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Messaggi del 27/05/2006

 

Enrico Mattei: Gli inizi

Post n°133 pubblicato il 27 Maggio 2006 da fra.gas
 
Foto di fra.gas

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Biografia

http://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Mattei

 La giovinezza

Nacque ad Acqualagna in una famiglia modesta, figlio di Antonio, un sottufficiale dei Carabinieri. La famiglia vorrebbe trasfersi a Camerino per permettere ai figli di studiare, ma deve ripiegare su Matelica.

Per lo studio, nell'età giovanile Enrico non fu mai nè costante nè proficuo e il padre lo affidò a Cesare Scuriatti (1921), proprietario di una fabbrica di letti metallici. Qui Enrico iniziò a lavorare quindicenne come apprendista operaio, addetto alla macchiatura di finto legno, acquisendo così dimiestichezza con vernici e solventi e dando il via alla sua storia e alla storia economica italiana.
A sedici anni venne assunto alla conceria Fabretti di Giovanni Fiore e, in quattro anni, divenne direttore. Nel 1929 la fabbrica si fermò e Mattei si traferì a Milano, dove lavorò come venditore alla Max Meyer e come rappresentante generale per la Lowenthal.

Nel 1934 aprì una sua azienda chimica, la Icl, producendo vernici per l'industria, con la quale riscosse un certo successo fino a divenire fornitore delle Forza Armate (durante un inchiesta sui profitti in tempo di guerra, egli ammise di non essere stato completamente pagato e di non aver mai saputo la destinazione degli oli forniti). Sposò la ballerina austriaca Margherita Maria Paulas, che lo accompagnerà per tutta la vita. Prende contatto con la Famiglia marchigiana, un'associazione in cui incontrò Marcello Boldrini, docente di materie statistiche all'Università Cattolica di Milano.

Non esistono documenti provanti le sue simpatie giovanili:entrò nei circoli di amici che daranno vita alle correnti democristiane di sinistra. Si iscrisse al Partito Popolare e successivamente rimase sempre legato all'area democristiana.

Durante la seconda guerra mondiale partecipò alla Resistenza come partigiano "bianco" (fra quelli, cioé, che si riferivano all'area politica cattolica). Entrò nel Corpo Volontari per la libertà, il braccio militare del CNLAI, nel 1944, dimostrandosi subito un valido condottiero ed un buon diplomatico, essendo l'uomo di riferimento della Democrazia Cristiana nel CLN; in tale attività consolidò le sue amicizie con altri partigiani che sempre sarebbero restati per lui persone di riferimento nell'ambito della politica, e proprio fra i suoi compagni di Resistenza cercò gli uomini fidati cui affidare la sua sicurezza personale. Nelle file partigiane incontrò anche Eugenio Cefis che sarà suo collaboratore e successo nella guida dell'ENI.

Alla liberazione di Milano, il 5 maggio 1945, sfilò in testa al corteo, insieme a Raffaele Cadorna, Luigi Longo e Ferruccio Parri.

L'arrivo all'Agip

Nel 1945 fu nominato da Cesare Merzagora commissario liquidatore dell'AGIP, ente statale per la produzione (estrazione), lavorazione e distribuzione dei petroli. Il suo scopo, secondo incarico, sarebbe dovuto essere quello di liquidare e chiudere l'azienda pubblica, ma non appena insediatosi, analizzò le capacità operative ed i potenziali di sviluppo dell'ente, convincendosi che avrebbe potuto essere una risorsa di grande utilità per il Paese.

Solo pochi anni prima l'Agip aveva infatti scoperto giacimenti di gas in Val Padana, aveva realizzato tratte di metanodotti ed aveva costituito la SNAM, una società dedicata, per gestire il nascente mercato del gas. Solo l'anno prima, nel 1944, era stato scoperto un importante giacimento alle porte di Milano. Tutto, aveva concluso Mattei, pareva dischiudere ad un florido sviluppo, anziché ad una mesta rassegnazione.

Superando perciò le resistenze di alcune componenti politiche, soprattutto le sinistre (che vedevano nel "carrozzone di stato" un retaggio della politica economica del fascismo e dunque ne urgevano la soppressione), ma anche aggirando talune manovre ostruzionistiche di esponenti democristiani filo-americani, riuscì invece a risollevare il destino della società, che ben presto avrebbe imposto all'attenzione non solo nazionale come esempio della capacità italiana di risollevare il capo dopo la distruzione economica ed industriale subita a seguito della guerra.

L'esperienza di Mattei all'Agip prima, ed all'Eni poi, sarebbe stata infatti una storia per molti aspetti avventurosa, talvolta oscura, quasi sempre sopra le righe, ma è in ogni caso una delle vicende in assoluto più singolari della storia recente italiana, che tuttora con vivezza desta profondo interesse, riflessioni e dubbi, tutta incentrandosi sulla figura di un uomo decisamente non convenzionale.

Le concessioni

Apparsagli mentre abilmente "traccheggiava" prima di "riconsegnare i libri", rinviando la liquidazione, una delle prime "scoperte" di Mattei fu il sistema delle concessioni governative, con le quali lo stato concedeva a soggetti privati (in genere aziende, e l'Agip era una di queste, senza privilegi derivanti dall'essere di proprietà statale) il diritto di eseguire scavi nel sottosuolo al fine di verificare la presenza di giacimenti petroliferi o di gas; la concessione includeva ovviamente il diritto di estrazione e di vendita del prodotto, con la cessione di una "royalty" percentuale allo stato.

Il sistema, con poche differenze, era simile in tutti i Paesi.

Le concessioni sarebbero state il campo di battaglia di Mattei, in Italia e all'estero, il terreno di scontro sul quale sarebbe stata celebrata la sua gloria e sul quale sarebbe ricaduta la sua polvere, la sabbia del deserto.

In Italia le concessioni erano quasi esclusivo appannaggio di aziende straniere, con una certa prevalenza di quelle americane. L'Agip, inoltre, non veniva preferita fra le aziende concessionarie (la modalità di rilascio della concessione aveva un profondo contenuto discrezionale governativo), malgrado la professionalità e la capacità tecnica del personale e delle strutture fossero invidiabilmente d'avanguardia.

 
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Enrico Mattei

Post n°132 pubblicato il 27 Maggio 2006 da fra.gas
 
Foto di fra.gas

 
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Biografia

Il risveglio dell'Agip e quello degli americani

Poiché formalmente si doveva registrare una sorta di "unità nazionale" sul proposito di chiudere l'ente, pur variamente motivata, non era possibile richiedere al governo ulteriori stanziamenti per la ricerca e per il perfezionamento dei mezzi, né certamente avrebbe avuto senso richiedere nuove concessioni, perciò Mattei cominciò a lavorare con intensità per verificare se in taluna delle concessioni correnti vi fosse la possibilità di raggiungere qualche risultato.

Riunì quasi segretamente lo staff tecnico, e dopo che lo ebbe ben ammonito sul poco ortodosso motivo dell'iniziativa (che violava le finalità del suo incarico), principiando qui uno stile che presto ne sarebbe divenuto caratteristico, concentrò le forze aziendali su quei siti di ricerca nei quali poteva essere più probabile il ritrovamento di qualche materiale. Richiamò in servizio, pressoché in segreto, l'ingegner Carlo Zanmatti, che era stato epurato perché repubblichino, il quale aveva buona conoscenza dei meccanismi interni dell'ente e dello stato delle ricerche, e ne fece un suo consigliere quasi privato.

Nel frattempo, operò acrobatici artifici contabili per destinare - non proprio palesemente - fondi alla ricerca, attingendoli dagli stanziamenti ricevuti per l'ordinaria amministrazione. Chiese ed ottenne, con incontri poi rimasti nell'aneddotica del personaggio, prestiti diretti da parte di alcune banche (un ente statale veniva di solito finanziato, al massimo, dalla Cassa Depositi e Prestiti) che, malgrado la sorpresa ed alcune diffide di fonte politica, furono ben liete di concedergli fiducia e soprattutto denaro, col quale tappò buchi di bilancio che qualcuno avrebbe poi definito "agghiaccianti".

