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« E intanto l'Erdigheta Va...Vecchie storie e nuovi pozzi »

Sifonauti e sifonotti tra il Malaina e la follia (2005 l'inizio della storia)

Post n°37 pubblicato il 04 Aprile 2007 da a.benassi

Noi lo sponsor l’avevamo chiesto per Campo di Caccia, eravamo proprio convinti di finire i nostri giorni risalendo e girando all’infinito da quelle parti. Qualcuno invece ha deciso diversamente. Ottenuta una bella tendina ed una coppia di sacchi a pelo, mancava solo di portarli al porto delle scimmie o in qualche sala tra Elisea e Anthinea per mettere in pratica la vecchia idea del campo itinerante permanente. Poi però c’è venuto un dubbio: e se ormai non ci fosse più nulla da andare a cercare? Le gallerie di Utopia sembravano chiudere, al fondo l’Ultima Speranza era un posto strano e poco chiaro, forse poteva essere più furbo fare prima una bella punta proprio da quelle parti e vedere cosa ne veniva fuori. Non ci mettemmo molto a capire che l’ultima speranza c’aveva preso in giro per un paio d’anni. Breve saluto al solito sifone, lungo giro sospeso su vecchi meandri e monconi di gallerie, ma il risultato è chiaro: non sembra proprio tirare l’aria giusta per superare il Mare di Lidembrouck. Decisione seria e responsabile, disarmiamo tutto fino alla confluenza e ammucchiamo i sacchi al campo ungherese. Una volta fuori la situazione appare drammatica: che razza di campo andiamo a mettere in un posto che ormai pare finito? Allora torna l’idea malsana di quella colorazione andata buca tra l’Ouso del Pratiglio e Campo di Caccia. Tanta fluorescina buttata così e poi neanche un risultato, forse sarebbe il caso di andare a vedere di persona questo famoso fondo soffiante. E così a breve ci ritroviamo con carta e matita a teorizzare sistemi per superare pseudo sifoni. Maurizio parlava di una lama d’aria di un paio di dita, prendiamo le misure, ma il naso proprio non c’entra. Escono fuori deliri da palombaro con improbabile calcoli sulla pressione che un tubo immerso esercita sui polmoni, le possibilità sono molteplici e tutte entusiasmanti: morire avvelenati dalla propria stessa anidride carbonica nel caso di un tubo troppo lungo, vedersi strappare i polmoni fuori dall’acqua nel caso di un tubo troppo profondo, affogare miseramente nel caso di un onda anomala che sommerga la stazione di partenza. E poi come riportare il narghilè al secondo scemo, come essere sicuri di non rimanere bloccati a putridire. Alla fine prevale il buonsenso della vecchia maschera e boccaglio. Inauguriamo così lo snorkeling da sifone. A questo punto si decide di partire equipaggiati: mute, maschera, torce subacque e una buona dotazione di cordame nuovo nuovo appena tornato dall’Honduras. L’altra volta per buttare la fluorescina c’eravamo piacevolmente risparmiati il famoso vicolo delle madonne, ma non ci mettiamo molto a conoscerlo. Mazzetta in mano continuiamo volentieri il lavoro interrotto quasi dieci anni orsono. I meandri dei lepini non sono mai abbastanza larghi. Giunti alla fine dei pozzi il meandro delle Murge si annuncia simpatico con il suo primo lago. E’ ora di tirare fuori le mute e vedere se tutta l’acqua presa in questi anni è servita a qualcosa. Sarà per la novità, ma il meandro sembra pure divertente, con la muta l’acqua è simpatica, i saltini sono piccoli piccoli, quasi comodi. Alla fine il fondo arriva, laghi e laghetti cedono il posto a qualcosa di più alto. Le dita d’aria sono proprio due, il Barbati non aveva esagerato, l’aria invece è proprio tanta, anzi tantissima, da muovere l’acqua e fare onde. Tanto per rendere la decisione più comoda e ragionata siamo immersi fino al collo nell’acqua, che da questo punto di vista non è proprio calda. Neanche un metro dove fermarsi all’asciutto per raccogliere le idee. Ma forse è meglio così, certe cose a pensarle si finisce per non farle, così apriamo i sacchi alla ricerca di maschera tubo e luce; ne escono luce, tubo e due pezzi di maschera. Ottimo. Siamo in fondo a questa fogna stronca-speleo con l’acqua fino alle orecchie e senza maschera. Meglio non pensare, rapida occhiata alla lama d’aria che corre, posti larghi proprio non se ne vedono, però passetto a passetto si può provare. E poi prima lo proviamo e prima ci leviamo dall’acqua in ogni caso. E così che parto con un capo di canapone legato all’imbraco quale improbabile filo d’arianna. Faccia a mollo nell’acqua