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NIETZSCHE - ANTICRISTO (5° PARTE)

Post n°35 pubblicato il 20 Gennaio 2006 da Darkthrone85
 

Buonasera  a tutti, ancora un piccolo aggiornamento sull'anticristo di Nietzsche, mi raccomando, commentate numerosi, conto su di voi, saluti!

 

 

XIII :
Non sottovalutiamo ciò: noi stessi, noi spiriti liberi, siamo già una «trasvalutazione di tutti i valori», l'incarnazione della dichia­razione di guerra e di vittoria a tutti i vecchi concetti di «vero» e di «falso». Le concezioni più preziose sono le ultime a essere sco­perte, ma le concezioni più valide sono i metodi. Tutti i metodi, tutti i presupposti del nostro costume scientifico attuale sono stati per millenni oggetto del più profondo disprezzo: a causa loro si veniva esclusi dalla frequentazione di uomini «onesti», si era con­siderati «nemici di Dio», spregiatori della verità, uomini «posse­duti». In quanto mentalità scientifiche si era dei Ciandala1... Abbiamo avuto l'intero pathos dell'umanità contro di noi, la sua concezione di ciò che la verità deve essere, di ciò che deve essere il servizio della verità: ogni «tu devi» fino a oggi è stato indirizza­to contro di noi... I nostri oggetti, i nostri procedimenti, la nostra natura quieta, cauta e diffidente: tutto ciò appariva loro assoluta­mente indegno e spregevole. Alla fine occorrerebbe domandar­si, e a ragione, se non sia stato in realtà un gusto estetico quello che ha mantenuto l'umanità in una cecità tanto lunga: essa richiedeva un effetto pittoresco alla verità, pretendeva da chi per­segue il sapere anche la produzione di una potente impressione sui sensi. La nostra modestia per lunghissimo tempo andò contro il loro gusto... Oh, come avevano indovinato bene tutto ciò, que­sti tacchini di Dio!...

XIV :
Noi abbiamo imparato di nuovo il mestiere. Siamo divenuti più modesti sotto ogni aspetto. Non traiamo più le origini dell'uomo dallo «spirito», dalla «divinità», lo abbiamo ricollocato tra gli ani­mali. Lo consideriamo l'animale più forte perché è il più astuto: la sua intelligenza ne è una conseguenza. D'altro canto ci pro­teggiamo da una vanità che vorrebbe trovare espressione persino qui: la pretesa che l'uomo sia il grande obiettivo segreto dell'e­voluzione animale. L'uomo non è assolutamente il coronamento della creazione: ogni altro essere è, accanto a lui, allo stesso grado di perfezione... E affermando ciò già siamo eccessivi: l'uomo è, relativamente parlando, tra gli animali il meno riuscito, il più malato e quello più pericolosamente deviato dai propri istinti. Con tutto ciò, è certo anche il più interessante! Riguardo agli ani­mali, Descartes fu il primo che, con ammirevole coraggio, osò pensare all'animale come a una macchina: tutta la nostra scienza fisiologica è dedita alla dimostrazione di tale tesi. Ma noi, logica­mente, non mettiamo da parte l'uomo, come pure fece Descartes; la nostra conoscenza dell'uomo oggi non supera i con­fini di una visione meccanicistica. In altri tempi si attribuiva all'uomo il «libero arbitrio», dote derivatagli da un ordine supe­riore: oggi gli abbiamo persino sottratto la volontà, nel senso che la volontà non può più essere intesa come facoltà. Il vecchio ter­mine «volontà» serve solo a designare una risultante, una specie di reazione individuale che necessariamente segue da una molti­tudine di stimoli in parte contraddittori e in parte concordanti. La volontà non «opera» più, non «muove» più nulla... Un tempo nella coscienza dell'uomo, nel suo «spirito» si coglieva la prova della sua origine superiore, della sua divinità; per renderlo più perfetto gli fu consigliato di rinchiudere in sé i propri sensi, come una tartaruga, di cessare i rapporti con ciò che è terreno e di spo­gliarsi della veste mortale: allora sarebbe rimasta la sua parte essenziale, lo «spirito puro». Anche su questo abbiamo cambiato idea: il divenire coscienti, «lo spirito», sono per noi un sintomo di una relativa imperfezione dell'organismo, di un tentativo, di un annaspare, di un errore grossolano, come di una fatica in cui viene impiegata inutilmente un'enorme quantità di forza nervosa; neghiamo che alcunché possa essere fatto alla perfezione fintanto che è fatto cosciente. Lo «spirito puro» è una pura idiozia: se astraiamo dal sistema nervoso, dai sensi, dalle «mortali spo­glie», abbiamo fatto male i calcoli, tutto qui!

XV :
Nel cristianesimo, né la morale né la religione hanno punti in contatto con la realtà. Nient'altro che cause immaginarie («Dio», «anima», «io», «spirito», «libero arbitrio», ovvero il «non libero arbitrio»): solo effetti immaginari («peccato», «redenzione», «gra­zia», «castigo», «remissione dei peccati»). Un rapporto tra esseri immaginari («Dio», «spiriti», «anime»); una scienza naturale immaginaria (antropocentrica; una totale mancanza del concet­to di cause naturali); una psicologia immaginaria (soltanto auto­fraintendimenti, interpretazioni di sentimenti generali piacevoli o spiacevoli, per esempio degli stati del nervus sympathicus, con l'ausilio del linguaggio di segni dell'idiosincrasia religioso-mora­le: «pentimento», «rimorso di coscienza», «tentazione del demo­nio», «cospetto di Dio»); una teleologia immaginaria (il «regno di Dio», il «giudizio universale», la «vita eterna»). Questo mondo puramente fittizio con suo grande svantaggio si distingue dal mondo dei sogni per il fatto che quest'ultimo rispecchia la realtà, mentre il primo la falsifica, la svaluta e la nega. Dopo che il con­cetto di «natura» è stato inventato come antitetico al concetto di «Dio», il termine «naturale» è diventato sinonimo di «deprecabi­le»; tutto questo mondo fittizio ha le sue radici nell'odio per il naturale (la realtà!) ed è l'espressione di un profondo disagio davanti al reale... Ma ciò spiega tutto. Chi è il solo ad aver motivo di astrarsi dalla realtà con le menzogne? Colui che ne soffre. Ma soffrire a causa della realtà significa essere un fallimento... La pre­ponderanza del sentimento di dispiacere su quello di piacere è la causa di questa morale e di questa religione fittizie: ma una tale preponderanza offre pure la formula della décadence...

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