Saputo dell'attivismo del nuovo leader, però, pronte giunsero al governo pressioni poco velate da parte delle compagnie americane, accompagnate peraltro da presunti dossier spionistici coi quali si insinuava il sospetto che Mattei fosse animato da simpatie social-comuniste forse maturate, si sosteneva, durante la Resistenza (in America stavano per venire gli anni del maccartismo, ma già allora l'accusa suonava gravissima); si agì dunque a 360° affiché il "pericoloso destabilizzatore" fosse allontanato. Il governo, aprendo a queste pressioni, degradò Mattei a consigliere d'amministrazione e lasciò che gli americani potessero rimescolare a loro piacimento i programmi di concessione, permettendo loro gratuitamente di usufruire degli studi tecnici effettuati dall'Agip negli anni '20 che li aveva portati avanti a proprio costo (o meglio, a costo dello stato).

La riscossione dei debiti politici

Il ridimensionamento di ruolo ovviamente non fu gradito dall'interessato, il quale, oltre all'istinto del comando aveva sviluppato anche una devozione per la causa per la quale aveva in pratica abbandonato la sua industrietta personale, consegnata al fratello Italo. Insieme all'amico di vecchia data Marcello Boldrini, Mattei aveva però da tempo cominciato a frequentare i salotti buoni della capitale lombarda, conoscendovi (o ritrovandovi, dopo l'esperienza partigiana) buona parte del mondo della politica che si riferiva alla locale Università Cattolica e che comprendeva esponenti di primo piano della DC.

Uno fra questi, Ezio Vanoni, seppe cogliere la proposta di Mattei, cui l'esperienza partigiana aveva insegnato il valore del carisma, di barattare l'appoggio di Mattei per le vicine elezioni con un'ampia delega alle materie petrolifere. De Gasperi vinse largamente le elezioni anche grazie alla capillare e coscienziosa campagna svolta in suo favore da Mattei (anch'egli eletto), e nominò Boldrini presidente dell'Agip e Mattei suo vice. Boldrini mostrò di gradire la possibilità di delegare il comando al suo vice.

La riconquistata autorità si rivelò in questa fase non poco utile per inoltrare a Roma pressioni sempre più insistenti, ed ora autorevoli, affinché all'Agip venissero riconosciuti da un lato altro tempo prima di confermare od annullare definitivamente la liquidazione, che restava sospesa, dall'altro lato nuove concessioni per la ricerca.

Parallelamente, non mancò di sottolineare come certe concessioni ad aziende straniere (nella specie: americane) fossero eccessivamente sbilanciate sia nella misura delle royalty, sia nelle modalità di uso delle concessioni stesse, giacché molte di esse restavano inusate, in parcheggio, inutili per i concessionari e sottratte alla ricerca di altri (ad esempio, dell'Agip).

Il "rinascimento" dell'Agip

Nel 1948 Mattei ebbe il suo successo: a Ripalta, nel Cremonese, seguendo studi che erano già in fase avanzata, fu scoperto un giacimento di gas naturale. Un inconsueto risultato per un ente che ufficialmente stava per essere liquidato, molto significativo nell'instaurato conflitto con le compagnie d'oltreoceano.

Dotato di un particolare acume per la gestione della comunicazione e dell'immagine, Mattei seppe dare all'evento un'importanza dosata, nell'attesa di alzare la spada per nuovi successi che attendeva di lì a poco, e questo occorreva anche per sondare le reazioni politiche e per preparare con gradualità i politici a dover rivedere talune posizioni. Dinanzi alle ancora unanimi intenzioni di liquidazione, la scoperta fu presa come un fuoco di paglia che, sì, sconcertava, ma che non avrebbe mutato il corso delle decisioni già assunte.

Nel giro di un anno, invece, i ritrovamenti di giacimenti di gas, da parte di un'Agip ormai galvanizzata dall'energico comandante, da parte di un personale coeso e dedito, in cui la paura dei licenziamenti era stata sostituita dall'aperto entusiasmo, sarebbero ripresi in molte zone della piana del Po e sino al 1952 fu un'escalation di risultati positivi che "costrinsero" il governo ad autorizzare la costruzione di nuove reti di gasdotti che avrebbero lambito le aree periferiche industriali di Milano. Le industrie milanesi ricevevano quindi direttamente in tubazione risorse energetiche a basso costo.

In realtà, non si trattava di una vera rivoluzione industriale, quantunque Mattei, per la detta abilità comunicativa, ciò volesse far ritenere: l'apporto di gas era proporzionalmente scarso, le tecnologie per il suo utilizzo erano ancora poco diffuse perché potessero esservi economie di scala ed i costi per l'ente - malgrado gli artifici - erano pesanti. Ciò nonostante, il "gas di Milano" pregiudicava molte precedenti certezze sui destini dell'ente.

Il "metodo Mattei"

L'Agip lavorava su ciò di cui disponeva con tutte le energie disponibili; Mattei la supportava in tutti i modi, ortodossi o meno, in cui si rendesse necessario.

Restò, ad esempio leggendario il "metodo Mattei" per la realizzazione dei gasdotti, opera che considerava di massima urgenza per poter porre i politici dinanzi al fatto compiuto: poiché per gli attraversamenti dei terreni si doveva necessariamente pattuire l'istituzione di una servitù di passaggio con i rispettivi titolari, che in genere erano piccoli contadini o comuni, i tecnici dell'Agip e della Snam ricorsero a tutti gli espedienti di cui furono capaci per accelerare al massimo le... "trattative".

Decine di chilometri di tubazioni furono stese nottetempo o sul far dell'alba ufficialmente con la scusa di scavare una piccola traccia, "solo" per verificare se il terreno fosse idoneo, in realtà stendendo direttamente i tubi. Centinaia di sindaci furono svegliati di soprassalto dalla notizia di questi abusivi passaggi, quando questi erano già stati completati e risotterrati. Molti altri non seppero del passaggio dei gasdotti se non molto tempo dopo, magari incidentalmente. Lo smagliante sorriso di Mattei amabilmente placava molti dei protestatari, e dove non fosse bastata la coinvolgente prospettiva di assunzioni, pattuiva infine pratici indennizzi monetari, in genere modesti, spesso rateali. Dove sacerrime ragioni d'onore impedivano di risolvere la questione monetariamente, si ricorreva al finanziamento "riparatore" di opere pubbliche (magari restauri) che di fatto pubblicizzavano positivamente il nome dell'Agip, costituendo una sponsorizzazione i cui ritorni di immagine erano senza paragone.

La rete era stata stesa a tempo di record; con risparmi teoricamente impensabili.

Nel frattempo, su pressione di una lobby evidentemente orientata dalle compagnie americane, stava per essere varata dal Parlamento una legge che tanto andava a favore degli interessi di quelle, che fu detto fosse stata direttamente preparata negli Usa. Mentre il morale andava conseguentemente logorandosi, inaspettato venne un colpo di scena memorabile.

Cortemaggiore

Nel 1949, a Cortemaggiore fu trovato il petrolio.

In realtà non era un grande giacimento, anzi era una piccola riserva assai poco influente nel fabbisogno energetico nazionale, e per di più era petrolio di bassa qualità, ma ancora una volta la sua innata capacità di orientamento della comunicazione, con slanci di genio e trucchi da venditore, consentì a Mattei di guadagnare trionfalisticamente per settimane le prime pagine dei giornali, dove, con allusioni e mezze verità (ma senza bugie) dichiarò grosso modo che si era all'inizio di una nuova era.

Mentre le azioni dell'Agip salivano a valori senza precedenti, l'Italia distrutta dalla guerra si illudeva di aver trovato una fonte di riscossa, una speranza di riscatto la cui intima delicatezza avrebbe fatto tremare chiunque con animo onesto si fosse trovato a doverla gestire. Il governo De Gasperi ricevette dunque dalla scoperta un'importante iniezione di fiducia popolare che dovette rimborsare a Mattei con l'intervento sulla legge in discussione in Parlamento.

Il disegno di legge in discussione fu stravolto e si tradusse in una legge assai diversa da quella inizialmente proposta. Le aspettative americane venivano tutte deluse: lo stato riservava per sé le concessioni per le ricerche in Lombardia e nell'Italia settentrionale, rilasciando ai competitori concessioni scarsamente apprezzate in altre parti della Penisola. Contemporaneamente, prendeva corpo anche normativamente l'idea di un super-ente (l'ENI) che avrebbe dovuto coordinare tutte le politiche energetiche del Paese.

