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Traduttore cerebrale

Post n°60 pubblicato il 09 Settembre 2010 da BROWSERIK
 

neuroniAncora da perfezionare, riesce a identificare le 10 parole potenzialmente più utili a un paziente completamente paralizzato Un primo passo per consentire di comunicare verbalmente a pazienti paralizzati in modo gravissimo, come quelli colpiti dalla sindrome del "chiuso dentro" (locked in), e incapaci di parlare è stato realizzato da un gruppo di ricercatori dell'Università dello Utah, che sono riusciti a mettere a punto un iniziale prototipo sperimentale di un'apparecchiatura potenzialmente in grado di identificare le parole che il paziente vorrebbe pronunciare grazie alla captazione dei segnali cerebrali attraverso due griglie di 16 micro-elettrodi impiantati al di sotto della scatola cranica, ma senza penetrare nel tessuto nervoso. La ricerca, diretta da Bradley Greger è descritta in un articolo pubblicato sul Journal of Neural Engineering. L'apparecchiatura è stata sperimentata su un paziente affetto da una grave forma di epilessia nel corso di una serie di prove volte a identificare con precisione il sito della lesione epilettica. Nel corso delle sessioni il paziente ripeteva più volte una di 10 parole mentre i ricercatori registravano i segnali cerebrali in corrispondenza dei centri del linguaggio ed elaborandoli al computer in modo da identificare gli schemi di attivazione neuronale corrispondenti a ciascuna parola. Le parole selezionate per l'esperimento sono state fra quelle che potrebbero essere più utili a un paziente completamente paralizzato: sì, no, caldo, freddo, fame, sete, ciao, arrivederci, più e meno. Inaspettatamente, quando i pazienti ripetevano le parole, la corteccia motoria facciale era la più attiva, mentre l'area di Wernicke lo era meno, ma si "risvegliava" quando i pazienti venivano ringraziati dai ricercatori, facendo supporre che quest'area sia coinvolta nella comprensione di altro livello del linguaggio, mentre la corteccia motoria facciale concorre a controllare i muscoli facciali per la produzione dei suoni. I ricercatori hanno osservato che gli schemi di attivazione interessavano in modo variabile differenti colonne di neuroni sottostanti gli elettrodi. Di fatto l'identificazione degli schemi relativi a una parola su due risultava più accurata - con una discriminazione dell'85 per cento - quando il segnale era rilevato dalla corteccia motoria frontale che non quanto venivano registrati i segnali dell'area di Wernicke, in cui si raggiungeva un'accuratezza del 76 per cento. Nell'identificazione di una parola su 10, il tasso di successo, pari al 28 per cento, pur restano al di sopra di quello casuale (il 10 per cento) è considerato dai ricercatori ancora insufficiente, anche se quando prendevano in considerazione i segnali dei cinque "migliori" elettrodi la percentuale saliva al 48 per cento. "Questo significa che dobbiamo ancora lavorare per raffinare il sistema in modo da ottenerne uno che permetta alle persone colpite dalla sindrome del 'chiuso dentro' di comunicare realmente. Il prossimo passo è quello di passare a griglie di micro-elettrodi più grandi: ora stiamo pensando a griglie di 121 elementi, che possono fornire una quantità enorme di dati cerebrali, che consentiranno una migliore accuratezza e un numero maggiore di parole", ha concluso Greger. (gg) (08 settembre 2010)

 
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