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Citazioni nei Blog Amici: 2
Post n°88 pubblicato il 23 Settembre 2016 da ltedesco1
Carlo Azeglio Ciampi “politicamente è stato uno dei traditori dell’Italia e degli italiani, al pari di Napolitano e Prodi, uno dei complici della svendita dell’Italia e degli italiani ai poteri forti, ai massoni, ai banchieri e ai vecchi finanzieri, come Napolitano, Prodi e Monti. Politicamente parlando quindi era lontanissimo da quello che era l’interesse dei cittadini”. Così si è espresso il segretario della Lega, Matteo Salvini, ai microfoni di Sky Tg24 il 16 settembre, per poi aggiungere sulla sua pagina Facebook che l’ex Presidente della Repubblica “fu uno dei tanti (da Napolitano a Scalfaro, da Prodi a Monti) a svendere il lavoro, la moneta, i confini e il futuro dell’Italia”. Giudizi taglienti, durissimi, indubbiamente, ma che qualsiasi persona che non voglia rinunciare alla difesa piena della libertà di pensiero non può che considerare manifestazioni di un legittimo diritto di critica. Poi si potrà ritenere assai poco elegante che siano stati espressi il giorno stesso della morte di Ciampi e, nel merito, liquidarli come castronerie. Ciò che però ogni uomo libero non può non denunciare è la circostanza che alcuni avversari politici di Salvini abbiano iniziato a far tintinnare sinistramente le manette, annunciando esposti alla Repubblica. “Difendere l’indifendibile”; questa è la bandiera che ha invitato fin dal 1976 a tenere alta quella straordinaria figura libertaria che risponde al nome di Walter Block. Difendiamo Salvini, e tutti noi, dalle pulsioni manettare rifiutandoci di accettare l’idea che debbano esistere zone franche da cui bandire l’esercizio della contestazione e della dissacrazione, fosse anche la più triviale e irriverente.
Post n°87 pubblicato il 22 Settembre 2016 da ltedesco1
Tag: denatalità, voto plurimo Una società di anziani tiene in scacco noi tutti Perché non giocare la carta del voto plurimo?
Il tempo della diagnosi è finito, scrivono oramai con cadenza quasi giornaliera demografi e opinionisti vari, per poi indicare una serie di ricette nel tentativo di superare, da subito, l’inverno demografico, ricette condivisibili la cui praticabilità economica si scontra però contro la granitica ostilità di quella fetta della popolazione che avrebbe solo da perdere da una redistribuzione delle risorse a favore di politiche a supporto della natalità e della famiglia (l’Istat ci informa che al 1° gennaio 2016 il 28% della popolazione residente in Italia è costituita da over sessantenni, dato destinato a crescere). Come rendere allora meno rilevanti le resistenze di quel segmento sociale? Ad esempio, dando rappresentanza politica a chi finora non l’hai mai avuta, vale a dire la galassia dei minorenni. L’idea di concedere il voto plurimo ai genitori di minorenni circolò per la prima volta in Europa in terra tedesca nei primi anni del Novecento, poi divenne oggetto di dibattito all’Assemblea nazionale francese negli anni Venti. In Germania la discussione si è riaccesa a partire dagli anni Settanta. Nel 2003 e nel 2008 il Bundestag ha votato e rifiutato la proposta di introdurre il Kinderwahlrecht. Nel 2012 l’ex giudice costituzionale tedesco nonché ex consigliere di Angela Merkel, Paul Kirchhof, rilanciava l’idea nel suo libro Deutschland im Schuldensog (La Germania nel gorgo dei debiti). Il Parlamento europeo, nel febbraio 2008, ha approvato, a larga maggioranza, una risoluzione sul futuro demografico dell’Europa in cui si legge ‘che il problema centrale, in una società sempre più anziana, è la questione della rappresentanza politica dei minori, che rappresentano il futuro comune, e quindi politico, della comunità, i quali attualmente non hanno alcuna voce e peso sul piano delle decisioni’.