Il petrolio italiano, che sarebbe stato presto trasformato nella "Supercortemaggiore, la potente benzina italiana", piaceva all'elettorato di destra (ed alle sue nostalgie nazionalistiche) come a quello di sinistra (già conscio della contrapposizione agli interessi americani) e la figura di Mattei cominciava a volteggiare sull'onda di una popolarità di prima grandezza, non limitata dalla condizione di parlamentare schierato.

Ma, seminascosto dal successo propagandistico del petrolio, il gas metano non dava minori soddisfazioni. Una successione di scoperte fece crescere la produzione a livelli inattesi, portando il metano al centro degli interessi del gruppo.

Sei zampe sei

Nel 1952 l'Agip, che evidentemente non era più in liquidazione, si dotò del noto logo con il cane a sei zampe, e si preparò alla prossima nascita dell'Eni, Ente Nazionale Idrocarburi. Mattei si preparò conseguentemente ad assumere il ruolo di responsabile nazionale delle politiche energetiche, governando il neonato organismo senza mai essere posto in discussione, prima da presidente, poi anche da direttore generale. L'Eni era Mattei, e Mattei era l'Eni.

Stabilizzò la linea operativa dell'Agip, per la quale ammodernò la struttura organizzativa e quella commerciale, curando che la qualità del servizio potesse primeggiare a livello internazionale (e anche in questo alimentando l'aneddotica: come Giulio Cesare ispezionava personalmente le sentinelle, così Mattei personalmente andava a far benzina in incognito, premiando o licenziando, secondo quanto riscontrato). Importò dall'America il concetto di motel e fece istituire i MotelAgip.

Costituì la Liquigas, azienda che avrebbe rivoluzionato la distribuzione del gas, operando anche una campagna di prezzi che gli garantì brevemente una quota di mercato rapidamente rilevante e sfruttando la capillarità della rete distributiva dell'Agip per poter agire con una politica d'impresa nazionale e non locale, come in genere era per i concorrenti.

Riesumò una linea produttiva della chimica per l'agricoltura che da tempo era passata in second'ordine negli interessi dell'ente, usando il metano nella produzione degli idrogenati usati nei fertilizzanti, anche per questi applicando prezzi di assoluta concorrenzialità. Della chimica "ordinaria", si sarebbe occupata un'altra azienda, l'Anic.

Su partecipate sollecitazioni (che avrebbe definito "commoventi") di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, Mattei rilevò la fabbrica Pignone, il cui fallimento aveva inginocchiato mezza Toscana, e la mise a servizio delle esigenze meccaniche del gruppo con il nome di Nuovo Pignone.

Le aziende principali del gruppo erano quindi sei: Agip, Snam, Anic, Liquigas, Nuovo Pignone, Romsa. La fiamma, pareva dire il logo, era Mattei.

Sette sorelle sette

Mentre su dati gonfiati ed enfatizzati si fondavano certezze di ripresa industriale, la reale situazione evidenziava un fabbisogno petrolifero piuttosto inquietante, cui l'esiguo prodotto di Cortemaggiore non poteva affatto sopperire. Ma i rapporti con le compagnie americane, che di fatto detenevano un monopolio di fornitura sull'Europa occidentale, si erano incrinati non molto tempo addietro e resi tesi con la recente legge petrolifera, perciò il prodotto importato costava caro e non sempre era di buona qualità (richiedendo quindi una maggiore e più costosa lavorazione).

Mattei, che non amava sottostare a limiti imposti e dunque non se ne imponeva egli medesimo, studiò a fondo i comportamenti commerciali delle principali compagnie del settore e decise che in fondo non gli mancava nulla per gettarsi nella competizione sul mercato dell'approvvigionamento. Se le concorrenti si erano riunite in un cartello detto delle "sette sorelle", l'Eni poteva ben muoversi da indipendente, cercando nuovi accordi e nuove alleanze commerciali per svincolare l'Italia dal ricatto commerciale straniero.

I primi tentativi furono contorti e fallimentari: tentò di insinuarsi in una crisi di rapporti fra una compagnia inglese e la Persia, ma nonostante l'offerta di condizioni economiche migliorative, fu escluso dalle trattative.

Altre porte trovò pregiudizialmente sbarrate, sinché ebbe notizia di essere oggetto di una campagna di discredito ordita a sua insaputa da parte delle sette sorelle e decise di ponderare meglio e più accuratamente la sua azione.

La spia della riserva

Il fabbisogno petrolifero cresceva, man mano che crescevano le industrie, ed in Italia l'Agip non trovava altri giacimenti. Un'azione di approvvigionamento diretto diveniva ogni momento più necessaria, ma visti i casi precedenti, occorreva far sì che non si ripetessero gli errori di ingenuità e che in qualche modo l'Eni fosse anche "lo" Stato (avesse cioé un rango capace di mettere fuori gioco le battutistiche definizioni che lo dipingevano come un "petroliere senza petrolio"), ed anche "uno" stato (fosse cioé autonomo e non legato alle decisioni governative od al supporto logistico-tecnico statale).

La prima prudenza fu quella di farsi accompagnare dal beneplacito dell'opinione pubblica, cui avrebbe poi raccontato il memorabile paragone del piccolo gattino che si appossima alla ciotola in cui mangiano alcuni grandi cani (le sette sorelle) che gli dànno una zampata e lo allontanano: l'Italia era quel piccolo gattino, che si avvicinana ad una ciotola in cui c'era petrolio per tutti, ma ne veniva allontanato con un calcio. La storiella suscitò una simpatia per l'uomo, un rigurgito di orgoglio nazionale ed un principio di antiamericanismo che gli garantirono un appoggio in patria dinanzi al quale sarebbe stato difficile negare l'appoggio governativo alle sue iniziative.

La seconda mossa fu la fondazione di un quotidiano, Il Giorno, cui delegare l'immagine e la comunicazione del gruppo. A questo si affiancarono nel tempo anche due agenzie di stampa. Se la politica aveva i suoi megafoni, anche Mattei li aveva. Ed a fianco all'informazione, allestì una struttura diplomatica impressionante, con l'apertura di numerosissimi uffici di rappresentanza (e uffici stampa) che operavano come consolati dell'azienda italiana ed i cui titolari erano rispettati come ambasciatori; questi preziosi inviati operavano quindi anch'essi nell'informazione, a tutt'altro livello. Si è detto che l'Eni si fosse dotata anche di una rete di informatori le cui attività sarebbero state più prossime a quelle delle spie che non ai compiti classici degli "advisor", oppure che si è avanzata l'ipotesi che i servizi segreti italiani avessero garantito importanti forme di collaborazione; sta di fatto che se ciò fosse accaduto - e non se ne ha prova - si sarebbe trattato di un ulteriore adeguamento dell'azienda italiana alle consuetudini delle sette sorelle, delle quali è provato da esse stesse (che produssero documentazione spionistica anche al governo italiano) che abbiano avuto importanti attività di intelligence.

Il terzo passo fu un'accurata selezione dei paesi interlocutori, stavolta scelti fra quelli più poveri, coi quali avrebbe potuto giocare la carta della comunanza di difficoltà economica e della franchezza di rapporti. Rispetto alle nazionalità delle sette sorelle, inoltre, l'Eni rappresentava un paese non colonialista (o almeno non noto per tale) e la duttilità di Mattei in trattativa, insieme all'esperienza maturata ai tempi in cui era rappresentante (ebbe a raccontare egli stesso), gli consentiva di presentarsi con produttiva apertura negli stati del Medio Oriente cui offriva una prospettiva di rilancio e royalties (e condizioni giuridiche circa la proprietà dei suoli e dell'estratto) assai più interessanti di quelle delle sette sorelle. Questa favorevole apertura, del resto corrispondeva ad un suo radicato ideale di "capitalismo etico", sviluppato negli anni di Milano, dei salotti della Cattolica, per il quale interpretava il suo ruolo come doverosamente soggetto ad un incontestable principio di equità sostanziale.

Il quarto movimento, a dirla in termini sinfonici, fu quello di pianificare anzitempo e con cura le difese dialettiche, polemiche, legali e politiche contro i prevedibili attacchi che di lì a poco gli sarebbero giunti da parte americana. Fu il passo più saggio, degno di un buon scacchista e comunque di un campione di virtuosismo, che gli permise di poter rispondere con estrema velocità e con successo alle (tutte già previste) mosse dei competitori. La sinfonia sarebbe stata ben sonora.

Era l'ora della politica estera.

