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Un blog creato da gabbo40 il 14/03/2014

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IL TRENINO (allegro vą...) Parte II

Post n°6 pubblicato il 14 Marzo 2014 da gabbo40

-DAGLI AI NEGRACCI!!! Urlo qualcuno alle sue spalle. All’improvviso fu il caos. Gente sbucata dal buio della notte (o della tarda sera, ripeto, non so che ore fossero…) invase il piazzale del deposito scagliandosi sul gruppo di neri con la violenza di uno tsunami . Iniziarono a volare botte; il re ordinò ai sui portatori di fare dietrofront e scappare, ma questi, per la paura lo fecero cadere dal cofano della Uno grigia, furono raggiunti e pestati a colpi di spranghe e anfibi. Lo stesso toccò a tutti i suonatori di bidoni, ai cantanti e pure a Naima che non era riuscita a scappare. Ora un tizio rasato la teneva per le treccine mentre la prendeva a calci in culo e insultava lei e i suoi avi. Gianni stava al centro di tutto, i nuovi arrivati sembravano non vederlo e lui, sempre nudo e sempre legato al seggiolino urlava fra l’eccitato e l’isterico –Ammazzateli! Cannibali bastardi! AHAHHAHAH! Ammazzateli tutti! AHAHAHAAAH!

Per un buon quarto d’ora andò avanti così, i neri che cercavano di scappare e gli altri che li raggiungevano e li pestavano, sul piazzale, dentro le carrozze, sopra ai cumuli di pezzi di ricambio, tutto intorno a Gianni. Urla, lamenti, insulti e risate. Quando tutto finalmente tacque partì una versione a cappella di “Faccetta nera” intonata dai suoi salvatori che finalmente si accorsero di lui.

Per la cronaca, si trattava del gruppo filo-nazi- anarco-fasci-estremista “Asso di Bastoni”, guidato dal fiero camerata Renatino Zampetti detto “Er manganello”, pluri condannato per associazione a delinquere, ricettazione, scippo, spaccio, aggressione a sfondo razziale, aggressione per futili motivi e aggressione tanto per, ospite a tempi alterni prima del carcere minorile e poi della locale casa circondariale. Attualmente sotto la tutela dei servizi sociali che lo avevano fatto assumere come magazziniere in un supermercato. Da dove Renatino regolarmente rubava casse d’alcol che servivano ad alimentare le serate del gruppo.

Dicevo che alla fine si accorsero di lui, e fu proprio Renatino ad andargli incontro

– E tu che cazzo ce stai a fa qua? Chiese guardandolo fisso con le pupille dilatate dall’anfetamina e poggiandogli la canna della pistola sul naso.

– Dio mio, vi ringrazio! Mi avete salvato! Questi barbari volevano mangiarmi, cioè non volevano mangiarmi tutto, solo l’uccello… si insomma… stavano per fare un rito con quella che ballava e poi.

–Liberatelo! Ordinò Renatino ai suoi. Un tizio alto e magrissimo rasato anche lui e con un’aquila imperiale tatuata sulla nuca tagliò la corda che lo legava e finalmente riuscì a rimettersi in piedi, tenendosi davanti una mano cercò intorno qualcosa per coprirsi. Raccolse da terra il velo di Naima, sporco di terra e sangue e se lo arrotolò intorno ai fianchi. Ora sembrava una specie di Ghandi, solo più pallido. Intanto Renatino aveva cominciato a parlare:

-Noi semo i rappresentanti della Patria! Noi semo la parte più pura di questa terra! Noi semo i giustizieri che scacceranno ‘sta feccia dalla nostra nazione! Li massacreremo uno ad uno finché nessun negro, cinese, indiano, ebreo, cingalese, slavo, frocio o comunista calpesti più er sacro suolo di questo paese!

-AVE! AVE! AVE! Gridarono di rimando tutti gli altri euforici per quell’impresa appena compiuta e ripartì il coro di Faccetta nera.

A Gianni la presenza di quella gente metteva un po’ d’ansia e cercò di pensare ad un modo per defilarsi.

-Io, si… vi ringrazio, veramente… ma dovrei proprio andare, sapete mia moglie…

-AHAHAHAH!!! Adesso tu andrai e dirai a tutti che sei stato salvato dai fieri camerati dell’Asso di Bastoni! Canta con noi “ …aspetta e spera che già l’ora s’avvicinaaaa…” e gli mise un braccio intorno al collo come fossero amici da sempre.

-Ma certamente! Senz’altro. Lo dirò a tutti. È ovvio, si vede che siete brave persone. Se vi servono referenze per qualunque motivo non esitate a chiamarmi! Adesso era di nuovo nervoso, è vero che era vivo ed aveva ancora il suo uccello attaccato, ma la compagnia di quel gruppo di naziskin esaltati e gonfi d’anfetamina non lo metteva per nulla a suo agio, senza contare che era, eccetto il velo, ancora praticamente nudo.

–Vorrei solo recuperare i miei vestiti…

-Eccoli! Disse un piccoletto rasato che portava ai piedi un paio di anfibi enormi che lo facevano sembrare più una sorpresa di un ovetto Kinder che un naziskin.

– Eccoli qua. E tirò fuori da una busta di plastica i pantaloni, la camicia e il cappotto di Gianni. Glieli tirò ai piedi e dalla tasca del cappotto scivolò fuori il cellulare.

–Questo lo prendo io! Fece Renatino impossessandosi del telefono. Era l’ultimo modello della Pineapple, nuovo nuovo, pagato cinquecento euro una settimana prima.

-Camerati! Unitevi in formazione e famose una foto! Ordinò ai suoi uomini.

- Tu mettite qua. E spinse Gianni nel gruppo.

Tutti si strinsero intorno a lui in formazione calcistica, una fila in piedi ed una fila accosciati, di fronte a loro un cofano di una Fiat Uno grigio su cui ancora pulsava una polpa di sangue e stracci che fino a mezz’ora prima era stata un re.

-Vedemo com’è venuta! Disse orgoglioso “er manganello” .

–Questa la mettemo appesa sul muro della sezione. E il naziskin se la rideva a trentadue denti.