fresca, cappuccio calato in testa, tubo in bocca tenuto dritto a fare il pelo alla roccia, torcia nell’altra mano. Situazione grottesca e delirante. Uno, due… tre metri, una lama abbassa lo spazio e mi porta con la testa completamente sotto, occhi aperti sul pelo dell’acqua sperando che la cosa non peggiori visto che al ritorno a marcia indietro proprio non ho pensato. Cinque, sei, sette metri, appena meglio, poi una lametta, s’abbassa, ma davanti sembra allargarsi, un altro metro ed è certezza, cammino calmo per evitare che l’acqua sfiori l’imbocco del tubo, un paio di boccate liquide sarebbero abbastanza pericolose in queste condizioni. L’ultimo metro è poi sono fuori, finalmente posso uscire dall’acqua, almeno con la testa, il boccaglio sempre stretto tra i denti e la luce in mano. L’insieme è decisamente raccogliticcio. Urlo a Paolo dall’altra parte per fargli capire che non sono affogato, gli urlo che sono vivo, che sono passato, e che continua. Dall’altra parte risponde con urla degne della situazione. Ci guardiamo da un lato all’altro dello pseudo sifone, visto così non fa neanche troppa paura, certo ad affogarci dentro non ci vuole tanto, però almeno è dritto. Prima di far passare anche l’altro aspirante suicida è bene verificare che proprio prosegue sicuro, dovendo morire affogato credo che a Paolo farebbe piacere spirare sapendo che però prosegue. Slego il canapone d’arianna, lo sistemo su un provvidenziale sperone, e mi aggiro torcia in mano sempre con l’acqua allo stomaco in una fetenzia di meandro galleria, il tubo sempre in mano. E si il tubo è un bel problema, se lo perdi stai sicuro che non torni indietro, quindi è il caso in tutta quest’acqua di trovargli un bel posto sicuro. Spiagge non se ne vedono, quindi lo incastro nella parete confidando nel potere dell’attrito. Dopo una decina di metri il primo saltino, un metro, ma tanto basta per mettersi in piedi ed uscire dall’acqua profonda. Il meandro continua, poi ecco il primo saltino da corda. Torno indietro soddisfatto, adesso tocca traghettare anche l’altro folle. Paolo non è proprio convinto, prima cosa passargli il tubo, come fosse cosa normale lo lego al canapone d’Arianna, sperando che arrivi dall’altro parte. Nonostante si sia separati solo da una decina di metri, sembra di essere sulla soglia di due mondi lontani. Il tubo arriva, poi è la volta del mio casco, tanto per ottenere una luce decente, fortunatamente piezo ed elettrica oggi sono buone. Poi è la volta della torcia da passare a Paolo. Il canapone sembra una teleferica, scorre avanti e indietro traghettando oggetti oltre la linea di non ritorno. Arrivano anche i sacchi con le corde. A questo punto manca solo l’umano. Breve training e ripasso di apnea, poi in caso di affogamento c’è sempre il canapone di sicurezza che dovrebbe permettere un veloce ripescaggio del malconcio. Almeno questa è la teoria. Paolo comincia ad attraversare la linea d’ombra. I primi metri sembrano tranquilli, poi un vago annaspare, rumore di risacca e d’acqua che sciaborda, nel mezzo del fiume rumore di sciacquone e rantoli, c’è solo l’ultima lama tra la salvezza e l’affogamento, alcuni gesti inconsulti propendono per usare il canapone di salvataggio ed accelerare il parto. Il malconcio riemerge con sguardo allucinato e tubo in bocca sputazzando acqua, la prima impressione è quella del gatto idrofobo, poi un paio di boccate d’aria, la sicurezza di non essere morto, la conferma che non siamo nel limbo ma solo nel post sifone, e la situazione psichica si normalizza. Siamo passati, la grotta continua, abbiamo materiale, se usciamo vivi è tutto perfetto. E’ proprio su quest’ultimo passo che Paolo appare turbato. L’idea di rifare il parto acquatico non l’aggrada per niente. Difficile pensare di uscire altrove, e poi passati una volta la seconda è più facile. Il tubo è posizionato gentilmente in un posto sicuro, e si comincia a scendere. Armo veloce, saltino da 6, scivolo inclinato tutto marmitte e fossi, poi il primo pozzo si fa vivo. Armo, traverso, saltino, roccia marcia, ma tanto tiene, scivolo, acqua tanta, armo naturale, e così prende vita il pozzo dei Sifonauti. Le corde sono poche visto che si pensava di andare tutto in piano in galleria, ne abbiamo lasciate parecchie prima del sifone, quindi per la prossima volta c’è pane e companatico. Per oggi è ora d’uscire, vivi e soddisfatti.

 
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