 
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Enrico Mattei: La Tragica Fine

Post n°131 pubblicato il 27 Maggio 2006 da fra.gas
 
Foto di fra.gas

 

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Biografia

Il "governo ombra" di Mattei

Attraverso "Il Giorno", Mattei preparò il terreno all'avventura trans-mediterranea, insinuandovi gradatamente sempre più ampi e decisi cenni all'apertura verso i paesi africani e del Medio Oriente, coi quali solidarizzava per l'eventuale passato coloniale ed ai quali apriva una porta (senza precedenti) per rapporti paritari, riconoscendo loro rango e dignità di stati "veri", non più di entità di seconda categoria.

Riuscì a coinvolgere in queste sue aperture molti dei famosi democristiani della Cattolica, ed attraverso questi ne raggiunse anche di altre correnti e provenienze, democraticamente tutti ponendoli in imbarazzo nei confronti dell'alleato statunitense. Amintore Fanfani dovette inventarsi il termine di "neoatlantismo" per rivestire di una qualche accettabile coloritura filosofico-politica quello che di fatto era uno sganciamento netto, e di importante contrasto, con gli interessi delle sette sorelle.

Del resto, il governo "ordinario" della Repubblica si trovava spesso a dover in pratica rincorrere e spesso giustificare, non senza affanno per entrambe queste prestazioni, la condotta irruente e disorientante dell'ottimo cittadino, il quale non agiva in base a direttive politiche, ma le suscitava.

Iniziò infatti la fase delle "corse in taxi", come egli stesso ebbe a definirle: intervistato su alcuni finanziamenti dell'Eni al Movimento Sociale Italiano, essendo sorto il dubbio che un'impresa statale così importante fosse eventualmente caduta in mano ad un filo-fascista, Mattei candidamente rispose che usava i partiti allo stesso modo di come usava i taxi, "salgo, pago la corsa, scendo". Del come li finanziasse non parlò, poiché avrebbe dovuto rivelare che occultando in bilancio i guadagni dell'ente (soprattutto quelli del metano), era riuscito a creare una quantità di "fondi neri" da far impressione. Con questi effettuava tutte le operazioni che non sarebbe stato possibile effettuare scopertamente, quindi in pratica corrompeva, comprava servizi d'ordinario non comperabili, sebbene la giustificazione addotta fosse che si trattava di un lobbismo contrapposto all'altrettanto oscuro lobbismo delle sette sorelle, ma stavolta condotto nell'interesse del Paese.

Si è detto, ma senza riscontri, che fu grazie ai fondi neri che fece approvare dal Parlamento una legge con la quale l'Eni diventava di fatto un organismo (di impervia definibilità) autorizzato a disporre delle concessioni in Italia e provvisto di carta bianca per le concessioni all'estero. Una legge davvero su misura per l'Eni, o più correttamente, per Mattei.

Poi, quasi "legibus solutus per legge", partì.

Con pazienza ricostruì i rapporti con la turbolenta Persia, ne allestì con l'ostica Libia, ex-colonia contro la quale l'Italia aveva anche combattuto guerre, stabilì un contatto importantissimo con l'Egitto, autorevole e pressoché unico interprete del mondo arabo, e trattò col Re di Giordania al modo in cui si tratta con un sovrano (rispetto, al tempo, non abituale da parte dei petrolieri anglosassoni). Fedele ad un suo intimo convincimento che gli suggeriva di comprendere i problemi dell'interlocutore prima di contattarlo, si arrischiò (non poco) ad ingerirsi nei rapporti fra l'Algeria e la Francia, che con fatica ancora la teneva per colonia. Altrettanto con la Tunisia, il Libano ed il Marocco, Mattei si occupò, non richiesto, dei loro problemi interni ed internazionali, arrivando per giunta a proporre una sorta di ente trans-nazionale che potesse pacificarli, rappresentarli nei loro rapporti col mondo occidentale ed offrire loro protezioni commerciali. Si è detto che l'OPEC abbia poi tratto più d'una ispirazione da quelle proposte di Mattei.

Fu una vera campagna di attacco al "fronte" mediterraneo, condotta con velocità e con la contemporanea presenza in più punti dell'area, a volte ai limiti dell'ubiquità, grazie alla modernissima e scintillante flotta di aerei ed elicotteri dell'Eni, superiore per mezzi e qualità degli stessi alla flotta governativa.

Fu con la Persia, con il giovane scià Reza Pahlavi, occidentalizzato quanto bastava per aprire all'antichissimo impero le porte della comunicazione internazionale, che ebbe le prime concessioni. A paragone del lavoro diplomatico intessuto per ottenerle, la montagna aveva partorito un topolino, trattandosi di concessioni di scarsissimo valore tecnico e probabilmente la loro lavorazione sarebbe stata anti-economica. Però erano le prime concessioni che venivano assegnate ad un ente non allineato con le sette sorelle e, più che rompere il ghiaccio, si era trattato di infrangere un tabù. A titolo di curiosità si nota che nella cornucopia di offerte presentate al trono di Teheran vi si potevano trovare anche non meglio definite "disponibilità" ad arrangiare un matrimonio combinato con qualche (forse ignara) sorella di Umberto II di Savoia, onde avvicendarne la triste e sterile Soraya che, crudeltà del business e della legge salica, era stata una delle più sincere sostenitrici a corte della causa di Mattei.

Lo stiracchiato accordo persiano, va detto, nasceva in un contesto assai caotico, con lo scià impegnato a difendere lo scettro contro movimenti rivoluzionari dei quali non si è smentito che ricevessero finanziamento (e forse armamento) da governi occidentali di paesi con compagnie petrolifere del cartello delle sette sorelle. Queste pragmaticamente trattavano con pari affezione i sostenitori dell'impero così come i rivoluzionari e gli altri oppositori, purché, par di poter concludere, comunque il petrolio persiano potesse finire in Gran Bretagna. La morte violenta di taluni dignitari e di alcuni funzionari tecnici persiani tendenzialmente favorevoli ad un'apertura italiana (alcuni addirittura strangolati con le mani), fu segnale alquanto esplicito della determinazione degli avversari e della loro capacità di infiltrazione. Del resto, pare ormai di comune accezione che dopo il colpo di stato del 1953, col quale il potere fu assunto da Mohammed Mossadeq, lo scià sia potuto rientrare in patria e riassumere il comando solo grazie alla CIA. Ciò malgrado, pur dimenandosi fra problemi di miseria e sottosviluppo da un lato, ed istanze teocratiche dall'altro (con la pressione del clero degli ayatollah), ed avendo quindi sempre costante necessità di un appoggio fermo e potente come quello americano, lo spirito intimamente nazionalista di Pahlavi gli suggeriva di avvicinarsi all'outsider italiano, con il quale, si è da molti sospettato, avrebbe discusso a fondo di eventuali prospettive per alleggerirsi del peso del colonialismo economico occidentale.

Che Mattei abbia effettivamente affrontato di questi temi con lo scià non è provato, ma i fatti paiono proprio dire che non sarebbe da escludere. Mattei, di suo, non smentì mai l'illazione, con questo confortando le operazioni che consolidavano il mistero sulla sua immagine di presunto occulto mediatore politico internazionale. Alcune posizioni dello scià sembravano coincidere con alcune visioni del nostro (auto)inviato, ed oltre alla lotta al colonialismo economico, parrebbe che anche l'idea di fortificare nella regione uno stato come la Persia, capace di frapporsi ai due blocchi (americano e sovietico) in reciproca avanzata, in posizione adatta a favorire un'eventuale aggregazione dei popoli arabi, sia stata ben più che condivisa da Mattei.

La via del petrolio, in ogni caso, sebbene con modalità di imprevista complicazione, era stata aperta. Altri paesi avrebbero presto interpretato l'imperiale avallo come una preventiva autorevole validazione dell'interlocutore, e le concessioni si sarebbero presto sovrapposte alle concessioni.

Ministro degli esteri del suo proprio aziendale governo, in trasferta Mattei parlava di politica internazionale per procacciare petrolio all'Italia. In patria, invece, rintuzzava gli attacchi che gli venivano rivolti a titolo talvolta più vendicativo che non combattivo. Come per il progetto di costruzione della poi realizzata centrale nucleare di Borgo Sabotino, a poca distanza da Latina, cui l'Eni - ormai senza più vincoli di oggetto sociale né di compiti d'istituto - partecipava in cordata con altre imprese (ma fu l'unica criticata). Il risultato fu che, con notevole aggravio di costi e di dilazione dei programmi, i tempi del progetto vennero a diluirsi per effetto delle polemiche interne, secondo l'arte antica e mai in obsolescenza della curiale dialettica italiana.

