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« L'ORACOLO DELL'INTERNO 6IL TRENINO (allegro và..... »

IL TRENINO (allegro và...) Parte I

Post n°5 pubblicato il 14 Marzo 2014 da gabbo40

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“Seduto con le mani in mano, sopra una panchina fredda del metrò… sei qui che aspetti quello delle sette e trenta chiuso dentro al tuo paletot…” 

- Questa canzone è un capolavoro! Questo pensava Gianni mentre se ne stava,con gli auricolari ficcati nelle orecchie, ad aspettare il trenino urbano che lo riportava a casa dopo il lavoro.

- Baglioni si che sa fare poesia, anche delle cose più insulse e schifose. Claudio riuscirebbe a far passare per bello anche ‘sto cazzo di trenino!

 

In effetti il trenino urbano che collegava Tor Capoccia, periferia sud est della città, con il centro era veramente fra i peggiori mezzi pubblici a disposizione della comunità. In servizio dagli anni ’60 era rimasto praticamente immutato nel percorso e nei vagoni. Adesso utilizzato per lo più dagli extracomunitari che vivevano in periferia, era composto da tre carrozze vecchie e malandate, sempre pieno, sempre in ritardo e all’ora che lo prendeva Gianni per tornare a casa puzzava di sudore e di piscio.

Oggi era però il penultimo giorno di servizio di quella linea, fra due giorni, finalmente il sindaco avrebbe inaugurato la nuova linea della metropolitana. Carrozze nuove, spaziose e con l’aria condizionata; due giorni e poi Gianni sarebbe potuto andare e tornare dal lavoro come una persona civile. Invece sul trenino di Tor Capoccia ci potevi sentire quasi tutte le lingue parlate nell’est Europa, buona parte di quelle asiatiche e quasi tutti i dialetti africani.

- Ma dove cazzo va tutta ‘sta gente? Ma perché devono prendere il treno proprio all’ora che lo prendo io? Io almeno vado al lavoro! Ma loro?! Straccioni maledetti! Tutto il giorno a chiedere l’elemosina al centro, a fregare borse ai turisti e a vendere ombrelli fasulli! Ma vaffanculo!!!

No, Gianni non ce la faceva più a sopportarli; lui lavorava in un Hotel di lusso nel centro storico, era capo ricevimento e non sopportava di andare al lavoro portandosi dietro la puzza di curry e di sudore che gli rimaneva addosso quando prendeva quel trenino schiacciato addosso a tutta quella gente che odiava. Quando arrivava si lavava, si cambiava, si deodorava e nonostante tutto continuava a sentirsi addosso quegli odori disgustosi e allora tornava giù nello spogliatoio e si rideodorava di nuovo e tutti lo avevano preso per una specie di maniaco del deodorante; girava per l’hotel come un arbre magique ambulante lasciando scie profumate nei corridoi.

Quello che vi sto per raccontare inizia proprio su quel fetido trenino, una sera di metà ottobre, verso le otto e mezzo, quando fuori è già buio e comincia a far freddo. Gianni se ne stava schiacciato fra l’obliteratrice e un negrone di quasi due metri, stava guardando sul suo cellulare le foto che sua moglie aveva scattato alla festa di Beatrice. Beatrice era sua figlia, sette anni appena compiuti,  e per il suo compleanno avevano affittato una sala nel parco giochi del quartiere e lei aveva invitato tutta la sua classe per festeggiare. Gianni ne aveva approfittato per preparare le sue specialità: mojito e negroni  e aveva  intrattenuto i pochi papà intervenuti all’evento. Dopo tre o quattro bicchieri erano finiti tutti lì a commentare e a fotografare coi cellulari i culi più o meno sodi delle varie mamme sghignazzando allegramente. Un pomeriggio tutto sommato finito bene. Stava considerando che quando sua moglie aveva preso il suo telefono per fare qualche foto della festa, non aveva scattato nemmeno una foto a lui o agli altri, aveva fotografato solo i bambini, quando si accorse che il tizio tutto nero, non solo gli stava addosso ma lo stava pure fissando dall’alto. Cercò di fare finta di niente e si girò dandogli le spalle, ma avere quel gigante “puntato” dietro lo mise ancora più a disagio. Si girò di nuovo e lo guardò dritto in faccia, convinto di poterlo allontanare con uno sguardo serio e fermo, ma appena si voltò e guardò verso quella testa enorme, tutta nera e pelata, nella luce smorzata del vagone non riuscì a distinguere nient’altro che il bianco degli occhi che continuavano a fissarlo senza battere ciglio. Chinò la testa pensando che forse gli faceva meno paura dargli le spalle…

Continuò così per cinque, sei, sette fermate e più il trenino si allontanava dal centro e più gente scendeva. Scendevano i cingalesi con le buste piene di ombrelli, scendevano gli slavi con le buste piene di birre del discount, scendevano i cinesi con le buste piene di accendini luminosi e portacellulari di plastica, solo il negrone non scendeva mai e continuava a fissarlo. Gianni si era accorto che non era solo, c’erano, un po’ più in la, altri tre o quattro africani che parlottavano fra loro e che ogni tanto rivolgevano parola al tizio, senza peraltro ricevere alcuna risposta.

