Creato da mad_giu il 19/04/2009
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Nonsense

Post n°30 pubblicato il 03 Settembre 2010 da mad_giu

Mi sorveglio a svendere le giornate, alla modica cifra di duecento pagine.

Quando riesco a sfogliarle.

E sento di cadere nuovamente nell’incapacità di sussurrare.

Ho la gola gonfia e la voce roca. Ancor più roca.

Allergia… Quel “non pensarci, non pensarci, non pensarci” muto, invece, sembra essermi stato volutamente tatuato sottopelle.

Chissà se ero ubriaca e altrettanto consenziente, al momento di ago e inchiostro.

Ma non appena sento quell’assurda cantilena tornare a bisbigliare, le mie mani prima, e i miei occhi poi, cercano il solco d’inizio… e la ripetono, quella frase che arreca giustizia al momento.

Un ritorno al reale.

Forse brusco.

E “non ci penso, d’accordo”, ogni volta lo scrivo con gli occhi sull’avambraccio sinistro, in risposta al destro.

Ogni volta, cosciente: stai viaggiando, da tanti giorni.

Nessuna via di fuga. Mentre mio padre che parlotta con degli spauracchi al telefono, urlando, pare raggiungerla senza alcun problema.

I gatti che lottano in giardino e io che dovrei studiare ed invece sono qui, idem.

 

Via di fuga.

 

Ma l’ordinaria e ordinata follia, dove vanno?

Dove? Con le classiche graduatorie, che sollecitano la conferma al superamento.

Io vorrei doppiarti.

Anzi, voglio doppiarti.

Tante volte ho strategicamente impostato la mia dieta, in modo tale da essere più leggera.

Ma fumo.

Continuo a farlo.

Con la costanza che infastidisce, ma non fa annegare. E non mi nega il pensiero di te.

 

La soffitta è allagata e lo scolapasta sembra non avere posto nell’utilità.

Tu passavi il tempo tra le mie gambe, e sembravi divertito al fatto che diventasse di nuovo giorno.

Bastoni tra le ruote, se non fosse che pioveva. Primavera…

Ora, ogni tanto le nuvole vengono risarcite del diritto di farlo.

E di nuovo.

Ora, qui dentro.

Non accenna a farlo, già piove.

 

Mentre sembra ci sia qualcuno che crede di possedere l’originalità della non-risposta.

Un mio “a cosa pensi?”, e tu sembri salvaguardare il silenzio.

Io mi prendo la responsabilità del sorriso.

 

“Qualcosa di ciclico che governi dall’alto: smettila”.

Sorrido di nuovo. Indispettita.

La notte è acqua e decorazioni al soffio del vento.

Bombe arrivano e sembrano voragini.
Forse se n’è andato proprio da qui? Qui dentro? Facendo un pelo al mio ombelico, tanto bello?

Il sorriso, dico.

Non sto facendo della storia un tappabuchi, del resto il tempo sembra avere in saldo i remi per una barca migliore.

Svende, in una di quelle catapecchie che hanno vita solo per via dei vecchi.

E si sa, non chiuderà mai definitivamente. Il commesso del caso, sembra proprio non avere età.

 

Sto svendendo a mia volta. Cercando di barattare.

Sono costantemente senza soldi, maledizione.

Felice però.

Questo è impagabile, ed “imbarattabile”-

 

E lo so che puoi stiracchiare le gambe e, chiudendo la portafinestra con una mano, porgere l’altra al posacenere. Rosso.

Rosso: questo è il terrazzo a misura d’uomo.

A misura tua e mia.

Ieri “il fumo fa male”, e la mia figura specchiata che sono avvezza guardare, era interamente coperta dalla tua. Ugualmente capace di librare le mani, trovando pace sulla tua schiena.

Comincia ad intrigarmi “abitudine”: non sarei riuscita a battezzarla nel modo migliore.

Nonostante quel nome di persona sembri tendere ad infinito, e abbia insito quel qualcosa di infido.. qui è appena nata, alla seconda e sembra non poter (r)aggiungere altri numeri. Ora. Ora no.

Positivo, però.

Sempre positivo.

 

Raggiungiamo la metà del letto, ancora a cavalcioni del nulla.

Ti prendo la mano destra, e tu in risposta osi la mia stessa… destra.

Accetto senza degnarmi d’annuire. Mi hanno sempre suggerito non serva, in questi casi.

In un momento mi trovo a spalleggiare l’ortodossia di non sentirmi sottomessa.

Aprendomi alla vibrazione di te. Sei sopra di me, senza la pretesa di onniscienza, la mia.

Ma l’onnipotenza di chi combacia con la pancia sulla schiena.

Mi prende, via.

 

 
 
 

Body checking

Post n°29 pubblicato il 02 Gennaio 2010 da mad_giu
 
Tag: Giulia

Era giugno, entro la prima decina. Jeans di una taglia in meno, l’ultimo compito d’inglese.

Avevo freddo e vivevo di rendita. Non studiavo, non mangiavo, facevo l’amore passivamente, quando capitava. Fumavo di più del solito. Certamente, è da lì che ho cominciato.

Ero conscia del controllo esercitato, ma al contempo non sapevo da cosa derivasse, questa smania di autolesionismo innato. Mi appariva come normalità. La normalità della non sofferenza. Dell’insofferenza. Verso quella situazione che mi sembrava priva di risposte. Avevo trovato la chiave di volta. Avevo la soluzione in pugno.