Ecco, questo è un altro punto di svolta nella storia del nostro Gianni; Renatino cominciò quindi a sfogliare la galleria fotografica del cellulare e dopo l’euforia iniziale smise di ridere. Guardò Gianni che voleva allontanarsi dal gruppo per raccogliere i vestiti e gli puntò la calibro nove ancora calda sul petto nudo.

– Pervertito! Sei un zozzo pedofilo maledetto! Qua dentro ce stanno solo foto de culi e de ragazzini! Gli strillò in faccia.

Gianni impallidì e mentre cercava di aprire la bocca per spiegare, il calcio della pistola di Renatino gliela richiuse. Sentì le labbra che si gonfiavano immediatamente, sentì il sapore del sangue e con la lingua sentì anche il buco lasciato dal primo e dal secondo incisivo superiore, volati via all’impatto con l’arma.

Piegato in due dal dolore, con una mano davanti alla bocca, Gianni ricevette una pedata su un fianco che lo fece cadere a terra.

– Fono i coppagni di claffe di mia fiiia… CAFFO!!! Cercò di dire, ma un altro calcio dietro la schiena gli spezzò il fiato.

-Sei un maiale! Anche tu sei feccia come questi animali che abbiamo appena punito! Poi si interruppe.

-Ora che ci penso… ti abbiamo visto prima che te guardavi la negra a cazzo dritto! Tu sei un pervertito amico dei negri!

Gianni, si stava per mettere a piangere, era la fine. Non riusciva a parlare e intanto malediceva il telefono Pineapple da cinquecento euro, malediceva tutti i bambini in classe di sua figlia e tutte le loro madri culone e malediceva quel trenino fetente che lo aveva portato fin lì anziché a casa sua.

-Che facciamo lo ammazziamo qui o lo torturiamo un po’? Disse il piccoletto con gli anfibi enormi .

- Caricatelo sul furgone, lo portiamo al magazzino e poi vediamo. Per i porci come questo morì subito è un premio.

Lo presero per un orecchio e lo trascinarono fino all’entrata del deposito dove era parcheggiato il Rascal bianco del supermercato con il quale Renatino portava la spesa a domicilio ai vecchi del quartiere.

Salirono nel retro Gianni, Renatino e il piccoletto rasato. Lo spilungone si mise alla guida continuando a cantare Faccetta Nera, contento come un bambino al luna park.

– Metti in moto e andiamo, facciamogli passare una bella serata a questo schifoso.

-Lo facciamo a pezzi! Lo facciamo a pezzi! Urlò lo spilungone mettendo la prima e sgommando.

–A quelli come te gli spezzo tutte le dita e poi gliele faccio mangiare! Renà! Posso cominciare io? Eh? Posso cominciare io? E allungò il braccio dietro al sedile colpendo Gianni con un ceffone sulla testa.

Il furgoncino schizzava per le strade deserte della periferia. Nel retro Renatino teneva sotto tiro Gianni, mentre lui se ne stava raggomitolato in un angolo tenendosi la faccia gonfia. Intanto l’altro lo insultava e lo colpiva sulle gambe con un tubo di gomma.

Sballottato, picchiato, insultato e con il pensiero che stava per essere torturato e ucciso in un garage, il nostro povero Gianni non resse più e singhiozzando si pisciò addosso dalla paura.

-Cazzo! Ma fai schifo! Urlò il naziskin allontanandosi dal rivolo di urina che si spandeva nel cassone.

Il lungo si girò di nuovo.

– Ti sei pisciato addosso maiale! Brutta merda ti ammazzo qui! Prima gli allungò un altro ceffone e poi si girò completamente dimenticandosi che stava guidando. Il Rascal iniziò a sbandare sull’asfalto umido della notte e dopo un testacoda si mise di traverso alla strada e iniziò a rotolare.

Rotolò la prima volta: il piccoletto si spaccò la testa sbattendo sul montante del cassone.

Rotolò la seconda volta e il lungo fu sbalzato per metà fuori dal finestrino e finì sotto al furgone.

Al terzo giro su se stesso si sentì un colpo di pistola e il Rascal si fermò addosso all’ultima cabina telefonica rimasta in città.

Trascorse un po’ di tempo senza che succedesse niente, non una macchina, non un passante, nulla.

Tutto era silenzioso intorno al furgoncino e alla cabina distrutta.

Finalmente, dal portellone aperto, uscì Gianni, trascinandosi fuori a fatica. Nel rotolare si era lussato una spalla e si teneva il braccio stringendo i denti.

Guardò dentro il Rascal, Renatino era a faccia in giù in una pozza di sangue. Il colpo partito per sbaglio lo aveva preso all’addome. Sulla strada non c’era traccia del resto del gruppo.

Doveva allontanarsi in fretta in caso fossero arrivati, così cominciò a correre per quanto poteva, seminudo, zoppicando e reggendosi il braccio disarticolato.

Continuò seguendo il bordo di quella strada di periferia fino ad un passaggio a livello.

-I binari! Il trenino! Sono vicino, posso arrivare a casa.

Cominciò a seguire i binari zoppicando e inciampando nelle traverse. Il cielo cominciava a rischiarare, era quasi l’alba; stanchezza, dolore ed euforia d’esser ancora vivo gli si mischiavano nel cervello dandogli una lucidità che fino a quel momento non era riuscito ad avere. Sapeva solo che doveva andare avanti, fino alla fermata del treno.

E ci arrivò pochi minuti dopo, minuti che a lui sembrarono ore. Sulla piattaforma c’erano solo due signore d’una certa età, probabilmente due badanti slave che smisero di parlare e lo fissarono in silenzio fino all’arrivo del treno.

Si aprirono le porte, le due donne salirono, timbrarono il biglietto nella macchinetta e si andarono a sedere in fondo.

-Fono abbonato… biascicò Gianni schizzando un po’ di saliva e sangue sul vetro che lo divideva dal guidatore.

Questi lo guardò come se fosse normale che su quel treno salissero passeggeri seminudi, sanguinanti e con gli arti dislocati. Così gli credette sulla fiducia e non gli chiese nemmeno di mostrargli la tessera. Gianni provò a sorridere e andò a sedersi.

Adesso lo so, erano le cinque e trentacinque e quella era la prima corsa dell’ultimo giorno di servizio del trenino di Tor Capoccia.

