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Il Gattamelata

Post n°19 pubblicato il 20 Ottobre 2006 da luxlalla
Foto di luxlalla

Figlio di un fornaio, passò alla storia come Il Gattamelata

Un altro condottiero d'umile origini, con un soprannome e uno stemma conquistati sul campo.

Nato a Narni verso il 1370 da un fornaio di nome Pietro, detto lo "Strenuo", robusto e infaticabile.

Secondo un suo biografo Giovanni Ercoli, Erasmo si vide assegnare il nomignolo di Gattamelata "per cui la dolcezza dè suoi modi congiunta a grande furberia, di cui giovossi molto in guerra a uccellare e corre in agguato i mal cauti nemici e pel suo parlare accorto e mite dolce e soave".

Più semplicemente potrebbe averlo ricavato, dal cognome di sua madre Melania Gattelli.

Le caratteristiche del suo stemma sono varie, assumono quattro fogge diverse nel corso della sua lunga carriera di ventura, anche se si impostano sempre su due motivi, tre cappi che potrebbero essere tre trecce di crini di cavallo, o corregge di cuoio, e una gatta.

Come soldato si fa le ossa al seguito di Ceccolo Broglio signore d'Assisi, scaramucce di poco conto per un giovane di notevole prestanza fisica.

Lo nota Braccio da Montone quando ha gia quasi trent'anni e lo prende con sè, insegnandogli molte cose, ma la lezione che apprende di più è l'astuzia e la rapidità.

Porta un'armatura fatta di 134 pezzi alta 206 centimetri per 122 di torace e 74 di spalle pesante 49 chili.

Con Niccolò Piccinino è il più in vista dei Bracceschi, nel 1410 si sposa con Giacoma Bocarini Brunoli di Leonessa, sorella di un compagno d'arme dei tempi di Ceccolo Broglio, gli nascono sei figli di cui un solo maschio di nome Giannantonio.

Lo troviamo sotto l'Aquila nel 1424 nella battaglia che vede la sconfitta dei Bracceschi, fatto prigioniero, riesce a fuggire ed a unirsi al Piccinino, e a Oddo Fortebracci che con i superstiti Bracceschi, si mettono al servizio di Firenze nella guerra contro Filippo Maria Visconti.

Il suo carattere tranquillo piace al pontefice Martino V, che lo prende al suo servizio nel 1427, gli occorre un poliziotto che gli ripulisca, l'Umbria, l'Emilia e la Romagna dagli irrequieti signorotti.

Il Gattamelata porta con sè l'amico Brandolino Brandolini di Bagnocavallo, suocero di sua figlia Polissena, e inizia una settennale condotta senza particolari pericoli, in fondo ormai a quasi sessantanni e non potrebbe avere altre condotte.

Nel 1432 deve riprendere il castello di Villafranca presso Imola, ci va con pochi soldati, fa avvertire il castellano di essere venuto per pagare il riscatto di alcuni prigionieri, appena entrato con la piccola scorta, getta sul tavolo i ducati, e mentre questi sta curvo nel contarli i suoi soldati lo arrestano.

Ma al nuovo papa Eugenio IV un condottiero così non va, per la marca d'Ancona scorazza Francesco Sforza, dalla Romagna cala Niccolò Piccinino, e in Umbria c'è Niccolò della Stella, il pontefice scappa in Toscana e non paga le milizie del Gattamelata, ci pensa Venezia alla quale piace il suo temperamento tranquillo.

Siamo nel 1430, nella nuova guerra contro il Visconti, l'abbandono del comando da parte del Gonzaga, Venezia affida al Gattamelata il comando unico, la grande dote di questo condottiero giunto in tarda età al comando supremo, è quella di non avere ambizioni politiche, e di essere fedele allo stato in cui serve.

Da Brescia tenta delle sortite per superare l'accerchiamento cui è sottoposto dal Piccinino, per arrivare a Verona, non ci riesce ma nel settembre del 1438 riesce a fare il periplo del Garda e arrivare a Rovereto.

E' una delle azioni più scaltre che mandano in bestia il Piccinino, ora il Gattamelata ha il problema di foraggiare la città assediata, alcuni tentativi non riescono, allora il Gattamelatà ha un'altra idea astuta,
fa risalire l'Adige a cinque triremi e venticinque barche, poi li carica sui muli e li fa arrivare a Rovereto, l'impresa è condotta in porto dal suo vice Bartolomeo Colleoni.

Con l'ingaggio di Francesco Sforza nei primi mesi del 1439, le cose per Venezia migliorano, nell'inverno del 1439 il Gattamelata è colpito da due attacchi di apoplessia sul lago di Garda, con un burchiello il settantenne capitano è portato a Verona, migliora ma con la guerra ha chiuso; la Serenissima gli toglie il comando generale.

Vivrà in pratica da pensionato, continuando a percepire il soldo della condotta, ma non sarà più in attività, è chiamato a far parte della nobiltà veneta, con privilegi e poteri dei nobili.

Alla fine del 1442 si ritira a Padova dove muore il 16 gennaio 1443 e viene sepolto nella basilica del Santo con solenni funerali di stato, alla presenza del doge.

La famosa statua di Donatello a Padova fu eretta dalla moglie e dal figlio a proprie spese, dopo il consenso della Repubblica nel 1453.

di Mario Veronesi
& Francomputer

Bibliografia
I CAPITANI DI VENTURA- di Claudio Rendina
Storia Universale Cambridge, ed Garzanti.

 
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