* Sabato 11 ottobre “Ovvero che ci faccio in Anatolia, per non parlare del perché mi ritrovo a dormire sotto il pergolato di un ristorante lungo la strada di Maden guardando passare i carri armati…”
«Duemilioni sul venticinque nero…»
Il tram accelera ed inizia a roteare velocemente, io sopra, appeso ad una curiosa maniglia arancione, ho come il sospetto che ci sia qualcosa che non vada per il verso giusto; della maniglia vicina, ormai orizzontale per la forza centrifuga il console iraniano mi risponde che qui esistono versi giusti per ogni luogo, poi dicendo che deve sbrigare alcuni affari a Teheran si congeda lasciando la maniglia e scomparendo in volo nell’invisibile fondo del vagone.
«Mi spiace signore ma è uscito il 141 rosso e lei finisce in Kurdistan.
Riprovi sarà più fortunato.»
«E i miei due milioni?»
«Vanno al PKK naturalmente, di che si preoccupa, italiani tutti pieni di soldi, Agnelli, Berlusconi e poi Italia mafia…»
“Sì spaghetti e mandolino…»
Non faccio in tempo a finire la frase che la mia maniglia si sgancia lasciando precipitare anche me nel fondo del vagone.
«Tè, caffè…»
L’immagine deformata in altezza e larghezza di una hostess tonda come una palla mi ritrova sulla poltrona di un pulman.
«Tè, grazie ma dov’è diretto questo pulman?»
«Dalla porta d’ingresso alla porta di uscita, naturalmente.»
E se ne va con la sua caraffa di acqua solforosa ed un vago odore di zolfo.
Sorseggio il mio tè mentre mi guardo attorno. Su ogni poltrona è scritto in ordinata calligrafia, in sei lingue, fra cui l’ebraico ed il persiano:
«Su questo bus è severamente proibito togliersi le scarpe come da legge coranica.»
Il tizio dell’altra fila mi fa segno con la mano che mi puzzano i piedi e che se provassi a togliermi le scarpe sarebbe costretto ad interpellare l’antica usanza del taglione.
Cerco di spiegargli che non mi puzzano, che sono puliti.
«La puzza di piedi è una cosa sacra, va conservata per i luoghi di preghiera, solo li è consentito mischiare i propri effluvi.
Farlo sull’autobus sarebbe blasfemo e sacrilego.»
Si affretta a spiegarmi serio, il tipo accanto.
Forse è meglio rinunciare a dibattito, non ho gli strumenti teologici sufficienti.
Intanto dalla cabina di guida del suo autobus fermo, l’autista lancia incomprensibili messaggi, mentre i passeggeri uno ad uno si alzano ed escono dalla porta posteriore.
«Derebag Selalasi, per le grotte inesplorate ai confini della civiltà, si scende.»
L’hostess mi si avvicina e mi fa cenno con la mano:
«È ora, è la sua fermata, deve scendere.»
«Ma scendere dove?»
«Non si preoccupi, che l’aspettano.»
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il 21/09/2010 alle 17:18
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