Ma il dibattito sulla concessione del diritto di voto ai minorenni ha attraversato anche gli oceani se è vero come è vero che ha assunto da tempo l’espressione di Demeny voting, dal nome del demografo, già docente negli Stati Uniti, Paul Demeny (che lanciò l’idea del voto plurimo ai genitori di minorenni nel 1986) e che da alcuni anni anche in Giappone il problema è stato posto dal Centre for Intergenerational Studies della Hitotsubashi University.
Dalle nostre parti già Antonio Rosmini teorizzava il diritto del pater familias di votare in rappresentanza dei figli. Recentemente l’idea del voto plurimo è stata fatta propria da Paolo Balduzzi e Alessandro Rosina, docenti rispettivamente di demografia e scienze delle finanze. Quest’ultimo ha anche avanzato l’idea di ponderare il voto alle aspettative di vita residua: minore speranza di vita hai davanti a te, minori conseguenze subirai delle scelte elettorali che hai fatto e quindi il tuo voto meno deve contare. Come potrebbe funzionare il voto plurimo? Conferendo ad esempio, suggeriscono alcuni, mezzo voto a genitore per figlio (un voto intero in presenza di un solo genitore o di che ne fa le veci). Varie sono ovviamente le obiezioni. La prima: il voto plurimo è incostituzionale. Bene, se si ritiene che sia giusto introdurlo nel nostro ordinamento, nulla vieta che si modifichi l’art. 48 della Carta in questa direzione. Seconda obiezione: il voto plurimo non risponde a un principio di giustizia politica ma di giustizia sociale e/o di lotta intergenerazionale. I nostri vecchi tardano a lasciarci (e chi può compatirli?) e non intendono mollare la malavogliana roba. Il voto plurimo non è quindi diritto democratico ma strumento, cavallo di Troia per espugnare la cittadella e riprendersi il bottino. Ora, l’aspetto della convenienza nella proposta di introdurre il voto plurimo è indubbia (se, restando all’Italia, i neogenitori fossero destinatari di un profluvio di assegni familiari, sgravi fiscali e bonus bebè e si trovassero asili pubblici ad ogni angolo di strada l’idea del voto plurimo non sarebbe venuta in mente a nessuno). Eppure, quell’aspetto si incontra certamente con un altro, quello del diritto alla rappresentanza politica di una quota non piccola della popolazione italiana, portatrice, non meno dei maggiorenni, di esigenze ed interessi. Se così è, se i minorenni non possono essere considerati politicamente figli di un Dio minore, a chi affidarne la rappresentanza se non ai genitori o ai tutori legali? Se nessuno contesta ai genitori il diritto e il dovere di farsi carico di beni ben più rilevanti, come la salute e l’educazione della prole, come negare loro la rappresentanza politica dei figli? Ultima obiezione, forse la più sensata: siamo una società di anziani, ovviamente votanti, che tiene in scacco il parlamento. Verissimo, eppure il Pd ai tempi di Veltroni per cercare di svecchiare l’elettorato aveva proposto di estendere il voto alle elezioni amministrative ai cittadini sedicenni e agli extracomunitari residenti da almeno cinque anni; più recentemente Sacconi ha presentato un disegno di legge costituzionale per istituire il voto plurimo; i cinque stellati hanno poi nei giovani il loro nerbo elettorale. In tanto discutere di aggiornare la nostra Carta, perché allora non mettere mano all’articolo 48?