Da domani Gianni avrebbe preso la metro.

 
 
 

IL TRENINO (allegro vą...) Parte I

Post n°5 pubblicato il 14 Marzo 2014 da gabbo40

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“Seduto con le mani in mano, sopra una panchina fredda del metrò… sei qui che aspetti quello delle sette e trenta chiuso dentro al tuo paletot…” 

- Questa canzone è un capolavoro! Questo pensava Gianni mentre se ne stava,con gli auricolari ficcati nelle orecchie, ad aspettare il trenino urbano che lo riportava a casa dopo il lavoro.

- Baglioni si che sa fare poesia, anche delle cose più insulse e schifose. Claudio riuscirebbe a far passare per bello anche ‘sto cazzo di trenino!

 

In effetti il trenino urbano che collegava Tor Capoccia, periferia sud est della città, con il centro era veramente fra i peggiori mezzi pubblici a disposizione della comunità. In servizio dagli anni ’60 era rimasto praticamente immutato nel percorso e nei vagoni. Adesso utilizzato per lo più dagli extracomunitari che vivevano in periferia, era composto da tre carrozze vecchie e malandate, sempre pieno, sempre in ritardo e all’ora che lo prendeva Gianni per tornare a casa puzzava di sudore e di piscio.

Oggi era però il penultimo giorno di servizio di quella linea, fra due giorni, finalmente il sindaco avrebbe inaugurato la nuova linea della metropolitana. Carrozze nuove, spaziose e con l’aria condizionata; due giorni e poi Gianni sarebbe potuto andare e tornare dal lavoro come una persona civile. Invece sul trenino di Tor Capoccia ci potevi sentire quasi tutte le lingue parlate nell’est Europa, buona parte di quelle asiatiche e quasi tutti i dialetti africani.

- Ma dove cazzo va tutta ‘sta gente? Ma perché devono prendere il treno proprio all’ora che lo prendo io? Io almeno vado al lavoro! Ma loro?! Straccioni maledetti! Tutto il giorno a chiedere l’elemosina al centro, a fregare borse ai turisti e a vendere ombrelli fasulli! Ma vaffanculo!!!

No, Gianni non ce la faceva più a sopportarli; lui lavorava in un Hotel di lusso nel centro storico, era capo ricevimento e non sopportava di andare al lavoro portandosi dietro la puzza di curry e di sudore che gli rimaneva addosso quando prendeva quel trenino schiacciato addosso a tutta quella gente che odiava. Quando arrivava si lavava, si cambiava, si deodorava e nonostante tutto continuava a sentirsi addosso quegli odori disgustosi e allora tornava giù nello spogliatoio e si rideodorava di nuovo e tutti lo avevano preso per una specie di maniaco del deodorante; girava per l’hotel come un arbre magique ambulante lasciando scie profumate nei corridoi.

Quello che vi sto per raccontare inizia proprio su quel fetido trenino, una sera di metà ottobre, verso le otto e mezzo, quando fuori è già buio e comincia a far freddo. Gianni se ne stava schiacciato fra l’obliteratrice e un negrone di quasi due metri, stava guardando sul suo cellulare le foto che sua moglie aveva scattato alla festa di Beatrice. Beatrice era sua figlia, sette anni appena compiuti,  e per il suo compleanno avevano affittato una sala nel parco giochi del quartiere e lei aveva invitato tutta la sua classe per festeggiare. Gianni ne aveva approfittato per preparare le sue specialità: mojito e negroni  e aveva  intrattenuto i pochi papà intervenuti all’evento. Dopo tre o quattro bicchieri erano finiti tutti lì a commentare e a fotografare coi cellulari i culi più o meno sodi delle varie mamme sghignazzando allegramente. Un pomeriggio tutto sommato finito bene. Stava considerando che quando sua moglie aveva preso il suo telefono per fare qualche foto della festa, non aveva scattato nemmeno una foto a lui o agli altri, aveva fotografato solo i bambini, quando si accorse che il tizio tutto nero, non solo gli stava addosso ma lo stava pure fissando dall’alto. Cercò di fare finta di niente e si girò dandogli le spalle, ma avere quel gigante “puntato” dietro lo mise ancora più a disagio. Si girò di nuovo e lo guardò dritto in faccia, convinto di poterlo allontanare con uno sguardo serio e fermo, ma appena si voltò e guardò verso quella testa enorme, tutta nera e pelata, nella luce smorzata del vagone non riuscì a distinguere nient’altro che il bianco degli occhi che continuavano a fissarlo senza battere ciglio. Chinò la testa pensando che forse gli faceva meno paura dargli le spalle…

Continuò così per cinque, sei, sette fermate e più il trenino si allontanava dal centro e più gente scendeva. Scendevano i cingalesi con le buste piene di ombrelli, scendevano gli slavi con le buste piene di birre del discount, scendevano i cinesi con le buste piene di accendini luminosi e portacellulari di plastica, solo il negrone non scendeva mai e continuava a fissarlo. Gianni si era accorto che non era solo, c’erano, un po’ più in la, altri tre o quattro africani che parlottavano fra loro e che ogni tanto rivolgevano parola al tizio, senza peraltro ricevere alcuna risposta.

 Fu solo due fermate prima di scendere che Gianni lo vide muoversi.  Aveva una busta di plastica blu e ne tirò fuori un piccolo contenitore, uno di quelli che si usano per conservare i cibi in frigo; lo aprì di fronte a lui e in quel momento un forte odore di qualcosa che assomigliava agli asparagi gli entrò nelle narici. Dovette stringersi  la pancia con una mano per controllare un conato che gli veniva su prepotentemente. Sentì l’acido arrivargli fino in gola e lo ricacciò giù inghiottendo. Lo odiava, odiava quel  tizio che lo aveva fissato per tutto il viaggio e che ora lo stava facendo sentir male, come se non bastasse già la puzza che riempiva la carrozza.