 Fu solo due fermate prima di scendere che Gianni lo vide muoversi.  Aveva una busta di plastica blu e ne tirò fuori un piccolo contenitore, uno di quelli che si usano per conservare i cibi in frigo; lo aprì di fronte a lui e in quel momento un forte odore di qualcosa che assomigliava agli asparagi gli entrò nelle narici. Dovette stringersi  la pancia con una mano per controllare un conato che gli veniva su prepotentemente. Sentì l’acido arrivargli fino in gola e lo ricacciò giù inghiottendo. Lo odiava, odiava quel  tizio che lo aveva fissato per tutto il viaggio e che ora lo stava facendo sentir male, come se non bastasse già la puzza che riempiva la carrozza.

- Ma che cazzo è quella roba?! Mica se la mangerà? Selvaggio maledetto!  L’odore gli era salito fino al cervello e gli stava facendo venire mal di testa. Si sentiva le orecchie bollenti e stava cominciando a sudare. Mancava solo una fermata e sarebbe potuto scendere  a respirare ma le ginocchia non lo reggevano più, gli occhi gli lacrimavano e la vista gli si annebbiò. Riuscì ad alzare lo sguardo e vide che in tutto quel nero, oltre al bianco degli occhi adesso c’era anche una fila di denti bianchi che sorrideva. Cadde sul pavimento lercio.

 

Non so dirvi quanto tempo passò, forse un’ora, forse due, forse molto di più. Di sicuro quando riprese conoscenza gli ci volle un po’ per realizzare la situazione. Aveva un forte cerchio alla testa, come se avesse annusato colla o benzina e nel naso gli ristagnava ancora quell’odore di asparagi. Sentiva un freddo cane e le mani e i piedi erano indolenziti e gli formicolavano. Quando si accorse di non potersi nemmeno muovere realizzò di essere nudo come un verme e  legato ad una sedia. Anzi, per la precisione era legato ad un seggiolino del suo trenino, ma non era su un vagone piuttosto sembrava qualcosa come un parcheggio, un magazzino o un deposito. Si trattava infatti del deposito dei  treni, la rimessa dove venivano parcheggiate le carrozze non più circolanti e destinate ad essere cannibalizzate per pezzi di ricambio o per la rottamazione.

Di fronte a lui, in due bidoni di ferro, bruciavano due fuochi e ombre di uomini neri come il fumo dei bidoni parlavano forte e si muovevano intorno.

-Ma che volete da me? Non vi ho fatto niente! Quando ho detto che fate tutti schifo scherzavo!!  Ma nessuno sembrava dargli retta, forse nemmeno capivano cosa stesse dicendo.

-Tu sei il prescelto dal nostro re.

-Tu stai per ricevere un grande onore. La voce era un misto fra Barry White e Franco Nero e veniva dalle sue spalle. Cercò di girarsi ma la voce gli girò intorno e gli si parò davanti, era lui, il negrone di due metri che lo aveva fissato per tutto il tempo sul treno e che lo aveva stordito con chissà che porcheria.

-Il nostro re ha scelto te per celebrare il sacro rito della rinascita e della fertilità. In nostra terra era forte come un leone ma da quando è arrivato qui, in questo paese sporco e inquinato, nella vostra città caotica e rumorosa non riesce più a soddisfare le sue mogli e non può più avere eredi al suo trono. E ora ha bisogno di te per ritrovare forza e virilità.

-Si vabbè, ma che c’entro io?? Che volete da me? E poi scusate, ma per forza nudo e legato? Col freddo che fa?

-Tu sei uomo fertile, hai molti bambini! Io ho visto le loro foto sul tuo telefono e ho visto anche le foto delle tue mogli! Certo in nostra tribù è importante avere molti maschi, tu hai molte femmine, ma non importa!!!

-Maccheccazzo stai  a dì!!! Quella è la classe di mia figlia!!! Non sono i miei figli!!! Non sono le mie mogli!!! Sono quelle culone delle loro mamme!!!

-Perché insulti le tue mogli? Devi essere fiero della discendenza che ti hanno dato. In Africa saresti uomo di grande rispetto. Ecco perché sei stato scelto per curare il nostro re.

Gianni non sapeva più che dire. Più si agitava più le corde gli facevano male. Intorno a lui una dozzina di uomini a torso nudo si disponevano in cerchio, alcuni di loro cominciarono a battere ritmicamente su dei bidoni vuoti, altri intonavano canti incomprensibili.

-Sta arrivando, il nostro re. Sta arrivando sua altezza Ayubu Bakari Kwesi Muenda Salehe Sef. Eccelso e divino, guida spirituale e fonte di saggezza. Abbassa il capo in segno di rispetto piccolo uomo bianco!

E con una manata, che sembrò più che altro un enorme coppino, gli piegò la testa in avanti. Gianni pensò che se il re era così saggio forse avrebbe capito il malinteso e lo avrebbe lasciato andare.