Luca Tedesco
Poligamia per tutti? Macché. Piccardo fa bu e i campioni dei diritti individuali battono in ritirata
Post n°86 pubblicato il 15 Agosto 2016 da ltedesco1
«Non si capisce perché una relazione tra adulti edotti e consenzienti possa essere vietata, di più, stigmatizzata, di più, aborrita». Con queste parole, Hamza Piccardo, tra i fondatori dell’Ucoii (Unione delle Comunità ed Organizzazioni islamiche in Italia), ha proposto giorni fa l’introduzione della poligamia in Italia, «secondo la Rivelazione e la tradizione», vale a dire solo per i maschi. Il 9 agosto Luigi Manconi gli ha risposto dalle colonne del «Corriere della Sera». Le tesi del sociologo nonché deputato del Pd non ci sembrano però convincenti. La poligamia, scrive Manconi, «per contenuto morale e per struttura di vincolo, si fonda – e non può che fondarsi – su una condizione di disparità, che viene riprodotta e perpetuata». Ora, che la poliginia, l’unione coniugale di un uomo con più donne, diffusa in alcuni Paesi islamici sia stata e sia uno strumento per costringere la donna ad un ruolo di subordinazione e soggezione all’uomo è indubbio. Ma perché Manconi precisa che la poligamia, per contenuto e struttura, «non può che fondarsi» sulla discriminazione ai danni della donna? Su un piano logico, e non storico, perché mai la condizione di inferiorità di un partecipante a una unione coniugale dovrebbe discendere dalla numerosità dei partecipanti alla medesima? Perché secondo Manconi in una unione a due non c’è necessariamente disparità mentre in una unione a tre, quattro, n soggetti sicuramente sì? Tale interrogativo appare tanto più legittimo quanto più ci si sofferma a riflettere che la poligamia contempla anche la fattispecie della poliandria, vale a dire l’unione coniugale di una donna con più uomini. Un matrimonio o più modestamente una unione civile tra una donna e n uomini condannerebbero inevitabilmente la prima a uno stato di soggezione nei confronti dei maschi? Manconi aggiunge che la poligamia non può essere introdotta in Italia per gli stessi fondamentali e indisponibili principi, vale a dire parità tra sessi e tutela della dignità contro ogni discriminazione, che vietano nel nostro paese il «lavoro schiavistico», il commercio degli organi, l’esclusione delle giovani dall’istruzione scolastica, i matrimoni precoci e le mutilazioni genitali femminili. Anche in questo caso le argomentazioni di Manconi non sembrano persuasive. Il mancato assolvimento degli obblighi scolastici e il matrimonio precoce non sono accettabili dallo Stato italiano che non può non esercitare un’azione di tutela nei confronti dei minorenni, azione di tutela che non può evidentemente essere invocata per impedire un’unione poligamica tra adulti consenzienti. La ratio del divieto di commercio di organi e della mutilazione genitale risiede poi nella lesione dell’integrità fisica che tali pratiche comportano, lesione di per sé non legata a un tipo specifico di unione coniugale (e che la violenza abiti quotidianamente nelle relazioni monogamiche è sotto gli occhi di tutti…). Per quanto riguarda la riduzione in schiavitù propriamente detta, suo elemento qualificante è una soggezione forzata, che, ripetiamo, non necessariamente dovrebbe caratterizzare una relazione poligamica. Lo Zeitgeist del nostro tempo ha d’altronde decretato l’inadeguatezza del matrimonio tradizionale a soddisfare le ogni giorno più variegate e complesse domande di affettività e sicurezza morale e materiale. Una volta scoperchiato il vaso di Pandora, però, gli spiriti, liberati, hanno assunto forme forse non preconizzate neanche dagli interpreti più autorevoli di quello Zeitgeist, tra le quali quella di Piccardo, che, approfittando dei varchi concessi dalla nuova stagione dei diritti civili, cerca di piantare le proprie bandiere. Coloro che però in queste ultime non si riconoscono, dovrebbero avere il coraggio non di arretrare affermando che ciò che è storicamente stato sarà inevitabilmente anche in futuro, ma di avanzare e alzare a loro volta, nel caso in concreto, la bandiera della poligamia per tutti, tra soli uomini, sole donne, tra uomini e donne, transgender e così via fino a coprire l’intero spettro delle quasi infinite combinazioni che il desiderio umano può concepire. Si potrebbe obiettare che la maggioranza degli italiani, cristiana per fede o cultura, è poco interessata alla poligamia e che la sua introduzione nel nostro Paese potrebbe rivelarsi il classico cavallo di Troia ideato dall’islamismo radicale per colonizzarci. A tale obiezione è fin troppo facile replicare che non possiamo escludere a priori che anche dei non musulmani per le più diverse ragioni, affettive, materiali, mass-mediatiche potrebbero ritenere utile contrarre una unione poligamica. L’unica giustificazione allora plausibile per negare l’introduzione nel nostro ordinamento della poligamia, cui però Manconi non fa cenno nel proprio intervento, è che ci troviamo nel pieno di una guerra di religione e che la guerra da sempre non è proprio il momento più propizio per ampliare la sfera delle scelte individuali. Come scriveva infatti Cicerone nel De Legibus, Salus populi suprema lex esto. Luca Tedesco