Ma l'Eni poteva a sua volta vendicarsi, ed è probabilmente con questa condizione d'animo che fu richiesta ed ottenuta la rappresaglia. Essendo appunto titolare di un potere poco ancora dipendente da quello politico, Mattei chiese ed ottenne la revisione della legge mineraria, per poter operare in Sicilia, dove ottenne concessioni e trovò altro petrolio. La Sicilia sarebbe stata un'importantissima vittoria interna, che Mattei avrebbe sfruttato con toni da alcuni definiti populistici, al fine di imporre la sua visione eticizzante della missione delle imprese di stato. Proprio in Sicilia avrebbe poi tenuto un famoso comizio (ché tale era divenuto, in luogo del previsto discorso di inaugurazione) il giorno stesso della sua morte, discorso-comizio che giustamente Rosi ha ricostruito con ampiezza nel suo film, correttamente riportandone i toni - ormai consueti - di romantico riscatto dalla miseria, dall'emigrazione, dall'umiliazione straniera.

Ribaltando invece le non meno vibranti polemiche sui rapporti che l'Eni intratteneva con la Libia sotto la copertura di una società minore, obbligando il governo italiano a patteggiamenti di varia natura con il suo omologo locale, ottenne una potenzialmente importante concessione nei deserti di quello stato che pareva giustificare ipso facto il machiavello adottato, lasciando senza argomenti i detrattori (e senza concessione le sette sorelle).

La capacità di brandeggio della politica italiana fece di Mattei un vero governante nell'ombra e ci si domanda, senza potersi dare agevole responso, quale sia stata e come sia inquadrabile l'effettiva situazione di potere in quel frangente, quando il responsabile di un'azienda di stato (e per questo - sebbene sui generis - una sorta di dipendente statale, della cui onestà di fondo, peraltro, non si è mai dubitato) comandava sulla parte politica dello stato (che controllava con ogni mezzo, anche con quelli meno ortodossi) decidendo per essa gli indirizzi nazionali.

L'incidente

L'incidente nel quale Mattei perì fu, almeno temporalmente, preceduto da alcuni accadimenti che, a posteriori, taluni hanno inteso interpretare come espressivi presagi.

A proposito dell'Algeria, Mattei aveva pubblicamente dichiarato che non avrebbe accettato le pur allettanti concessioni sul Sahara se non quando quello stato avesse finalmente raggiunto l'indipendenza. Ciò contrastava con una proposta appena ricevuta da parte delle sette sorelle, che disperatamente cercavano di coinvolgere l'Eni in una politica comune, ritenendo che tutto il polverone italiano fosse stato sollevato al fine di barattare migliori condizioni commerciali. Con la sua sortita, Mattei aveva invece messo in ulteriore difficoltà il cartello antagonista, obbligandolo implicitamente a schierarsi per la Francia o contro di essa, per gli indipendentisti o contro di essi. Per la prosecuzione del colonialismo economico o contro di esso. Ed un qualsiasi sbilanciamento in questo senso delle sette sorelle avrebbe meccanicamente schierato anche il governo americano.

Ricevette "perciò", una suggestiva missiva dell'OAS, un organismo armato francese ufficialmente clandestino (che comunque almeno in quella fase mostrava di avere interessi coincidenti con quelli governativi), che senza grandi perifrasi gli preannunciava le possibili funeste evoluzioni di una sua eventuale pertinacia nell'appoggiare il Fronte di liberazione algerino. Le minacce, i cui tempi e modi di trasmissione erano stati accortamente studiati, ebbero l'effetto di preoccupare Mattei, che non poté nascondere i suoi crucci alla moglie ed al capo della sua scorta, un fidato amico partigiano; questi immediatamente creò un ulteriore cordone di sicurezza attorno al dominus dell'Eni, distanziandone la scorta ufficiale composta di poliziotti e carabinieri (ed agenti del SIFAR, quantunque Mattei controllasse anche questo) e frapponendovi una squadra di altrettanto fidati amici dei tempi della resistenza.

L’8 gennaio 1962 Mattei era atteso in Marocco per l'inaugurazione di una raffineria, ma il pilota del suo aereo personale, accorgendosi di una lievissima sfumatura sonora da uno dei reattori, scoprì un cacciavite fissato con del nastro adesivo ad una delle pareti interne del motore. L'episodio, classificato come banale "dimenticanza" dei tecnici, poteva con ottima probabilità provocare la seguente dinamica: il calore del reattore avrebbe sciolto il nastro, il cacciavite sarebbe finito nel reattore stesso, che sarebbe esploso senza lasciar traccia dell'oggetto, potendo il tutto poi apparire come un "normale" incidente.

Tra la fine del settembre dello stesso anno e l'inizio del mese successivo, Mattei ricevette Leonid Kolosov, capo-centro del KGB sovietico per l'Italia settentrionale, il quale gli segnalò che contro la sua persona erano in corso progetti di "neutralizzazione".

Lasciando la moglie per partire per la Sicilia, il 26 ottobre 1962, Mattei la salutò - secondo alcune ricostruzioni - dicendole che poteva anche darsi che non sarebbe tornato.

La sera del giorno dopo, il 27 ottobre, l'aereo Morane Saulnier MS.760 Paris su cui stava tornando da Catania a Milano, precipitò nelle campagne di Bascapè, un piccolo paese in provincia di Pavia, mentre durante un violento temporale si stava avvicinando all'aeroporto di Linate. Morirono tutti gli occupanti: Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi ed il giornalista americano William Mc Hale. Secondo alcuni testimoni, il principale dei quali era il contadino Mario Ronchi (che in seguito ebbe a ritrattare la sua testimonianza), l'aereo serebbe esploso in volo.

Le indagini svolte dall'Aeronautica militare italiana e dalla procura di Pavia sull'ipotesi di attentato, si chiusero inizialmente con un'archiviazione "perché il fatto non sussiste". In seguito, nel 1997, il ritrovamento di reperti che potevano ora essere analizzati con nuove tecnologie, fece riaprire le indagini giudiziarie. Queste stavolta si chiusero con l'ammissione che l'aereo "venne dolosamente abbattuto", senza però poterne scoprire né i mandanti, né gli esecutori. Il sostituto procuratore Calia, che aveva riaperto il caso, sulla base delle sue risultanze si spinse ad affermare che "l'esecuzione dell'attentato venne pianificata quando fu certo che Enrico Mattei non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell'ente petrolifero di Stato".

Sulla vicenda è stato girato il film "Il caso Mattei" e sono stati scritti diversi libr

Post mortem

Secondo molti osservatori, la vicenda di Mattei non si concluse con la sua morte, anzi avrebbe avuto echi e conseguenze di variegata natura, nell'immediato come a lungo termine.

Innanzitutto va detto che l'incidente di Bascapé impedì di perfezionare un accordo di produzione con l'Algeria, indubbiamente un legame in potenza contrastante con gli interessi delle sette sorelle.

Inoltre, delle persone che ebbero a che fare con Mattei e con l'inchiesta sull'incidente, ne morirono alcune in circostanze misteriose.

Il caso più noto è certamente quello del giornalista Mauro De Mauro, il quale si era mostrato assai disponibile a fornire a Francesco Rosi, autore del noto film, materiale (probabilmente nastri magnetici audio) ritenuto di estremo interesse per la ricostruzione dei fatti che il regista andava raccogliendo come base documentale per la sceneggiatura. Pochissimo prima dell'incontro previsto con Rosi, De Mauro (che aveva lavorato anche a "Il Giorno") scomparve nel nulla. Ufficialmente considerato un delitto di mafia, il caso De Mauro è riemerso in tempi recenti a seguito delle dichiarazioni di un pentito, Tommaso Buscetta, il quale lo poneva in collegamento con la morte di Mattei e suggeriva che anche l'incidente di Bascapé fosse stato un "favore" reso dalla mafia a ignoti, forse stranieri.

Per combinazione, la maggior parte degli investigatori che si occuparono della scomparsa di De Mauro, tanto della Polizia quanto dei Carabinieri, effettivamente morirono a loro volta assassinati dalla mafia; il più famoso fra loro era il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nel frattempo divenuto prefetto di Palermo, e la stessa fine toccò al vicequestore Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile della stessa città.