- Ma che cazzo è quella roba?! Mica se la mangerà? Selvaggio maledetto!  L’odore gli era salito fino al cervello e gli stava facendo venire mal di testa. Si sentiva le orecchie bollenti e stava cominciando a sudare. Mancava solo una fermata e sarebbe potuto scendere  a respirare ma le ginocchia non lo reggevano più, gli occhi gli lacrimavano e la vista gli si annebbiò. Riuscì ad alzare lo sguardo e vide che in tutto quel nero, oltre al bianco degli occhi adesso c’era anche una fila di denti bianchi che sorrideva. Cadde sul pavimento lercio.

 

Non so dirvi quanto tempo passò, forse un’ora, forse due, forse molto di più. Di sicuro quando riprese conoscenza gli ci volle un po’ per realizzare la situazione. Aveva un forte cerchio alla testa, come se avesse annusato colla o benzina e nel naso gli ristagnava ancora quell’odore di asparagi. Sentiva un freddo cane e le mani e i piedi erano indolenziti e gli formicolavano. Quando si accorse di non potersi nemmeno muovere realizzò di essere nudo come un verme e  legato ad una sedia. Anzi, per la precisione era legato ad un seggiolino del suo trenino, ma non era su un vagone piuttosto sembrava qualcosa come un parcheggio, un magazzino o un deposito. Si trattava infatti del deposito dei  treni, la rimessa dove venivano parcheggiate le carrozze non più circolanti e destinate ad essere cannibalizzate per pezzi di ricambio o per la rottamazione.

Di fronte a lui, in due bidoni di ferro, bruciavano due fuochi e ombre di uomini neri come il fumo dei bidoni parlavano forte e si muovevano intorno.

-Ma che volete da me? Non vi ho fatto niente! Quando ho detto che fate tutti schifo scherzavo!!  Ma nessuno sembrava dargli retta, forse nemmeno capivano cosa stesse dicendo.

-Tu sei il prescelto dal nostro re.

-Tu stai per ricevere un grande onore. La voce era un misto fra Barry White e Franco Nero e veniva dalle sue spalle. Cercò di girarsi ma la voce gli girò intorno e gli si parò davanti, era lui, il negrone di due metri che lo aveva fissato per tutto il tempo sul treno e che lo aveva stordito con chissà che porcheria.

-Il nostro re ha scelto te per celebrare il sacro rito della rinascita e della fertilità. In nostra terra era forte come un leone ma da quando è arrivato qui, in questo paese sporco e inquinato, nella vostra città caotica e rumorosa non riesce più a soddisfare le sue mogli e non può più avere eredi al suo trono. E ora ha bisogno di te per ritrovare forza e virilità.

-Si vabbè, ma che c’entro io?? Che volete da me? E poi scusate, ma per forza nudo e legato? Col freddo che fa?

-Tu sei uomo fertile, hai molti bambini! Io ho visto le loro foto sul tuo telefono e ho visto anche le foto delle tue mogli! Certo in nostra tribù è importante avere molti maschi, tu hai molte femmine, ma non importa!!!

-Maccheccazzo stai  a dì!!! Quella è la classe di mia figlia!!! Non sono i miei figli!!! Non sono le mie mogli!!! Sono quelle culone delle loro mamme!!!

-Perché insulti le tue mogli? Devi essere fiero della discendenza che ti hanno dato. In Africa saresti uomo di grande rispetto. Ecco perché sei stato scelto per curare il nostro re.

Gianni non sapeva più che dire. Più si agitava più le corde gli facevano male. Intorno a lui una dozzina di uomini a torso nudo si disponevano in cerchio, alcuni di loro cominciarono a battere ritmicamente su dei bidoni vuoti, altri intonavano canti incomprensibili.

-Sta arrivando, il nostro re. Sta arrivando sua altezza Ayubu Bakari Kwesi Muenda Salehe Sef. Eccelso e divino, guida spirituale e fonte di saggezza. Abbassa il capo in segno di rispetto piccolo uomo bianco!

E con una manata, che sembrò più che altro un enorme coppino, gli piegò la testa in avanti. Gianni pensò che se il re era così saggio forse avrebbe capito il malinteso e lo avrebbe lasciato andare.

Si avvicinò il re, decorato con decine di collane di tappi di birra e bulloni, portava sul capo rasato una corona di plastica delle Winx  e sulle spalle aveva  una specie di mantello in miniatura, probabilmente raccattato da qualche costume di carnevale per bambini. Era seduto con le gambe incrociate sul cofano di una Fiat Uno grigio portato a spalla da quattro energumeni seminudi.

-Altezza, io vorrei spiegarle che qui…

-SILENZIO!!!  Urlò il negrone, che a questo punto Gianni capì essere una specie di stregone.

Il re prese la parola – Uomo bianco, tu sei stato scelto per curare la malattia che il tuo popolo mi ha contagiato. Attraverso te io recupererò le mie forze perdute.

-Io…  volevo dire che c’è un errore… SBAM! Un altro coppino dietro la nuca lo azzittì.

-Che il rito abbia inizio! Pronunciò lo stregone solennemente

– Ora tu mostrerai al nostro re tutta la tua virilità e quando questa sarà all’apice, io la prenderò e gliela darò perché lui se ne cibi e riacquisti la sua potenza con il tuo sacrificio!

-Vuol dire che mi volete sacrificare?! Mi volete ammazzare??  Mangiare?? Che cazzo siete, cannibali?

-No, non ti ammazzeremo  e non ti mangeremo, almeno non tutto. Solo un pezzetto… disse lo stregone mostrando la dentatura bianca.

Gianni inorridì e cominciò a capire in cosa consisteva il rito.

–Questi mi vogliono mangiare il cazzo!!! Aiutoooo!!! AIUTOOOO!!! Cominciò a strillare ma il battere ritmico dei  bidoni e dei canti copriva le sue grida.

-Che entri Naima, la più giovane delle mogli del re. Annunciò lo stregone – Lei danzerà e sveglierà il leone dentro di te. DANZA NAIMA! DANZA!

Gianni si guardò intorno terrorizzato dal pensiero di quello che gli stava per succedere. Se avesse avuto un erezione sarebbe stata la fine. Solo un pensiero lo consolava, come si poteva avere un erezione in una situazione simile?

