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RIENTRO

Post n°142 pubblicato il 10 Aprile 2008 da DerSpinne

Entro apro il portone, guardo nella casetta della posta, è piena. Apro, veloce, apro e prendo una manciata di posta, la guardo, scivolano i fogli elettorali in terra. Ho fretta non li raccolgo. Prendo l'ascensore. Stringo tra le mani qualcosa, una busta, un foglio, forse una bolletta, ho fretta. Apro l'ascensore, un viaggio interminabile.

Non ci sono. Sono fuori, per la strada, con la macchina, accellero, negli occhi le luci di Roma. Giovedì sera, strade deserte, lampioni, auto, fari, marciapiedi disconnessi, un vecchio palazzo, un'altro vecchio palazzo.
Ho voglia di accellerare. Accellero. Scarto, supero una macchina. Accendo la radio su una canzone qualunque. Non conosco la canzone, è solo note, musica, non l'afferro, non la sento. Guardo e basta.
Le foglie sono illuminate dal riflesso giallo dei lampioni. La strada è asfalto rabberciato, disconnesso, bucato. Beirut. Il Libano. Una katiusha che spara razzi sull'asfalto. Luci, ancora Luci. Palazzi a perdita d'occhio.
Una città. Finestre, balconi, portoni. Grate alla finestre. Le trovo assurde.
Dentro ogni casa una vita. Sono amante, amore, amico, fratello, figlio, padre, nonno. Sono parte integrante di ogni luce che esce dalle persiane. Sono vetro che si dilania, schegge che si dipanano, curve, dossi, sanpietrini. Sono una variabile.

Ho un improvvisa voglia di picchiare qualcuno, di dare un bacio, di fare l'amore, di alzare il volume dello stereo, di fare qualche bassezza, qualche grande gesto. Accellero. Voglio arrivare a casa, scrivere, buttarmi, raccontare la scossa, l'attimo. Affermare in maniera ineluttabile..

L'ascensore è lento, lento. Ho fretta, fretta.

La targa INA del palazzo, ad ovest del nulla, era incrostata dalla sporcizia, polvere, inquinamento, sedimenti. Troveranno un giorno, gli archeologi, di oscure civiltà, la targa incrostata.
Troveranno un giorno i maghi, la stele di rosetta di ogni mio amore, ogni viso passato, scrutato, svuotato. Dalle finestre mi guardano, mentre sfreccio, stridulo, nel tempo.

Eppure c'è un uomo che porta a spasso una bambina, con le treccine. La tiene per mano, ed è irreale. Perchè niente tiene, e tutto si disgrega, perchè sono assurde le luci rosse dei semafori, ed assurdo è il ciuffo che ha il tizio della macchina accanto.

Eppure ho fretta, fretta, fretta, una dannata  fretta di arrivare.
Verso un nulla, una parola, l'inizio, la fine. Affermare che sono una freccia, scagliata, inutilmente.

Arriva l'ascensore, apro la porta, poi la porta di casa. La finestra è aperta. L'asfalto grida di macchine che passano. E sono qui che scrivo, perchè è inutile, dannatamente inutile. Perchè non c'è un perchè. Un dove, un come. Non esiste nulla.
Attimi che collidono, luce fioca, rumore, musica in lontananza.

La città dorme, la città non esiste, mentre io sono qui.
E sono vivo.

 
 
 
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