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« NIETZSCHE -  ANTICRISTO ...NIETZSCHE - ANTCRISTO (9° PARTE) »

NIETZSCHE - ANTICRISTO (8° PARTE)

Post n°38 pubblicato il 23 Gennaio 2006 da Darkthrone85
 

XXII :
II cristianesimo, quando lasciò il suo luogo d'origine, le classi più umili, i bassifondi del mondo antico, quando cercò il potere fra popoli barbari, non si trovò davanti uomini stanchi, ma uomi­ni dall'animo selvaggio, che si distruggevano tra di loro, uomini forti eppure malriusciti. L'insoddisfazione di sé, il dolore di sé stessi, non sono, come per i buddhisti, un'eccessiva eccitabilità e la facoltà di soffrire, ma, al contrario, il desiderio predominante di nuocere, di sfogare una tensione interiore attraverso azioni e idee ostili. Per dominare sui barbari il cristianesimo aveva bisogno di valori e di concetti barbari: il sacrificio del primogenito, il bere sangue alla comunione, il disprezzo per lo spirito e la cultura, la tortura in ogni sua forma, fisica e spirituale, una grande pompa nel culto pubblico. Il buddhismo è una religione per uomini più . maturi, per razze divenute più benevoli e miti, straordinariamen­te spirituali, sensibili al dolore (l'Europa non è neppure lontana­mente matura per esso) : il ricondurre alla pace e alla serenità, a una dieta nelle cose dello spirito, a un certo irrobustimento del corpo. Il cristianesimo invece vuole dominare sulle belve; il suo rimedio è renderle malate, indebolire è la ricetta cristiana per addomesticare, per condurre alla «civiltà». Il buddhismo è una religione per la fine, per la stanchezza della civiltà, il cristianesi­mo non ne incontra una dinanzi a sé, eventualmente la fonda.

XXIII :
II buddhismo, ripetiamolo, è cento volte più freddo, più veritie­ro, più oggettivo. Non ha più bisogno di rendere dignitoso il suo dolore, la sua capacità di soffrire, attraverso l'interpretazione del peccato: dice semplicemente ciò che pensa: «io soffro». Invece per il barbaro il dolore in sé non è decoroso: egli come prima cosa ha bisogno di un'interpretazione del dolore per ammettere a se stesso che soffre (il suo istinto lo induce piuttosto a negare le sofferenze, spingendolo a sopportarle in silenzio). In questo caso la parola «diavolo» fu un beneficio: si aveva un nemico schiac­ciante e terribile, non bisognava vergognarsi di soffrire a causa di un simile nemico. Nel fondo del cristianesimo sono riscontrabili alcune sottigliezze che appartengono all'Oriente. Innanzi tutto sa che è assolutamen­te indifferente che una cosa sia vera in se stessa, ma che è della mas­sima importanza quanto essa sia creduta vera. La verità e la fede che qualcosa sia vero: due mondi di interesse totalmente diversi, quasi antitetici, ai quali si giunge percorrendo due strade completamen­te differenti. Essere sapienti a tale riguardo è sufficiente in Oriente per rendere un uomo saggio: così la pensano i brahmani, così ritie­ne Platone, così intendono gli studiosi di scienza esoterica. Se, per esempio, la felicità consiste nel credersi redenti dal peccato, per un uomo non è necessario, come condizione, essere un peccatore, ma sentirsi peccatore. Però, se è indispensabile soprattutto la fede, allo­ra si dovranno screditare la ragione, la conoscenza e la ricerca: la via per la verità diviene una via proibita. Una forte speranza è uno stimulans per la vita, più grande di ogni singola felicità che si rea­lizzi effettivamente. È necessario sostenere chi soffre, con una spe­ranza che nessuna realtà possa smentire, che nessuna realizzazione possa vanificare: una speranza nell'aldilà. (Fu proprio a causa di questa capacità di tenere in sospeso gli infelici che i greci conside­ravano la speranza il male dei mali, il male più insidioso: quello rimasto in fondo al vaso del male). Perché l'amore sia possibile, Dio deve essere una persona; affinchè gli istinti più bassi abbiano voce, Dio deve essere giovane. Per soddisfare l'ardore delle donne si pone in primo piano un santo di bell'aspetto, per appagare quel­lo degli uomini una Maria. Ciò si fonda sul presupposto che il cri­stianesimo intendeva dominare su un terreno dove il culto di Afrodite e Adone aveva già determinato il concetto di culto religio­so. La pretesa della castità rafforza la veemenza e l'intensità interiore dell'istinto religioso, rende il culto più caldo, più fanatico e spiritualmente più intenso. L'amore è la condizione in cui l'uomo il più delle volte vede le cose come non sono. La forza illusoria rag­giunge qui il suo apice, come pure quella che mitiga e trasfigura. Nell'amore si sopporta di più, si tollera tutto. Si trattava di rintrac­ciare una religione nella quale l'amore fosse possibile: con essa ci poniamo al di sopra degli aspetti peggiori della vita, non lo si vede nemmeno più. E così è per le tre virtù cristiane: fede, speranza e carità: io le definisco i tre stratagemmi cristiani. Il buddhismo è troppo maturo, troppo positivistico per essere ancora tanto astuto.