Post n°85 pubblicato il 19 Giugno 2016 da ltedesco1
Leggevo, alcune ore fa, dal sito dell’Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, sotto il sobrio titolo Un bastardo che ci lascia (poi mutato in un anodino Gli elogi in morte di Albertazzi, forse in seguito all’intervento di Giovanni Belardelli sul Corsera: http://goo.gl/vortBd), quanto segue: « Ora, di qualsiasi persona, compreso un grande attore, è lecito pensare e dire pubblicamente tutto il peggio possibile (purché non si calunni, ovviamente). Leggo però nello statuto che gli scopi perseguiti dall’istituto di cui sopra sono i seguenti: la ricerca, la conservazione e la pubblicazione di documenti e studi riguardanti la Resistenza e l’età contemporanea nonché l’organizzazione di convegni e manifestazioni su tali temi. Ora, come possa l’anatema scagliato post mortem contro Albertazzi, firmato da presidente, direttrice e consiglio direttivo, rientrare tra quegli scopi è un mistero, perlomeno agli occhi di chi sappia distinguere tra un istituto di ricerca e un centro sociale.
Post n°84 pubblicato il 12 Giugno 2016 da ltedesco1
Prima di tutto i fatti. Sabato scorso Il Giornale è uscito nelle edicole con, in allegato, il primo volume della Storia del Terzo Reich di William L. Shirer e il Mein Kampf di Adolf Hitler, nell’edizione critica dello storico Francesco Perfetti, professore ordinario di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche della Luiss di Roma. Di fronte a tale iniziativa editoriale si è alzato un coro di critiche da parte di soggetti, istituzionali e non, che è andato dalle dichiarazioni di inopportunità ad annunci di esposti all’autorità giudiziaria per il reato di apologia del fascismo. Tali reazioni mi sembrano infondate sia sotto il profilo politico che scientifico. Sotto il primo, infatti, ricordiamo come sia opinione comune e consolidata che occorra non dimenticare, affinché l’orrore non si ripeta. D’altronde la legge italiana del luglio 2000, istitutiva del Giorno della Memoria, non afferma proprio la necessità di «conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa», di modo che «quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti» non debba «mai più accadere»? Ebbene, cos’è l’edizione critica e curata da un docente universitario di un testo se non uno strumento per ricordare in modo consapevole? L’unica critica politica legittima che può essere mossa all’operazione messa in cantiere dal Giornale è quella di chi, non simpatizzando ovviamente per il nazismo, dovesse ritenere che proprio per evitare che il fantasma hitleriano riprenda corpo e vita, si debba impedire alle nuove generazioni anche solo di sapere che Hitler abbia scritto quel tragico pamphlet. L’oblio, quindi, e non il ricordo, per tenere a bada il demone. In questo caso, bisognerebbe però ritirare dal commercio tutte le copie della Mia battaglia (i detrattori dell’iniziativa di Sallusti si sono infatti ben guardati dal ricordare che il programma politico di Hitler è comodamente a disposizione in libreria), farne un ben falò e vietarne l’ulteriore diffusione. Ma questi propositi nessuno li ha enunciati, perlomeno esplicitamente. Da un punto di vista scientifico, poi, è fin troppo imbarazzante far presente come la comunità degli studiosi non possa che trarre profitto da un documento accompagnato dall’introduzione di uno dei suoi esponenti, introduzione che potrà ovviamente essere criticata nel merito, ma non osteggiata in via pregiudiziale (e quindi antiscientifica). Luca Tedesco Professore associato di Storia contemporanea, Università degli Studi Roma Tre
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Inviato da: pgmma
il 03/09/2016 alle 08:06
Inviato da: makavelika
il 30/06/2016 alle 15:42
Inviato da: fioreselvatico8
il 30/04/2012 alle 23:01
Inviato da: bodyartexperience
il 08/03/2010 alle 17:35