Nel 1986, seguendo di poco un'espressiva sortita del capo del SISMI, l'ammiraglio Fulvio Martini, e nello stesso senso, Fanfani parlò apertamente dell'incidente come di un "abbattimento", definendolo forse il primo atto di terrorismo aeronautico in Ital

Cui prodest?

Se si trattò di attentato, come la maggior parte delle congetture farebbe sospettare, moventi davvero non ne mancavano a nessuno fra i più reputati "operatori" del settore.

Che le sette sorelle potessero trarre ragione di sollievo dalla morte di Mattei è, più che ovvio, quasi sottinteso: l'unico competitore in grado di metterle in difficoltà le aveva costrette a rivedere tutti gli accordi, compresi quelli già correnti, dopo il suo ingresso in questo terribile mercato. Le perdite (in realtà, i minori introiti) ascrivibili a Mattei superavano il bilancio medio di uno stato medio, e per molto meno si fanno anche guerre. La tradizionale vicinanza delle sette sorelle con il governo degli Stati Uniti, è stato detto, non consente di escludere che organizzazioni come la CIA possano aver giocato un loro ruolo.

La CIA, impegnata in una fase cruciale della guerra fredda, esattamente nei giorni in cui si chiudeva la crisi dei missili di Cuba, avrebbe avuto quindi anche altre buone ragioni per eliminare Mattei, che con la Russia aveva allestito una linea commerciale (rompendo l'embargo politico): oltre a dare un monito a chi avesse inteso fare affari con Mosca, avrebbe potuto inviare con l'attentato un'espressiva ingiunzione anche alla stessa capitale sovietica, impegnata nel braccio di ferro missilistico, disturbandola nel suo approvvigionamento finanziario-energetico. E per altro verso, taluni a posteriori hanno intravisto diretti avvertimenti in alcuni interventi politico-giornalistici di poco precedenti, divulgati dalla stampa americana, con i quali si rimproverava all'Italia di esser venuta meno ad impegni di lealtà derivanti dall'Alleanza Atlantica, dal diktat e addirittura dall'armistizio di Badoglio.

Su altri versanti, dalla Francia l'OAS (Organisation Armée Secrète) aveva buoni motivi per frapporsi all'evoluzione politica algerina cui tanto Mattei andava contribuendo. Intanto la morte di Mattei impedì, come si è detto, il perfezionamento di un importante accordo, e inoltre venne meno una voce che ispirava alla popolazione come ai notabili locali la frattura con Parigi, facendo loro intravedere spiragli di beneficio derivabili dall'eventuale gestione diretta delle risorse petrolifere, al momento condizionate, se non proprio governate, dalla Francia.

Ma, non intendendo privarci di edificanti richiami patriottici, occorrerà notare che a più riprese sono state formulate ipotesi riguardanti anche eventuali moventi interni, italiani, autoctoni. Nel 1962 Mattei non era solo l'ago della bilancia del potere italiano, era proprio il potere; era il titolare monarchico di uno stato interno allo Stato, che quantunque agente per conto dello Stato (e non si ha motivo di dubitare che davvero intimamente e sinceramente così fosse), era antitetico allo stato in quanto lo controllava (solleticandolo nell'attitudine alla corruttela) e lo surrogava (sollevandolo dall'onus di attribuirsi un indirizzo economico, programmatico e di relazioni estere).

Ad ogni modo, chiunque sia stato il mandante, pare ormai alquanto probabile che l'esecuzione sia stata affidata ad esperti locali, e che la casalinga mafia abbia quindi prestato il suo braccio (non è dato sapere in cambio di cosa) offrendo appetibili servizi i cui potenziali acquirenti erano numerosi.

