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Andrea Liponi

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CRONACHE FERRANTIANE

Post n°145 pubblicato il 23 Maggio 2020 da livio203

ELENA FERRANTE, CRONACHE DEL MAL D'AMORE, EDIZIONI E/O, 2016

Dopo la lettura della serie di romanzi dedicati all'"Amica geniale", la Ferrante è diventata uno dei mei autori preferiti, insieme a Grossman e Yehoshua, tant'è che ne avevo comperato anche questo volume, rimasto un paio d'anni a dormire in qualche scaffale.  Ma la sosta pandemica mi ha indotto a cercare tra i libri accantonati e a ritrovare questo, che pure ogni tanto mi tornava in mente, soprattutto in occasione della lettura del recente "La vita bugiarda degli adulti".   Certamente un'autrice straordinaria, questa Elena Ferrante, se non altro perché, nell'epoca dei social imperanti e della privacy proclamata ma costantemente violata, riesce a nascondersi dietro uno pseudonimo, tanto che non sappiamo per certo neppure se si tratti di un uomo o di una donna.   A dire il vero, per la proposta quasi ossessiva di figure femminili che parlano in prima persona e sembrano quasi uno sviluppo, una variazione sul tema dei un unico personaggio, sembrerebbe assurdo che dietro al nome di Elena si celasse un qualche autore di genere maschile.  Tuttavia, data la ripetizione di tematiche a sfondo sessuale e la sfrontatezza con cui queste vengono trattate, si sente quasi un che di maschile in questo misterioso autore.  Per continuare su questo tema (ma Ferrante ne propone tantissimi), le figure maschili, in genere, nei romanzi ferrantiani fanno una meschina figura: sono personaggi ambigui, incoerenti, falsi, al massimo inconsistenti.  Così, per esempio, in questa trilogia (nel libro sono riprodotte le prime tre opere narrative di questa autrice misteriosa, pubblicate tra il 1999 e il 2006), il marito de "I giorni dell'abbandono", che pure sembra un signore colto e ricco di fascino, visto che riesce a far innamorare di sé una ragazza molto più giovane, è poco più che un fantasma nell'economia del racconto: un fantasma che prende vita solo di riflesso, per l'angoscia che la protagonista-io narrante nutre in sè in seguito all'abbandono.  Il primo di questi romanzi, "L'amore molesto" (1999), che, nella bellissima introduzione di Edgardo Dobry (prefazione all'edizione spagnola del 2011), viene celebrato come un'apparizione mirabile e sorprendente ("Già in quel primo romanzo la sua voce era decisa, nitida e sorprendente") per poco non mi ha fatto ricredere sulla mia personale propensione per questa autrice.  Infatti, pur concordando sulla eccezionale perfezione della sua scrittura, soprattutto considerando che si trattava di un'opera prima (e qui viene qualche dubbio..), mi sono trovato per la prima volta in difficoltà, ad un certo punto, a proseguire nella lettura fino in fondo.  Troppo pesante e greve la materia trattata, troppo angosciante ai limiti dell'incubo e dell'assurdo.  Se questa è una tappa del "grande libro su Napoli" (Franco Cordelli), è la tappa più biecamente antinapoletana, la tappa in cui Napoli appare come la città dell'abbrutimento più totale della persona umana, la città disumana. Almeno, così mi è apparsa, ad un certo punto, questa vicenda, al punto da impedirmi di continuare a leggerla di seguito, come di solito faccio con la Ferrante, trascinato da una scrittura solitamente coinvolgente e intrigante.  Un tema ricorrente della scrittrice è, appunto, questo di Napoli, del rapporto ambiguo, di amore-odio, per quella città.  Tutte e tre le protagoniste vengono da Napoli, dalla Napoli popolare, dove i sentimenti sono esasperati e le parole urlate, i comportamenti scomposti, il linguaggio osceno.  Tutte e tre hanno ambito a riscattarsi da quell’ambiente, ad allontanarsene per vivere nel benessere e nell’equilibrio della razionalità, per raggiungere la serenità e la compostezza.  Tutte e tre, tuttavia, rischiano di perdere tutto questo e di tornare improvvisamente indietro, di annegare nell’angoscia della “frantumaglia”, ovvero nel disordine interiore, nella perdita di ogni valore saldo, di ogni certezza.   Così è per Delia, che insegue la verità sulla morte della madre, rischiando di perdersi nel suo medesimo disordine (ne L’amore molesto), così per Olga, che arriva all’orlo della follia, riprendendosi quasi miracolosamente prima di affondare (I giorni dell’abbandono);  e anche Leda, la terza protagonista, vive una crisi di identità a confronto con Nina, una giovane madre napoletana (La figlia oscura).   Ma la caratteristica fondamentale di questa scrittura sta nel proporre sempre e soltanto il punto di vista della protagonista: è lei che racconta il suo mondo interiore, i riflessi su di sé dell’incontro con gli altri.  Il mondo esterno è sempre filtrato attraverso il discorso indiretto libero del personaggio principale.  Tant’è che lo stesso Dobry sopra citato azzarda che quanto viene raccontato possa essere frutto – a volte – della “fantasia febbrile” della protagonista, ovvero una proiezione dei suoi desideri.  Del resto, questa è la cifra fondamentale di questa narrativa: la rappresentazione del mondo attraverso il soggetto narrante.  Insomma, tutt'altro che cronache, queste variazioni sul tema del mal d'amore.

 

 
 
 
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