XXIV :
Qui accenno soltanto al problema dell'origine del cristianesimo. La prima tesi per la soluzione di questo afferma: il cristianesimo si può comprendere solo a partire dal terreno dal quale si svi­luppò; non è un movimento contro l'istinto ebraico, è la conse­guenza stessa di esso, un'ulteriore conclusione della sua logica terrificante. Nella formula del Redentore: «La salvezza viene dagli ebrei» '. La seconda tesi è: il tipo psicologico del galileo è ancora riconoscibile, ma solo nella sua completa degenerazione (che è al contempo una mutilazione e un'accumulazione di caratteri estranei) potè servire allo scopo cui fu destinato, quello di essere il tipo di redentore dell'umanità.
Gli ebrei sono il popolo più considerevole della storia del mondo, poiché, posti davanti alla questione dell'essere e del non­essere, con una consapevolezza davvero impressionante preferi­rono l'essere a ogni costo: questo fu la radicale falsificazione di ogni natura, di ogni naturalezza, di ogni realtà di tutto il mondo interiore e di quello esteriore. Si definirono oppositori di tutte le con­dizioni alle quali a un popolo fino ad allora era possibile, era con­cesso vivere; crearono da sé un concetto contrario alle condizio­ni naturali. Progressivamente capovolsero in modo irreparabile la religione, il culto religioso, la morale, la storia e la psicologia nell'opposto dei loro valori naturali. Incontriamo nuovamente lo stesso fenomeno sviluppato in proporzioni indicibili. Tuttavia solo come imitazione. Rispetto alla «nazione dei santi», la Chiesa cristiana non ha alcuna pretesa di originalità. È proprio per que­sta stessa ragione che gli ebrei sono il popolo più fatale della sto­ria del mondo: attraverso il loro ulteriore effetto hanno falsificato l'umanità a tal punto che ancora oggi il cristiano può avere un modo di sentire antisemita senza comprendere di essere l'ultima derivazione dell'ebraismo.
Nella mia Genealogia della morale ho presentato per la prima volta psicologicamente il concetto antitetico di una morale nobile e di una morale del ressentiment, quest'ultimo derivante dalla nega­zione del primo: ma ciò corrisponde totalmente alla morale giudaico-cristiana. Per essere in grado di dire no a tutto ciò che rappresenta il movimento ascendente della vita, la buona riuscita, la potenza, la bellezza, l'affermazione di sé sulla Terra, l'istinto di ressentiment, qui divenuto genio, dovette inventare un altro mondo riguardo al quale quell'affermazione della vita apparisse come il male, il deplorevole in se stesso. Considerato da un punto di vista psicologico, il popolo ebreo è il popolo dalla forza vitale assai tena­ce, e che, posto in condizioni impossibili, liberamente, con una profondissima intelligenza di autoconservazione, s'allea con tutti gli istinti della décadence, non perché ne sia dominato, ma perché ravvisa in essi una forza grazie alla quale potrà prevalere sul «mondo». Gli ebrei sono l'opposto di tutti i décadent: sono stati costretti a fare i décadent fino all'illusione, hanno saputo porsi, con un non plus ultra del loro genio istrionico, alla testa di tutti i movi­menti di décadence (quale nel cristianesimo di Paolo) per farsi più forti di qualsiasi partito della vita che dice di sì. Per quel tipo di uomo che nel giudaismo e nel cristianesimo ambisce giungere alla potenza, il tipo sacerdotale, la décadence è soltanto un mezzo: questo tipo di uomo ha un interesse vitale nel rendere malata l'umanità e nel conferire un senso pericoloso alla vita, un senso denigratorio del mondo, ai concetti di «buono» e «cattivo», «vero» e «falso».

Commenti al Post:
dreaming_in_red
dreaming_in_red il 23/01/06 alle 18:51 via WEB
Religioni uguale negazione del proprio Io.Negazione del proprio Io uguale MORTE.
 
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