Lo capì quando dal buio del deposito vagoni di Tor Capoccia Est sbucò Naima. Il ritmo dei bidoni si fece più lento e i canti si fermarono. Si avvicinò ancheggiando ritmicamente, scalza, coperta solo da un velo che, legato al collo scendeva fra i seni e andava a coprirla a malapena. I capelli acconciati in centinaia di piccole treccine ornate di fili colorati e con tanti  piccoli bracciali che tintinnavano ai polsi e alle caviglie.

Si mise di fronte al povero Gianni scuotendo i fianchi, avvicinandosi tanto da sfiorarlo con la bocca e con i seni. Da così vicino Gianni poteva sentirne l’odore che non aveva niente a che fare con gli odori che sentiva addosso alle nere che tutti i giorni affollavano il trenino. Naima odorava di selvatico, odorava di sangue e di carne. Carne che continuava ad agitarsi di fronte a lui mentre il ritmo dei bidoni aumentava e insieme ad esso,  aumentava il suo battito cardiaco. Ben presto il suo cervello non era più in grado di badare a tutto il resto intorno a lui, come se quella danza lo stesse ipnotizzando. Sentì ad un tratto che qualcosa in basso si stava muovendo. No! Stava per avere un erezione!  Si girò per non guardarla ma lei gli danzava  intorno e si rimetteva sempre davanti al suo sguardo. Allora cominciò a pensare ad altro. Cercò di ripetersi che Balotelli è un ottimo attaccante ma che non può rendere al meglio senza un centrocampo solido che lo appoggi… I signori Smith domani faranno il check out dopo mezzogiorno e forse gli servirà un taxi per l’aeroporto… alle prossime elezioni vincerà ancora il centrodestra perché la sinistra non ha un programma valido… e… e… e non ce la faceva più. Posò di nuovo gli occhi su quella femmina che ora gli stava scuotendo le chiappe in faccia e si accorse di avere un’erezione come mai gli era successo prima.

-Ci siamo! Proclamò lo stregone tirando fuori da una busta della Conad un coltellaccio da cucina.

 –E’ giunto il momento! Il re seguiva con trepidazione tutto il rito, anche se non so dirvi se fosse entusiasta o meno di doversi mangiare quel cosetto rosa, per giunta a crudo. Fatto sta che quando lo stregone poggiò il coltellaccio sull’arnese del  povero Gianni, eccitato si, ma in lacrime, ed una piccola goccia di sangue uscì nel punto in cui la lama doveva cominciare il suo lavoro, si fermò. Gianni era in apnea coi denti stretti e sudava, nonostante il freddo della notte. Non sentì nemmeno lo sparo. Il nero rimase immobile e cadde a terra senza un fiato, con un piccolo foro calibro 9 vicino alla tempia. Gianni riprese a respirare e guardò il capoccione dello stregone con gli occhi sbarrati ed un rivolo di sangue che si spandeva sul terreno battuto.

 

 
 
 

L'ORACOLO DELL'INTERNO 6

Post n°4 pubblicato il 14 Marzo 2014 da gabbo40

 

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SMS: "Ti prego, posso passare da te stasera?"


Che palle! Già lo so, s'è lasciata di nuovo con quel fesso del ragazzo e viene a spaccarmi i coglioni perché non sa che fare. Beh, almeno porta sempre da fumare.
Din Don...
"Ciao, allora? Ti ha lasciata di nuovo?"
"No, non ci siamo lasciati…cioè, quasi…
Entra, butta la sua roba sul divano.
Stappo due birre.
"Si, insomma capisci? Mi ama pero' non è sicuro, allora non mi può lasciare del tutto... però non stiamo proprio insieme"
"Ah si…" Mi domando se vuol dire che ci posso provare. Sono autorizzato a mettergli una mano fra le cosce? Hmm… E' incazzata e confusa, chissà magari ci casca.
"E allora capisci? Poi mi ha telefonato ed era come un'altra persona. Tieni, girane una."
Mi passa le cartine e il resto. Evvai, era ora, mi ci vuole. Oggi è più noiosa del solito. Devo annebbiarmi.
"Non è che io non l'amo ma non mi sento sicura di voler provare qualcosa per qualcuno che ha dei dubbi sui propri sentimenti per me. Però è più forte di me…"
Si, si come no… Stappo un'altra birra e accendo.
Lei sta ancora parlando e la sua birra è ancora tutta lì, fra un po' sarà tiepida, che spreco.
"Sai, alle volte penso che rappresenti tutto per me. Che dici lo dovrei chiamare?"
Pausa, sorso di birra, tirata, sbuffo di fumo ancora pausa.
"Secondo me devi aspettare."
"Vale a dire?"
"Noi siamo dei fregnoni. Facciamo i ganzi al bar con gli amici e poi, quando non ci sente nessuno, magari al telefono, siamo tutto uno sbrodolare di "cucciolotta" "puccettina" e tutte 'ste fregnacce.
Sta salendo la botta, attutita dalla birra.
"Tiratela, e vedrai che tornerà."
Voilà! Oro colato! Verità assoluta! Mica ci crederà per davvero?
"Hai proprio ragione... devo fare così !"


Non ci posso credere...

La birra è finita, prendo la boccia di Bacardi e cerco una Coca in frigo.
Ha già ripreso a parlare e a raccontare. Cazzo, non c'è ghiaccio nel freezer! Vabbè tanto la Coca è fredda…
Verso e mischio, intanto lei fa sempre da sottofondo. Non mi attrae, non credo sia bella, però me la chiaverei volentieri.
Ma tanto lei fa solo da sottofondo, la donna sottofondo.
Ideale per riempire i silenzi di casa vostra! C'è chi, durante le cene con gente con cui non ha particolare confidenza, lascia la televisione accesa. Lì da una parte, a basso volume, a fare da riempimento nelle pause più lunghe fra una chiacchiera generica e un complimento per la salsa.

