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Via dei mandorli

Post n°215 pubblicato il 02 Marzo 2018 da greppjo
 
Foto di greppjo


Civiltà contadina, guerra e pace nel libro di Barbara Gori.

Via dei mandorli  di Barbara Gori è un libro che si legge tutto d’un fiato, anche se poi torni a rileggerlo perché certe immagini, che ti rimangono dentro, ti costringono a riprenderlo in mano, per scoprirne altri significati. È la storia dei Luconi di Borgonuovo in Valdichiana, la famiglia d’origine di Barbara: in particolare il racconto s’incentra sulle vicende del nonno Neno,prima soldato ventenne  in Albania durante la seconda guerra mondiale, poi prigioniero nei campi di lavoro in Germania. Suggestiva la tecnica narrativa che si sviluppa su due piani paralleli: le vicissitudini di Neno, raccontate in prima persona, s’intrecciano con il racconto in terza persona della vita  della famiglia, impegnata nel lavoro dei campi e poi alle prese con il passaggio del fronte nelle nostre terre. In realtà i due protagonisti del racconto sono  la giovinezza, all’inizio un po’ incosciente, di Neno, costretto poi dagli eventi della guerra e soprattutto della prigionia a maturare, giungendo ad una consapevolezza tragica di sé e della condizione umana, da una parte, e l’amore fatto di attesa, di ansia e soprattutto d’impotenza, della mamma Margherita, dall’altra. Le guerre le combattono i soldati, ma le subiscono anche i civili. E soprattutto le soffrono le mamme. La finalità del libro è riassunta in quella dedica al nonno, cui si accompagna una terzina dantesca:

Facesti come quei che va di notte,

che porta il lume dietro e sé non giova,

ma dopo sé fa le persone dotte (Purg.XXII).

Quello che l’autrice si propone, assolutamente condivisibile, è l’auspicio che la nostra storia non venga dimenticata: né la grande Storia, né, a maggior ragione, quella della piccola Patria. A questo si aggiunge un significato ancora più grande: il rapporto affettivo tra nonno e nipote dà un valore in più ai ricordi, che costituiscono il tessuto del racconto. Una grande commozione l’ho provata quando Barbara descrive i pomeriggi trascorsi al capezzale del nonno a prendere appunti. Mi è venuto in mente il finale del film di Truffaut Fahrenheit 451 dal romanzo di Bradbury: anche lì un nonno insegna al nipotino i passi di un libro da imparare a memoria, e mentre l’uomo chiude gli occhi, il bambino, ormai “istruito”, continua a memorizzare, riprendendo da dove il nonno si era fermato. Chi tramanda la Storia, sia la grande che la piccola, la rende eterna, per quanto possibile: un “possesso per sempre” sosteneva 2500 anni fa Tucidide, come ricorda Barbara nella sua introduzione. Il racconto che fa da sfondo alla vicenda principale è poi particolarmente significativo per me,nata e cresciuta in Valdichiana in un podere non molto distante da quello dei Luconi, che sono sicura di aver sentito nominare dai miei genitori.  La vita dei contadini, il lavoro della terra,strettamente legato all’alternarsi delle stagioni; la povertà che non impediva la solidarietà; la religiosità semplice e vera; la bellezza della campagna coni suoi profumi e colori: questo mondo lontano, che Barbara descrive con sensibilità e delicatezza,   lo sento anche mio.  Già il titolo Via dei mandorli evoca un luogo dell’anima, un paesaggio lirico con il candore dei fiori, il loro profumo e il ronzio degli insetti a primavera.

Fiorella Casucci

 
 
 
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