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Post n°158 pubblicato il 24 Novembre 2010 da servoarbitrio
Il fervore consumistico del Natale s'infrange sul muro della crisi economica E' vero, le campagne mediatiche natalizie sono preordinate con largo anticipo, già in estate se non prima quando una certa euforia pervade, complice il bel tempo, il sole, e le vacanze sono tutte godute e nell'intimo s'annida l'ottimismo. Quindi addobbi, luminarie, canti dolcissimi da liturgia, occhi sgranati di bimbi buoni, vecchiette con i mezzi guanti di lana esse felici dell'obolo che gli vien porto. C'è sì qualche tocco d'accelerazione nella macchinosità dell'impianto, che tuttavia rimane improntato al massimo consumismo, quasi non s'attendesse che la Festa, questa festa, per dar fondo ai risparmi, al contante posseduto. Fra tanti visi pallidi, quasi incipriati, ogni tanto un volto abbronzato (direbbe il Silvio) per un tocco d'internazionalità, per sottolineare che ben lo si sa di come il mondo globalizzato inglobi, appunto, e distribuisca ovunque, piacevolmente impressionati, forse dal ringiovanimento delle stirpi. Certo, esiste una contraddizione spalancata fra la Natività e gli altri Credo non di sola marca islamica, ed è il motivo per il quale l'obiettivo «zumma» e si restringe sull'esteriorità necessariamente gioiosa, sennò si rimarrebbe in un perpetuo Avvento. I panettoni, riteniamo, nessuna divinità a noi forestiera, comunque estranea, li proibisce. Forse sui vini si potrebbe discutere, contrassegnando invece nero lapillo i salumi e i tortelli che di insaccato suino e bovino abbondano. Povero Giovanni Rana, se si prendesse il mondo e i suoi contenuti alla lettera, adesso che il Francesco Amadori dei polli sembra essersi autoeclissato dai palinsesti reclamistici: dovremmo accomiatarlo al contrario dell'ossequiarlo allorché bussa all'uscio. Ma anche tenendoci lontano dalle complicanze etniche, cioè senza addentrarci negli eccessi di garantismo e di buonismo, perdurando per giunta da circa un mese gl'inni al Bambino, espliciti o smaliziati, temo che lo spettatore di ciò che passa la tv pubblica e commerciale non veda l'ora di giungere a Santo Stefano, perlomeno. Non che da quella data cessi il tripudio, però si può ragionevolmente pensare al conto alla rovescia verso la riconquista della normalità. Falso per falso, temiamo di dovervi coinvolgere le statistiche di questi giorni: su quanto si vende o si venderà di più, su quanto è lì-lì, su quanto è in calo. Ad esempio, ci informano, per tenere il mercato i gioielli da regalare devono essere di grandi firme, di peso consistente in carati o in grani (meglio). Su altro versante gli agriturismo saranno in affanno per ospitare le correnti indirizzatevi dalla paura dei brigantaggi esteri: non temendoli troppo invece i peperoni nostrani (tra veri e imbucati, una miriade), costoro veleggeranno con mezzi propri ergendosi sulla tolda dei panfili privati. Per scacciare le paure il denaro dev'essere molto e sono moltissimi quelli che non hanno paure di sorta. Insomma, ancora una volta l'Italia, questo Paese che di più bello non v'è, si divide in due: non a causa delle nevicate o delle difficoltà comunque meteorologiche, né per spirito di partigianeria sportiva o politica. In alto stava il ricco, molto più in basso il povero, direbbe il sommo favolista Fedro. Una volta, questi invidiava quello, gli «leggeva la vita» anche attribuendogli manchevolezze dubbie, fra esse cumuli di evasione fiscale e speculazioni indotte, favorite. Ma per farlo, per leggergli in negativo appunto la vita secondo espressione subalpina, ci vuole forza fisica, baldanza di propositi, fiducia in se stessi e nel domani. Sarà che l'età dei vecchi ha sempre maggior compagine, e si preferisce ricordare (se n'è costretti) piuttosto che programmare, io ottimista ragionevole, guardandomi attorno di costoro non ne vedo. In ogni caso, Buon Natale quando ci saremo.
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CRISI GLOBALE, LACRIME E SANGUE, NATALE, TANTA AGONIA E, INUTILI, TANTI ASPRI TORMENTI
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