Io invece ho una donna per sottofondo.
Fumo ancora, un altro Bacardi e Coca.
Ormai mi si sta annebbiando il cervello… minchia… ma che sta dicendo? Maccheccazzo vuole questa ?
" Ma allora pensi che dovrei riprovarci? Mi sembrava così sincero, piangeva come un pupo…"
Lungo sospiro (io, non lei).
Cerco di darmi l'aria di quello che riflette su ogni parola e pondera con saggezza la situazione. Come un giudice che deve emettere una sentenza pesante.
In fondo se è venuta qua, non è per sentirsi dire fesserie, ma per avere un consiglio. Per capire cosa è giusto fare. Ha esposto i suoi dubbi e fatto le sue domande a me, l'oracolo dell' interno sei!
Io invece me la chiaverei. Ma tanto stasera non è aria.
"Datti un po' di tempo…" L'oracolo butta giù un altro sorso di Bacardi come fosse ambrosia offerta agli dei che gli sveleranno il futuro, stavolta senza Coca che è finita.
" Lo sa da solo che ha bisogno di te, lascialo in pace per un po' (che sei una bella rompicoglioni…) e te lo ritroverai sulla porta." Ora sto sconfinando nella preveggenza…
Lei mi guarda e inizia a girare la terza. Ci sta pensando, forse l'ho convinta.
Da due tiri e poi sorridendo si alza.
"Ti ringrazio, non sai quanto mi sei stato d'aiuto questa sera, davvero…"
Mi lascia il resto e fa per infilarsi la giacca.
E' un po' rotondetta, ma mi accorgo che ha un gran bel paio di tette.
"Grazie ancora, ci dobbiamo rivedere al più presto."
Ripeto, io me la chiaverei.
"Buonanotte"
"Notte…"
Finisco il mio Bacardi e apro la finestra che c'è una gran puzza di fumo.
In tivù non c'è più niente, credo che proverò a farmi una sega e andrò
a dormire.

 
 
 

IL CASO SCUGNIZZI - Cap V/VI

Post n°3 pubblicato il 14 Marzo 2014 da gabbo40

V

 

Andai alla mia scrivania e li rimasi seduto fingendo di riordinare le carte, mi serviva una pista sicura, una traccia da seguire.

In quel preciso istante il telefono squillo’.

- Abbello! So io, Clittoria, senti…no, e che te dovrei parlare de una cosa che riguarda Scugnizzi.

- T’ascolto…

- No ma che sei matto ! mica telo posso dì pe telefono. Ci dobbiamo vedere.

 

Più tardi… (nel parco?)

- So che Gennaro Ricattava qualcuno. L’ho sentito parlare di mandare in rovina qualche industria di caffè di cui non so il nome se non avessero fatto come diceva lui.

 

Pensando a quello che Clittoria mi aveva appena detto tornai verso il mio Rascal senza rendermi conto che Silos era ancora lì e che si era accasato nell’abitacolo.

- Pezzente sei ancora qui? Vabbé ti tengo come antifurto. Vieni andiamo a mettere qualcosa sotto i denti.

 

Andammo al bar di Charlie.

-Charlie! Portami da bere!

-Che?

-Il solito!

-Il solito che?

-....

 

Silos iniziò a raccontarmi di lui. Di com’era diventato un barbone. Aveva avuto una vita normale una casa ed un lavoro, poi gli eventi lo portarono ai margini della società sempre più lontano da docce e bidet…

E furono proprio questi fatti ad incuriosirmi, con mia sorpresa scoprii che Silos era un ex impiegato chimico di laboratorio e che aveva lavorato per Pochaontas. Fu lui a fare i test su una miscela di caffe’ che avrebbe dovuto rivoluzionare il mercato, e che Pochaontas avrebbe presentato da lì a breve, nonostante gli effetti collaterali ai quali i tecnici non erano ancora riusciti a porre rimedio. E fu sempre lui che in cambio di un abbonamento alla rivista per biologi adulti “bacilli senza veli” li passo’ a Scugnizzi il quale cominciò a ricattare Pochaontas, minacciandolo di mandarlo in rovina.

Tutto sembrava filare liscio. Aveva le sue riviste e la protezione di Scugnizzi, almeno fino alla morte di quest’ultimo. Erano soltanto loro tre a sapere i risultati di quei test di laboratorio, ed ora che nessuno lo proteggeva più Pochaontas voleva rimanere il solo a conoscenza di questo segreto.

Capii cosi’ che il mio incontro con Silos non era stato poi così fortuito. Lui era convinto che fosse stato questo il motivo per cui Pochaontas aveva ucciso Scugnizzi.

Ma cosa c’era di tanto grosso nei risultati di quei test?

 

Un fragore mandò in frantumi la vetrata del bar, Silos rimase a fissarmi e prima che potesse dirmi di più su quei test cadde con la faccia nel piatto. Un’auto dai vetri scuri sgommò via prima che potessi vederne la targa.

 

Ora che Scugnizzi era morto e che Silos lo aveva raggiunto niente avrebbe più preoccupato Pochaontas il quale avrebbe potuto continuare tranquillamente a regnare sul suo impero di caffè.

Dopo aver chiamato la centrale e fatto rapporto sull’accaduto, quella sera, tornai da Megargel.

-Ah sei tornato,

-cosa mi dici del caffe?

-Il caffe’ devo ancora metterlo su!

-No la polvere di caffe’ che ti ho portato!

-Ah si, e’ caffe’ di qualita’ scarsa, niente di eccezionale, ma la cosa sorprendente e’ questa, guarda.

Mi indico’ il microscopio, sotto la lente un campione del caffe.

Qualcosa che non seppi dire si stava muovendo su quel vetrino.

-Non ho mai visto del caffe’ con una struttura molecolare cosi’ instabile! Questo non è caffè normale, devo fare qualche altro test per poterti dire di piu’.

Non mi resto’ che andarmene

 

-...E ricordati il mio allungapene a pompa svedese! grido’ Megargel affacciando la testa fuori dalla porta come una tartaruga con gli occhiali e la riga in mezzo.

Percorsi il corridoio del laboratorio senza dire una parola, dovevo scoprirne di più su quel caffè e sapevo che l’uomo che poteva darmi le informazioni che volevo era solo uno, Pochaontas.

 

VI

 

Questa volta però decisi che non era il caso di farmi strapazzare dai due trogloditi della sicurezza così mi avvicinai al quartiere generale di Pochaontas dal retro, proprio dalla stessa porta dalla quale ero volato fuori quella mattina. Nel vicolo antistante c’era la macchina con i vetri scuri.

