così fosse), era antitetico allo stato in quanto lo controllava (solleticandolo nell'attitudine alla corruttela) e lo surrogava (sollevandolo dall'onus di attribuirsi un indirizzo economico, programmatico e di relazioni estere).

Ad ogni modo, chiunque sia stato il mandante, pare ormai alquanto probabile che l'esecuzione sia stata affidata ad esperti locali, e che la casalinga mafia abbia quindi prestato il suo braccio (non è dato sapere in cambio di cosa) offrendo appetibili servizi i cui potenziali acquirenti erano numerosi.

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