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« Tiziano TerzaniVi prego: non ridete fin... »

La guerra vista da Israele 

Post n°25 pubblicato il 28 Luglio 2006 da GIOGIU06

Non posso fare a meno di riportare stralci di articoli che mi hanno colpito particolarmente. Oggi riporto passi di un lungo documento  intitolato <Come in Spagna nel '36 > di Bernard-Henry Lévy apparso sul Corsera di oggi, 27 luglio 2006, pagg. 8 e 9 .

"Oggi 17 luglio è l'anniversario dello scoppio della guerra di Spagna. Sono passati settant'anni dal putsch dei generali che diede l'avvio alla guerra civile, ideologica e internazionale voluta dal fascismo dell'epoca.  E non posso non pensarci, non posso non fare l'accostamento mentre atterro a Tel Aviv.  La Siria dietro le quinte...L'Iran di Ahamadinejad pronto all'azione.   L'Hezbollah di cui tutti sanno che è un piccolo Iran, o un piccolo tiranno che non ha esitato a prendere in ostaggio il Libano.

E come sfondo il fascismo con il volto dell'integralismo islamico, quel terzo fascismo che, come tutto indica, sta alla nostra generazione come l'altro fascismo, poi il totalitarismo comunista, stavano a quella dei nostri padri. ....

"Haifa. La mia città preferita in Israele. La grande città cosmopolita dove ebrei e arabi coabitano fin dalla fondazione del Paese.  Anch'essa è una città morta.  Una città fantasma.  E pure qui, dalle alture alberate del Monte Carmel fino al   mare   , ecco l'urlo delle sirene che, a intervalli quasi regolari, obbliga le rare automobili a fermarsi, gli ultimi passanti a precipitarsi nelle metropolitane e che, soprattutto, rende improvvisamente palpabile l'incubo degli israeliani da quarant'anni.

Infatti il problema, mi dice in sostanza Zivit Seri, l'esile, graziosa madre di famiglia i cui modi un po' goffi e l'aria indifesa mi commuovono come mi commuovevano una volta i corpi di Sarajevo, il problema mi spiega, guidandomi fra gli edifici distrutti di Bat Galim, letteralmente - la figlia delle onde - che è il quartiere della città ad aver maggiormente sofferto per i bombardamenti, il problema, dunque, non sono soltanto le persone uccise:  Israele vi è abituata.  E nemmeno il fatto che qui non si prendono di mira obiettivi militari, ma obiettivi deliberatamente civili: anche questo lo sapevamo.

No, il problema, quello vero, è che i bombardamenti fanno intuire quello che accadrà un giorno, non necessariamente molto lontano, dove le stesse testate di missili avranno un doppio potere: primo, di mirare ancora più giusto e di colpire, per esempio, le installazioni petrolchimiche che vedete laggiù, sul porto; secondo, d'essere equipaggiate esse stesse di armi  chimiche  capaci di seminare una desolazione al cui confronto   Chernobyl e  11 settembre     messi insieme appariranno come un piacevole preludio..."

"Gli istraeliani non sono dei santi. Ed è evidente che sono capaci, in una situazione di guerra, di operazioni, manipolazioni, dinieghi machiavellici.  Eppure, un segno indica che questa guerra qui non l'hanno voluta ed è caduta loro addosso come una cattiva sorte".

..."quello che non avevo mai visto è un ministro della Difesa che corrisponde così esattamente alle famose parole di Malraux sui comandanti del miracolo che "fanno la guerra senza amarla" e che, proprio per questa ragione 'finiscono sempre per vincerla':  Amir Peretz, come i personaggi di André Malraux, vincerà.  Ma il fatto che sia stato nominato indica che Israele, dopo i ritiri dal Libano e da Gaza, pensava di entrare in una nuova era, dove    occorreva   preparare la pace, non la guerra..."

 
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