 

 

SEGUE IL CONFRONTO FRA Pochaontas e il protagonista, con spiegazione del caffè geneticamente modificato. Pochaontas confessa L’omicidio di silos per proteggersi dal ricatto ma nega quello di scugnizzi. Rissa o sparatoria con i due energumeni ed eventuale arrivo della polizia e cattura con incriminazione di Pochaontas.

 

Mentre tornavo a casa sul mio Rascal nel quale aleggiava ancora il fetore di Silos ripensavo a tutta la faccenda. Perché Pochaontas aveva negato l’omicidio di Scugnizzi pur sapendo che una volta dietro le sbarre un avvocato qualunque avrebbe facilmente potuto accollarglielo? Perché non confessare tutto e subito?

Il cellulare squillò.

- Ciao, sono Jimmy dal laboratorio, ho i risultati delle analisi se vuoi.

-Jimmy, ti ringrazio ma credo di aver risolto la faccenda anche senza l’aiuto di quei risultati.

- Peccato, avevo trovato qualcosa di molto interessante, sai quel caffè è geneticamente modificato ma qualcosa non ha funzionato nel processo così la struttura rimane instabile e potrebbe così modificare il DNA stesso di chi ne facesse uso. Ed è una marca comunemente in commercio prodotta dalla “Scugnizzi” e non dalla “Pochaontas” come avevamo pensato. In ogni modo se ne avessi bisogno, magari in tribunale, sono a disposizione qui nel laboratorio.

Lo rinraziai, ma qualcosa non mi tornava. Allora Scugnizzi non stava ricattando Pochaontas, gli aveva solo rubato la ricetta del caffe’. E Victor aveva fatto uccidere Silos per punirlo del suo “tradimento”.

 

Entrai nel portone e avvicinandomi alle scale notai un innaturale silenzio.

Ero solo stanco, l’inseguimento con pochaontas mi aveva sfinito.

 

 

SEGUE L’ARRIVO NELL’APPARTAMENTO E L’AGGUATO DELLA SIGNORA PINKERTON. Qui scopriamo che è lei la vera assassina di Scugnizzi. Lei è in realtà la zia di Silos, ed era a conoscenza di tutta la storia e a forza di bere caffè geneticamente modificato le sono cresciuti tre culi ed è impazzita. Ritenendo Scugnizzi il colpevole, responsabile della sua follia lo uccide.

Cercherà così di uccidere anche il protagonista il quale sarà salvato dalla plafoniera che aveva preso nel laboratorio di Megargel e che Franca non aveva voluto.

La Signora Pinkerton muore.

Finale con il protagonista che va al cinema insieme a Franca.

 
 
 

IL CASO SCUGNIZZI - Cap III / IV

Post n°2 pubblicato il 14 Marzo 2014 da gabbo40

III

 

La mattina dopo andai subito al laboratorio di Megargel per dargli il campione di caffe’ proveniente dalla donna capezzolo.

 

Jimmy Megargel era il classico tipo con la faccia da secchione, gli occhiali riparati con il nastro adesivo, le penne nel taschino e tutto il resto. Ma non era stato sempre così. Dopo una breve e folgorante carriera come pornostar e spogliarellista si era dovuto ritirare a seguito di un brutto incidente con un minipimer durante uno spettacolo. Non si riprese ma più. Così si buttò sui libri, prese una laurea in economia domestica e continuò a studiare finché non ebbe la possibilità di entrare nella scientifica. Oggi aveva raggiunto l’invidiabile posizione di Capo laboratorio della divisione “peli e polveri strane”.

Bussai ed aprii la porta senza aspettare, entrando nel suo laboratorio.

-Ehi! Ma guarda chi c’e’. Vieni guarda queste sono le mie nuove invenzioni, la plafoniera da autodifesa e la tazzina autogirante, tu tieni il cucchiaino e la tazzina si gira da sola! Non e’ formidabile ?

- Ho qualcosa per te Jimmy,

- Finalmente !

Esordi’ lui.

- Mi hai riportato l’allungapene a pompa svedese !

- No. E’ ancora sotto sequestro. Lo sai che quello e’ un caso difficile…ehm…ci vorra’ ancora tempo. Ti ho portato del caffe’.

- Grazie ma ho già fatto colazione…

- E’ solo un campione che ho trovato su uno dei sospetti del delitto Scugnizzi.

- D’accordo lascialo li’, ti faro’ sapere io appena possibile.

Gli lasciai il campione e me ne andai.

Uscii dal laboratorio portando con me la plafoniera. Mi piaceva...

Camminando nel lungo corridoio ripensavo alla sera prima e non riuscivo a farmi una ragione che Clittoria fosse invischiata in quella sporca faccenda. Come poteva, una donna come lei, con quel visino d’angelo, quella voce sottile, quel capezzolo...

La mia priorita’ sarebbe stata quella di verificare la soffiata del mio informatore facendo una visita a Pochaontas. Ma prima c’era una cosa che dovevo fare.

 

Mezz’ora dopo stavo parcheggiando il mio amico Rascal di fronte al drugstore dove lavorava Franca, all’angolo fra la Madison e la qurantaquattresima.

Mi vide appena scesi.

-Amoreeee ! sei venuto a trovarmi...

-Auguri...

-Ti sei ricordato alla fine! Hai trovato i miei messaggi?

-No, la segreteria e’ rotta. Tieni questo e’ per te.

- Ma cos’e’? Una plafoniera?!

-No, e’ il tuo regalo.

-Non la voglio, ti avevo detto che volevo quel completino...ti ricordi?

-Ok, allora la tengo io, a me piace.

-Vabbe’ comunque stasera andiamo al cine, danno “Lo sguarratore folle nel collegio delle minorate insolenti 2” non possiamo perderlo. Oppure c’e’ quel film storico “Biancaneve contro Ulisse nella valle dei titani”.

Amore...dove vai? Amoreee! Allora ci vediamo stasera...? Ci conto, non fare tardi!

 

IV

Verso l’ufficio di pochaontas

 

La segretaria mi fece accomodare nella lussuosa sala d’aspetto. Divani a pelo lungo e riviste specializzate sul caffè, foto di bambini uruguaiani in mezzo a sterminate piantagioni di caffè che sorridevano dalle copertine patinate.