Si avvicinò il re, decorato con decine di collane di tappi di birra e bulloni, portava sul capo rasato una corona di plastica delle Winx  e sulle spalle aveva  una specie di mantello in miniatura, probabilmente raccattato da qualche costume di carnevale per bambini. Era seduto con le gambe incrociate sul cofano di una Fiat Uno grigio portato a spalla da quattro energumeni seminudi.

-Altezza, io vorrei spiegarle che qui…

-SILENZIO!!!  Urlò il negrone, che a questo punto Gianni capì essere una specie di stregone.

Il re prese la parola – Uomo bianco, tu sei stato scelto per curare la malattia che il tuo popolo mi ha contagiato. Attraverso te io recupererò le mie forze perdute.

-Io…  volevo dire che c’è un errore… SBAM! Un altro coppino dietro la nuca lo azzittì.

-Che il rito abbia inizio! Pronunciò lo stregone solennemente

– Ora tu mostrerai al nostro re tutta la tua virilità e quando questa sarà all’apice, io la prenderò e gliela darò perché lui se ne cibi e riacquisti la sua potenza con il tuo sacrificio!

-Vuol dire che mi volete sacrificare?! Mi volete ammazzare??  Mangiare?? Che cazzo siete, cannibali?

-No, non ti ammazzeremo  e non ti mangeremo, almeno non tutto. Solo un pezzetto… disse lo stregone mostrando la dentatura bianca.

Gianni inorridì e cominciò a capire in cosa consisteva il rito.

–Questi mi vogliono mangiare il cazzo!!! Aiutoooo!!! AIUTOOOO!!! Cominciò a strillare ma il battere ritmico dei  bidoni e dei canti copriva le sue grida.

-Che entri Naima, la più giovane delle mogli del re. Annunciò lo stregone – Lei danzerà e sveglierà il leone dentro di te. DANZA NAIMA! DANZA!

Gianni si guardò intorno terrorizzato dal pensiero di quello che gli stava per succedere. Se avesse avuto un erezione sarebbe stata la fine. Solo un pensiero lo consolava, come si poteva avere un erezione in una situazione simile?

Lo capì quando dal buio del deposito vagoni di Tor Capoccia Est sbucò Naima. Il ritmo dei bidoni si fece più lento e i canti si fermarono. Si avvicinò ancheggiando ritmicamente, scalza, coperta solo da un velo che, legato al collo scendeva fra i seni e andava a coprirla a malapena. I capelli acconciati in centinaia di piccole treccine ornate di fili colorati e con tanti  piccoli bracciali che tintinnavano ai polsi e alle caviglie.

Si mise di fronte al povero Gianni scuotendo i fianchi, avvicinandosi tanto da sfiorarlo con la bocca e con i seni. Da così vicino Gianni poteva sentirne l’odore che non aveva niente a che fare con gli odori che sentiva addosso alle nere che tutti i giorni affollavano il trenino. Naima odorava di selvatico, odorava di sangue e di carne. Carne che continuava ad agitarsi di fronte a lui mentre il ritmo dei bidoni aumentava e insieme ad esso,  aumentava il suo battito cardiaco. Ben presto il suo cervello non era più in grado di badare a tutto il resto intorno a lui, come se quella danza lo stesse ipnotizzando. Sentì ad un tratto che qualcosa in basso si stava muovendo. No! Stava per avere un erezione!  Si girò per non guardarla ma lei gli danzava  intorno e si rimetteva sempre davanti al suo sguardo. Allora cominciò a pensare ad altro. Cercò di ripetersi che Balotelli è un ottimo attaccante ma che non può rendere al meglio senza un centrocampo solido che lo appoggi… I signori Smith domani faranno il check out dopo mezzogiorno e forse gli servirà un taxi per l’aeroporto… alle prossime elezioni vincerà ancora il centrodestra perché la sinistra non ha un programma valido… e… e… e non ce la faceva più. Posò di nuovo gli occhi su quella femmina che ora gli stava scuotendo le chiappe in faccia e si accorse di avere un’erezione come mai gli era successo prima.

-Ci siamo! Proclamò lo stregone tirando fuori da una busta della Conad un coltellaccio da cucina.

 –E’ giunto il momento! Il re seguiva con trepidazione tutto il rito, anche se non so dirvi se fosse entusiasta o meno di doversi mangiare quel cosetto rosa, per giunta a crudo. Fatto sta che quando lo stregone poggiò il coltellaccio sull’arnese del  povero Gianni, eccitato si, ma in lacrime, ed una piccola goccia di sangue uscì nel punto in cui la lama doveva cominciare il suo lavoro, si fermò. Gianni era in apnea coi denti stretti e sudava, nonostante il freddo della notte. Non sentì nemmeno lo sparo. Il nero rimase immobile e cadde a terra senza un fiato, con un piccolo foro calibro 9 vicino alla tempia. Gianni riprese a respirare e guardò il capoccione dello stregone con gli occhi sbarrati ed un rivolo di sangue che si spandeva sul terreno battuto.

 

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