Foto di mani, disegni di mani. Mani affusolate, sempre di più. L’anello al mignolo era arrivato all’anulare. Ero sposata. Avevo giurato amore, un giorno di aprile. Pasquetta del duemilasette.

Avevo deciso di annullarmi, no, non di fronte all’altare. Davanti al riflesso allo specchio.

Tacita sottile promessa.

Segreto.

 

Bugie agli altri, realtà a me stessa. La realtà del controllo. Situazionale, emozionale, musicale.

Realtà del crollo: nessuna lucidità, nei movimenti e nella testa. Ricette a bizzeffe. Conversazioni vaghe. Pomeriggi a letto e notti insonni. Body checking. Sonniferi. Sesso passivo. Sensi di colpa attivi. Lassativi.

 

 

 
 
 

Nessun titolo.

Post n°28 pubblicato il 03 Dicembre 2009 da mad_giu
 
Tag: Giulia

Lividi ricordi. Si sente ancora parlare di te, attraverso queste pareti biondo cenere. Afa grigia. Le foglie autunnali se ne vanno, al passo con i giorni. "Diminuisci la falcata!". Sensibilità maldestra e mani avanti.

Mi piace la crosta del pane fresco. Il sapore di una chiacchierata e guardarmi in uno specchio con il telefono all’altezza dell’orecchio destro. La genuinità dell’espressioni che mi perdo, perché guardo l’altro. Mi piacevano le mani dinoccolate, stile Schiele, quando pesavo trenta chili, e lo smalto bordeaux adesso, per farle apparire più in ordine. Mi soffermo spesso sui miei compagni di viaggio in autobus, mi diverte fantasticare su quello che pensano mentre sono ammutoliti, o su quello che dicono e non sento, se sono in coppia. I gatti che giocano a litigare, che alzano il pelo sulla schiena e allungano il naso in segno di sfida, e poi si leccano a vicenda le false ferite. Rapporti.

Mi piacciono i pianoforti a coda e i divani di pelle, i libri con la copertina ruvida e pulita, il profumo dei campi di girasole.

Adoro intrufolarmi negli stralci di vita altrui, e viverli con chi per esso. Così anche sulla mia pelle.

Trascorrere situazioni complicate è mia deformazione professionale di quel qualcosa che manca.

Le canzoni ad immagini, come quelle di Francesco. “Giorni lunghi fra ieri e domani, giorni strani…” [cit]

 

 

 
 
 

Scrivo io.

Post n°27 pubblicato il 19 Novembre 2009 da mad_giu
 
Tag: Giulia

Spiegazione immediata della tanta vulnerabilità alla mia malinconia, oggi. E sono le 20.06.

Tanto immediata non lo è, ma non pensavo potesse essere condizione dell’inconscio riesumare anche senza la completa certezza della data in se stessa.

Tre anni fa pronunciai quel fatidico sì.

No, non del matrimonio.

Quel sì, che toglie quanta libertà può togliere un’unione coniugale.

Che a poco a poco getta in una condizione di non ritorno.

Non vi è possibilità di divorzio.

 

Indossavo il karategi, ricordo. Ricordo me l’avessi chiesto tu. E io avevo voglia di mostrarti un katà come si deve. Non indossando vestiti comuni. Volevo che il movimento d’anca fosse coronato da quel tessuto rigido e assieme rigorosamente flessibile, bianco.

Ingenuamente volevo. Ingenuamente avrei voluto il tutto si fermasse lì.

Ma la curiosità è mossa anche dall’ingenuità, non ancora “senile”, della mia adolescenza.

Adolescenza all’insegna dello smontamento-limiti. Un po’ debole.

Non alla debolezza della carne. Non debolezza fisica. Debolezza alla felicità.

Quello stato mentale che solo ora scopro essere fuggevole, e che prima mi sembrava così essenziale e permanente, una volta conquistato.

 

Io nelle tue mani “ieri”.

Oggi. Il tempo non cambia. Grigio. L’innocenza non torna. Buio.

 
 
 

Brividi, quando capita.

Post n°26 pubblicato il 12 Ottobre 2009 da mad_giu
 
Tag: Giulia

Perfettamente torno indietro. Ricalcando le orme di quei primi giorni. Mi spio scavare tra i numerosi pensieri che mi martellavano la testa e che ora riescono soltanto a carezzarmi.

 

Mh… il termine “carezzare”. Suona così lieve, appunto perché nella prima sillaba manca di violenza. Potevo benissimo usare “accarezzare”, ma il precedente lo sento più adatto per questo contesto. Anche per il contesto in cui vivo adesso, se è per questo. Non so perché ma quel “ac” d’inzio mi sembra destabilizzi il concetto di carezza. Che arriva dolce, a volte inaspettata, a volte invece prevedibile. Convenzionale o no, lascia il segno.

Lascia brividi sul corpo, o semplicemente la sensazione del tocco.

Lieve, sempre.

 

I primi giorni di decisioni così importanti da scardinare quel mondo fondato sull’inerzia di ricordi, che sul solito binario, quotidianamente facevano la loro comparsa e mi salutavano dagli (s)compartimenti. Uno ad uno. Stagni.

Salutavo a mia volta.

Li vedevo. Su quel circuito chiuso. Li osservavo.

Dai miei occhi vedevo tutto. Ma i miei occhi perdevano me.

Pensavo di essere onnisciente, al di sopra delle parti. Invece ero una mera spettatrice.

Aspettavo. E aspettando, sotto la doccia, guardavo le mie gambe assottigliarsi.

La spina dorsale diventare un bassorilievo, allo specchio.

 

Aspettavo.

 
 
 
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