 

Victor Pochaontas non era sempre stato ricco, era nato in un sobborgo portoricano del vecchio quartiere. Da piccolo nessun bambino voleva giocare con lui a causa della spropositata lunghezza delle sue braccia. Se fosse stato un po’ più peloso si sarebbe potuto prendere per un piccolo orangutan. Fatto sta che non ebbe un’infanzia delle più felici, passata fra le banane di cui la sua matrigna lo nutriva, e un copertone appeso ad un ramo come altalena. Crescendo giurò a se stesso che si sarebbe rivalso di quell’ingiustizia, che sarebbe diventato qualcuno e ce l’avrebbe fatta proprio con la forza di quelle appendici. Cominciò a lavorare come un mandingo, prima come lavapiatti, poi presso il dipartimento dei lavori pubblici del comune cambiando le lampadine dei semafori. Ma questo non gli bastava così si iscrisse all’università e iniziò a studiare.

Finché un giorno suo zio Hector Pochaontas morì lasciandolo unico erede del suo patrimonio e delle sue coltivazioni di caffè. Victor Pochaontas era diventato ricco per una pura botta di culo.

Decise così di sottoporsi ad un delicato intervento chirurgico per modificare le braccia, ma il medico chirurgo fraintese e anziché accorciargliele per pareggiarlo gli allungò le gambe.

Pochaontas cadde in uno stato di profonda depressione e solo dopo anni di terapia riuscì ad accettarsi.

 

 

- Prego imbocchi pure! Il signor Pochaontas la sta aspettando. Cinguetto’ la segretaria.

Entrai nell’ufficio e dietro un’enorme scrivania di radica di ficus c’era il mio uomo, Victor Pochaontas.

-Si accomodi, maresciallo.

-Sono ispettore...

-Ah si, sì certo! Prego brigadiere. Cosa la porta nel mio ufficio? Posso offrirle un caffe’?

-No grazie, sono in servizio e poi sono gia’ nervoso...

-Ah ma lei è anche spiritoso appuntato!

-Sono ispettore…

L’aria si stava facendo pesante e quell’uomo mi stava innervosendo. Dovevo sbrigarmi, dovevo farlo parlare e c’era solo un modo. Il vecchio bluff del saputello.

-So tutto Pochaontas! L’uccellino ha cantato, il ruscello si è seccato e non c’e’ trippa per gatti. Ma sopratutto, di mamma ce n’e’ una sola…e lei lo sa bene.

-Sa tutto di cosa?!

-Tutto di tutto, su tutti, dappertutto, sopra e sotto ma sopratutto su di lei Pochaontas e su i suoi accordi sfumati con il defunto Scugnizzi!

-Bene, mi fa piacere che sappia cosi’ tante cose agente, ma adesso ho cose piu’ importanti da fare pero’. Conan, Trucek! Accompagnate il nostro amico pompiere alla porta!

-Uh, uh, mgrr!!!

-Sono ispettoreeee!!!!

I due energumeni privi del dono della parola mi depositarono senza troppi complimenti sul tetto del mio fedele Rascal nel vicolo dietro la porta di servizio.

Pero’ questa era la prova che il mio fiuto non mi aveva ingannato. Pochaontas era sporco e puzzava, quasi piu’ del fetente barbone che nel frattempo si era accampato nella mia auto.

-Ehi che ci fai nella mia auto? Vattene barbone del cazzo!

-See...che mo’ secondo te... e’ arrivato lui... mo’ che m’ero pure abbioccato!

-Scendi idiota, o almeno togli i piedi dal mio sedile!

Non scese, cosi’ decisi di portarlo con me verso la centrale. Dio mio, puzzava come un’ascella!

-Come ti chiami barbone schifoso?

- Puoi chiamarmi Silos, sai a me piace perche’ suona molto esotico. Dove si va’? Ho fame!

-Non rompere, stiamo andando alla centrale di polizia.

-Ehi, non vorrai mica farmi ingabbiare?

-No, non ti preoccupare, mi fai schifo ma sei simpatico, io ci lavoro alla centrale.

-Ma allora sei un poliziotto, uno sbirro, un piedipiatti! Di’ un po’ ma quelli come te li sgrullano sempre fuori dalle porte di servizio?

Non risposi, parcheggiai e lo chiusi dentro lasciando solo uno spiraglio di finestrino aperto per fargli passare l’aria.

 

La centrale era affollata di tutta l’umanita’ possibile

 

Descrizione della centrale / eventuali arrestati. Prostitute ottantenni. Boyscout teppisti che hanno violentato gli scoiattoli del parco...

Mike il collega seduto dietro lo sportello del ricevimento.

 

Con un cenno del capo Mike mi fece capire che ero atteso nella stanza del capo.

Rogne.

-Eccolo qua’! Ma cosa cazzo ti sei messo in testa? Un giorno di questi usero’ le tue palle come fermacarte! Come se non bastasse la mia ulcera perforante! Ma come puoi andare a rompere i coglioni ad uno come Pochaontas senza un regolare mandato e per di piu’ senza avvertirmi?!

Ingoio’ una pasticca. Aveva la bava agli angoli della bocca e le ascelle pezzate. Brutto segno. Dovevo dargli una giustificazione credibile.

-Capo non potevo perdere altro tempo, sono sicuro che lui c’entra molto piu’ di quello che pensiamo con il caso Scugnizzi. Ci sono delle novita’ e...

- No, ce le ho io delle novita’! Lo sai chi comanda qui? Eh, lo sai?

-Lei capo.

-E lo sai chi e’ il vice sindaco che decide che tu e il sottoscritto possono andare a piegare cappellini di carta nei seminterrati di Chinatown da domani se gli rode il culo?

-...

-Te lo dico io, è il cugino di Pochaontas. Ed ho appena finito di parlare con lui! Dice che uno dei nostri cazzoni si è permesso di andare a strappare i peli del culo di suo cugino Victor senza essere invitato!

-Sono proprio queste le novita’ che ho per lei capo...

-Peli di culo?! Esci immediatamente dal mio ufficio e stai lontano da Pochaontas e se ti becco ancora a rompere i coglioni senza permesso e senza prove ti faccio sospendere fino alla pensioneeeeee!!!!!

Uscii appena in tempo che uno schizzo di bava colpi’ il vetro della porta dell’ufficio.

 

 
 
 
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