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Adriano Olivetti

Post n°130 pubblicato il 27 Maggio 2006 da fra.gas
 
Foto di fra.gas



Adriano Olivetti nasce a Ivrea l'11 aprile del 1901.
Il padre, Camillo, ingegnere eclettico e geniale, nel 1908 fonda a Ivrea "la prima fabbrica italiana di macchine per scrivere". Adriano, negli anni della formazione, è molto attento al dibattito sociale e politico; frequenta ambienti liberali e riformisti, collabora alle riviste L'azione riformista e Tempi nuovi ed entra in contatto con Piero Gobetti e Carlo Rosselli.
Dopo essersi laureato in chimica industriale al Politecnico di Torino, nel 1924 inizia l'apprendistato nell'azienda paterna come operaio. L'anno seguente, accompagnato da Domenico Burzio, compie un viaggio di studi negli Stati Uniti, dove visita un centinaio di fabbriche. Al ritorno, propone un vasto programma di progetti e innovazioni per modernizzare l'attività della Olivetti: organizzazione decentrata del personale, direzione per funzioni, razionalizzazione dei tempi e metodi di montaggio, sviluppo della rete commerciale in Italia e all'estero, ecc. In seguito avvia anche il progetto della prima macchina per scrivere portatile che uscirà nel 1932 con il nome di MP1.
La nuova organizzazione fa aumentare in maniera significativa la produttività della fabbrica e le vendite dei prodotti. Nel 1931 compie un viaggio in URSS con una delegazione di industriali italiani. Lo stesso anno introduce in Olivetti il Servizio Pubblicità, che fin dagli inizi si avvale del contributo di importanti artisti e designer; l'anno seguente istituisce l'Ufficio Organizzazione.
Alla fine del 1932 è nominato Direttore Generale dell'azienda, di cui diventerà Presidente nel 1938 subentrando al padre Camillo. Porta avanti riflessioni e sperimentazioni nel campo dei metodi di lavoro e pubblica, nella rivista da lui fondata, Tecnica e Organizzazione, vari saggi di tecnologia, economia, sociologia industriale.
La sua poliedrica personalità lo porta a impegnarsi non solo nel campo strettamente industriale e imprenditoriale, ma ad occuparsi anche di problemi di urbanistica, di architettura, di cultura, oltre che di riforme sociali e politiche. A Ivrea avvia la progettazione e costruzione di nuovi edifici industriali, uffici, case per dipendenti, mense, asili, dando origine ad un articolato sistema di servizi sociali. In particolare, nel 1937 dà l'avvio alla costruzione di un quartiere residenziale per i dipendenti, su progetto degli architetti Figini e Pollini. Per Adriano Olivetti l'organizzazione del territorio e le caratteristiche architettoniche degli edifici hanno una grande importanza anche sotto il profilo sociale ed economico. Nel 1938 aderisce all'Istituto Nazionale di Urbanistica e nel 1948 ne diventa membro del Consiglio Direttivo. Nel 1949 fa "rinascere", finanziandola personalmente, la rivista Urbanistica. Salito al vertice dell'Istituto con l'appoggio di un gruppo di giovani architetti (tra cui Ludovico Quaroni), dal 1950 Adriano potrà portare avanti il suo discorso sul primato politico dell'Urbanistica e della Pianificazione. A testimonianza della grande attenzione verso il rapporto fra impresa e territorio, nel 1937 partecipa agli studi per un piano regolatore della Valle d'Aosta e nel 1951 collabora con il comune di Ivrea per avviare un nuovo piano regolatore. Nel 1956 diventerà membro onorario dell'American Institute of Planners e vicepresidente dell'International Federation for Housing and Town Planning; nel 1959 sarà nominato presidente dell'Istituto UNRRA-Casas, creato in Italia per la ricostruzione post-bellica.
Tra i numerosi riconoscimenti che gli sono attribuiti vi sono, nel 1955, il Compasso d'Oro per meriti conseguiti nel campo dell'estetica industriale e, nel 1956, il Gran Premio di architettura per "i pregi architettonici, l'originalità del disegno industriale, le finalità sociali e umane, presenti in ogni realizzazione Olivetti".
Alla fine della seconda guerra mondiale l'attività di Adriano Olivetti come editore, scrittore e uomo di cultura si intensifica. Già in precedenza, assieme a un gruppo di giovani intellettuali, aveva fondato una nuova casa editrice, la NEI (Nuove Edizioni Ivrea), di fatto trasformata nel 1946 nelle Edizioni di Comunità. Con un intenso programma editoriale, sono pubblicate importanti opere in vari campi della cultura, dal pensiero politico alla sociologia, dalla filosofia all'organizzazione del lavoro, facendo conoscere autori d'avanguardia o di grande prestigio all'estero, ma ancora sconosciuti in Italia.
Durante l'esilio in Svizzera (1944-1945) completa la stesura del libro L'ordine politico delle comunità, pubblicato alla fine del 1945 dalle edizioni NEI. Vi sono espresse le idee alla base del Movimento Comunità, che fonda nel 1947, con una serie di proposte intese a istituire nuovi equilibri politici, sociali, economici tra i poteri centrali e le autonomie locali. La rivista "Comunità", che inizia le pubblicazioni nel 1946, diventa il punto di riferimento culturale del Movimento. Alla fine del '59 le Edizioni di Comunità pubblicheranno una raccolta di saggi di Adriano Olivetti sotto il titolo "Città dell'Uomo".
Per tradurre le idee comunitarie in realizzazioni concrete, nel 1955 fonda l'IRUR - Istituto per il Rinnovamento Urbano e Rurale del Canavese - con l'obiettivo di combattere la disoccupazione nell'area canavesana promuovendo nuove attività industriali e agricole. L'anno seguente il Movimento Comunità si presenta alle elezioni amministrative e Adriano Olivetti viene eletto sindaco di Ivrea. Il successo induce Comunità a presentarsi anche alle elezioni politiche del 1958, ma risulta eletto il solo Adriano Olivetti.
Urbanista, editore, scrittore, uomo di cultura; ma Adriano Olivetti è soprattutto un industriale e un imprenditore che crede nell'impresa come vero motore dello sviluppo economico e sociale.
Sul piano aziendale, guida la Olivetti verso gli obiettivi dell'eccellenza tecnologica, dell'innovazione e dell'apertura verso i mercati internazionali, dedicando particolare cura anche al design industriale e al miglioramento delle condizioni di vita dei dipendenti. Nel 1948 negli stabilimenti di Ivrea viene costituito il Consiglio di Gestione, per molti anni unico esempio in Italia di organismo paritetico con poteri consultivi di ordine generale sulla destinazione dei finanziamenti per i servizi sociali e l'assistenza. Nel 1956 l'Olivetti riduce l'orario di lavoro da 48 a 45 ore settimanali, a parità di salario, in anticipo sui contratti nazionali di lavoro. Si costruiscono quartieri per i dipendenti, nuove sedi per i servizi sociali, la biblioteca, la mensa. A realizzare queste opere sono chiamati grandi architetti: Figini, Pollini, Zanuso, Vittoria, Gardella, Fiocchi, Cosenza, ecc. Anche nel design industriale Adriano Olivetti sceglie collaboratori di grandissimo valore, come Marcello Nizzoli e - più tardi - Ettore Sottsass. Tra la fine degli anni '40 e la fine degli '50 la Olivetti porta sul mercato alcuni prodotti destinati a diventare veri oggetti di culto per la bellezza del design, ma anche per la qualità tecnologica e l'eccellenza funzionale: tra questi la macchina per scrivere Lexikon 80 (1948), la macchina per scrivere portatile Lettera 22 (1950), la calcolatrice Divisumma 24 (1956). La Lettera 22 nel 1959 verrà indicata da una giuria di designer a livello internazionale come il primo tra i cento migliori prodotti degli ultimi cento anni.
Grande cura viene dedicata anche alla grafica e alla pubblicità e la Olivetti diviene un punto di riferimento mondiale per il design industriale.
La gamma dei prodotti viene continuamente ampliata e la capacità produttiva si espande per far fronte a sempre nuove esigenze del mercato nazionale e internazionale. In Italia entrano in funzione gli stabilimenti di Pozzuoli e di Agliè (1955), di S. Bernardo di Ivrea (1956), della nuova ICO a Ivrea e di Caluso (1957). In Brasile, nel 1959 si inaugura il nuovo stabilimento di San Paolo.
Gli ottimi risultati conseguiti sui mercati internazionali con i prodotti per ufficio non distolgono l'attenzione di Adriano Olivetti dall'emergente tecnologia elettronica. Già nel 1952 la Olivetti apre a New Canaan, negli USA, un laboratorio di ricerche sui calcolatori elettronici. Nel 1955 viene costituito il Laboratorio di ricerche elettroniche a Pisa; nel 1957 Olivetti fonda con Telettra la Società Generale Semiconduttori (SGS) e nel 1959 introduce sul mercato l'Elea 9003, il primo calcolatore elettronico italiano sviluppato e prodotto nel laboratorio di Borgolombardo. Il successo imprenditoriale di Adriano Olivetti ottiene il riconoscimento della National Management Association di New York che nel 1957 gli assegna un premio per "l'azione di avanguardia nel campo della direzione aziendale internazionale".
Nel 1959 Adriano Olivetti conclude un accordo per l'acquisizione della Underwood, l'azienda americana con quasi 11.000 dipendenti a cui il padre Camillo si era ispirato quando nel 1908 aveva avviato la sua iniziativa imprenditoriale.

Adriano Olivetti muore improvvisamente il 27 febbraio 1960 durante un viaggio in treno da Milano a Losanna, lasciando un'azienda presente su tutti i maggiori mercati internazionali, con circa 36.000 dipendenti, di cui oltre la metà all'estero.


La Fondazione nasce nel 1962 ad opera di alcuni familiari, amici e collaboratori del grande imprenditore prematuramente scomparso due anni prima, con l'intento di raccogliere e sviluppare l'impegno civile, sociale e politico che ha distinto l'operato di Adriano Olivetti nel corso della sua vita.

La Fondazione, con sede dapprima a Ivrea e subito dopo a Roma, si propone "la promozione, l'incoraggiamento e l'organizzazione gli studi che sono diretti ad approfondire la conoscenza delle condizioni da cui dipende il progresso sociale".

Inizialmente, negli anni Sessanta, la Fondazione si interessa prevalentemente di scienze sociali, promovendone lo sviluppo in un momento storico in cui esse sono poco studiate, praticate e divulgate nel nostro paese, né sono inserite a pieno titolo nel sistema universitario. Contemporaneamente l'attività si volge anche a studi di carattere politico: è in questo periodo infatti che, anticipando di circa un decennio l'istituzione delle Regioni in Italia, si svolgono studi e ricerche sul governo locale che rappresentano ancor oggi una testimonianza tra le più originali sul dibattito allora in corso relativo all'istituzione regionale. Il periodo successivo, degli anni Settanta, si caratterizza per una maggiore sistematicità nello studio delle istituzioni pubbliche.

Tra i principali progetti di ricerca si devono annoverare il Progetto Bilancio e il Progetto Energia e Ambiente. Il primo è finalizzato allo studio del processo decisionale della finanza pubblica; il secondo all'analisi comparata delle scelte di politica energetica in campo nazionale e trans-nazionale.

Contestualmente la Fondazione promuove studi di carattere storico sull'esperienza politica e culturale di Adriano Olivetti e su quel 'Movimento Comunità' che egli stesso aveva fondato nel secondo dopoguerra e diretto fino alla sua morte. Durante gli anni Ottanta la Fondazione arricchisce i propri interessi con l'introduzione di temi relativi all'innovazione tecnologica e in particolare suscitati dall'avvento dell'informatica, riprendendo ed ampliando gli spunti di ricerca offerti già anni prima da iniziative promosse dalla Fondazione stessa, prima fra tutte il seminario internazionale di Courmayeur, organizzato dalla Fondazione nel 1971, sul tema: Le implicazioni sociali e politiche dell'innovazione scientifico-tecnologica nel settore dell'informazione.

L'attenzione nei confronti delle nuove tecnologie si traduce in ricerche volte ad indagare l'impatto dell'informatica sulla struttura e sulle relazioni sociali. In particolare viene promosso uno studio sulle 'immagini' dell'informatica e sui loro effetti ai vari livelli sociali e professionali.

Alla fine degli anni Ottanta viene costituito a Ivrea l'Archivio Storico Olivetti.

Tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta la Fondazione sviluppa i temi definiti nei periodi precedenti attraverso una intensa attività editoriale, di seminari e convegni, di promozione di studi e ricerche. L'attività editoriale vede l'avvio di diverse iniziative come la convenzione con la casa editrice Bollati Boringhieri per la pubblicazione di saggi che possano raggiungere un pubblico più vasto, alcune collaborazioni editoriali di respiro internazionale, come la pubblicazione degli atti del convegno "Patterns of European Industrialization. The Nineteenth Century" in collaborazione con la casa editrice Routledge e l'istituzione, nel 1994, della collana Archivio Storico Olivetti dedicata alla pubblicazione degli studi sui materiali inediti dell'Archivio stesso. In questo periodo la Fondazione partecipa attivamente anche alla costituzione dell'Istituto per la Cultura e la Storia d'Impresa 'Franco Momigliano', nel cui Consiglio di Amministrazione e nel cui Comitato Scientifico sono presenti esponenti della Fondazione.

Dalla fine degli anni Novanta la Fondazione, nel completare un processo di riorganizzazione, ha trasferito a Roma, in una sede appositamente ristrutturata, le biblioteche personali di Camillo e Adriano Olivetti, la raccolta completa delle Edizioni di Comunità, la raccolta completa della rivista "Comunità" e il materiale di archivio attinente la Fondazione o facente parte dell'archivio privato di Adriano Olivetti.

In termini di attività, rinnovata attenzione viene rivolta ai temi tradizionali (politiche pubbliche ed istituzionali, problemi sociali e culturali) mentre prosegue un'opera di continua valorizzazione del patrimonio archivistico attraverso la pubblicazione degli studi dei materiali inediti.

La Fondazione Adriano Olivetti, costituita nel 1962, ha lo scopo di “provvedere alla prosecuzione dell'opera di studio e di sperimentazione, teorica e pratica, suscitata da Adriano Olivetti”.

In tale prospettiva, di impegno sociale, la Fondazione svolge un'intensa attività di ricerca e promozione culturale e scientifica articolata in quattro ambiti d'intervento caratterizzati da un approccio interdisciplinare: Istituzioni e società; Economia e società; Comunità e società; Arte, architettura e urbanistica.

In questi ambiti vengono promossi ricerche, studi e progetti che attraverso convegni, interventi, laboratori, esposizioni e pubblicazioni caratterizzano la Fondazione come istituzione di ricerca e operativa sul territorio, in una politica culturale che predilige la collaborazione con altre istituzioni di analoga natura e con enti pubblici e privati, nazionali ed internazionali.

La Fondazione si avvale di un’attività editoriale che si realizza sia in collaborazione con importanti case editrici che autonomamente con la serie dei “Quaderni della Fondazione”. Dal 2003, in collaborazione con Luca Sossella Editore, è nata la Collana Comunità, ulteriore strumento di riflessione, teorica e pratica, suscitato dai programmi di ricerca e sperimentazione sulle tematiche del vivere comunitario realizzati dalla Fondazione.

Nell’ottobre 2001, nella sede di Roma, e stata inaugurata la Sala Roberto Olivetti, spazio multifunzionale dedicato alla memoria di Roberto Olivetti, nella quale si svolge parte dell’articolato programma delle attività.

A Ivrea, presso la sede dell'Associazione Archivio Storico Olivetti è ospitato l'archivio cartaceo della Fondazione che raccoglie tutta la corrispondenza aziendale e privata di Camillo, Adriano ed altri membri della famiglia Olivetti, l'Archivio del Movimento Comunità e delle Edizioni di Comunità, l'archivio e la biblioteca personale di Ludovico Quaroni e l'archivio di Georges Friedrich Friedmann che testimonia la sua collaborazione con Adriano Olivetti per le attività nel Mezzogiorno d'Italia.

La sede della Fondazione a Roma ospita le biblioteche personali di Camillo e Adriano Olivetti, la raccolta completa delle Edizioni di Comunità e della rivista “Comunità”, la collezione completa di tutte le pubblicazioni della Fondazione dal 1962 ad oggi e dei Quaderni della Fondazione, le edizioni della Collana Comunità e l'archivio in progress di arte pubblica in Europa.

La Fondazione è membro del European Foundation Center (EFC), associazione internazionale non-profit, con sede a Bruxelles, creata nel 1989 dalle principali fondazioni europee con lo scopo di promuovere, sostenere e valorizzare il ruolo e l'opera delle fondazioni in Europa e nel mondo.

Dal 2004 il Presidente della Fondazione, Laura Olivetti è membro dell'International Committee del Council on Foundation di Washington DC.


L'Archivio Storico Olivetti ha sede presso Villa Casana, prestigiosa residenza immersa nello splendido parco di Montefiorito a pochi passi dal centro di Ivrea.

Nato nel 1986 su iniziativa di Paolo Mancinelli, allora Segretario Generale della Olivetti, l'Archivio Storico tra gli anni 1987-'94, vede la sua costituzione ed il suo sviluppo sotto la direzione di Giovanni Maggia. Nella primavera del '98 viene costituita l'Associazione per l'Archivio Storico Olivetti, una iniziativa a cui hanno aderito come soci fondatori o sostenitori la Società Olivetti, la Fondazione Adriano Olivetti, il Comune di Ivrea, la Provincia di Torino, il Politecnico di Torino, la Compagnia San Paolo, l'Associazione Spille d'Oro Olivetti. In seguito anche SMAU e Banca di Roma sono entrati nell'Associazione.

L'Archivio Storico Olivetti è frutto di un pluriennale impegno per il recupero, la selezione, la conservazione e l'archiviazione di una grande quantità di documenti, testimonianza di una singolare esperienza industriale e culturale.

La Biblioteca è ricca di migliaia di volumi: dalle Edizioni di Comunità, una delle case editrici più importanti del dopoguerra, alla raccolta di Cataloghi delle Mostre d'arte e dei Quaderni del Restauro; dalla collezione di libri su tematiche olivettiane all'originale editoria interna ricca di prestigiose realizzazioni quali Agende, Libri Strenna, Calendari, Monografie.

Altrettanto interessante l'Emeroteca dell'Archivio che raccoglie riviste culturali di valore storico, quali Comunità, SeleArte, Urbanistica, Zodiac, Tecnica e Organizzazione, Notizie Olivetti.

Originale e ricca, la Cinevideoteca copre un periodo di produzione che risale alla fine degli anni Quaranta. Molti filmati, dovuti all'impegno e agli interventi di un elevato numero di grandi personalità della cultura italiana e straniera, costituiscono per la loro qualità un importante patrimonio nella storia della cinematografia aziendale. Più ridotta ma di grande valore storico l'Audioteca nella quale sono conservate le registrazioni di dibattiti e di incontri con personalità della cultura italiana ed internazionale. L'Eidoteca e la Fototeca costituiscono poi due ricche ed importanti sezioni nelle quali sono raccolte significative collezioni di manifesti, di campagne pubblicitarie ed immagini sviluppate come corredo alle molteplici attività aziendali.

Inoltre su deposito della Fondazione Adriano Olivetti è conservato ad Ivrea l'archivio cartaceo che raccoglie tutta la corrispondenza aziendale e privata di Camillo, Adriano ed altri membri della famiglia Olivetti, l'Archivio del Movimento Comunità e delle Edizioni di Comunità, l'archivio e la biblioteca personale di Ludovico Quaroni e l'archivio di Georges Friedrich Friedmann che testimonia la sua collaborazione con Adriano Olivetti per le attività nel Mezzogiorno d'Italia.

Infine, l'Archivio della Società Olivetti, la sezione più consistente, che comprende tra l'altro: una ricca collezione di macchine prodotte dalla Olivetti (a partire dalla prima e famosa M1), le Raccolte degli Atti Societari, il Fondo della Direzione Studi Economici, una vasta documentazione sui Servizi Culturali e sui Servizi Sociali, interessanti studi del Centro di Psicologia e di quello di Sociologia, l'originale settore degli oggetti promozionali, raccolte significative nel campo della Formazione e dell'Attività Commerciale.

L'Associazione Archivio Storico Olivetti si pone innanzi tutto l'obiettivo dell'ordinamento del grande patrimonio di documentazione ad esso affidato ma anche l'obiettivo della sua valorizzazione sia a livello nazionale che internazionale, promuovendo a tal fine mostre, studi, pubblicazioni, convegni e incontri, collezionando una serie di importanti iniziative.

L'Archivio Storico Olivetti, nell'ottobre del 1998, è stato dichiarato di "notevole interesse storico" da parte della Soprintendenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d'Aosta.

Per ulteriori informazioni www.arcoliv.org

http://www.fondazioneadrianolivetti.it/home.htm

 


 
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