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L' INFORMAZIONE METEOROLOGICA IN ITALIA: ECCESSO O DEFICIT?

Post n°399 pubblicato il 22 Luglio 2010 da tizi88_2006

Il Maggiore Guido Guidi
Stampa, radio, televisione, portali internet, telefonia mobile…
Gli spazi dedicati alla meteorologia sono praticamente ovunque. Nell’era della comunicazione ciò dovrebbe generare un enorme effetto propulsivo per questo settore, ed in effetti a ben vedere questo è quello che sta accadendo in molti paesi del mondo. Ma, ahimè, non nel nostro. Gli spazi dedicati infatti, pur destando grande interesse nell’utenza e risultando quindi decisamente redditizi, mancano troppo spesso di quel minimo di approfondimento che facendo la differenza tra un prodotto e l’altro faciliterebbe il processo di fidelizzazione, stimolando in ultima analisi la ricerca di prodotti mirati ed innovativi. Certamente, specie nel campo della comunicazione visiva, le rappresentazioni grafiche presentano delle diversità, ma in sostanza il messaggio rimane immutato: un’informazione molto generalizzata, e proprio in virtù di questo, essenzialmente a scopo ludico. Cerchiamo di analizzare gli aspetti del problema appena enunciati. La generalizzazione dell’informazione ne facilita l’impiego; sono brevi i tempi di enunciazione e possono essere ristretti gli spazi nelle pagine dei giornali, ossia si assolve al compito di soddisfare la domanda senza troppo impegno. La gita fuori porta continua ad essere di gran lunga più importante di qualunque avvenimento, specie in fase di previsione. Il discorso cambia e anche molto in fase di commento, ossia quando le condizioni meteorologiche provocano problemi seri, si moltiplicano gli interventi per spiegare l’accaduto, e, molto spesso, per dire che era tutto o quasi previsto. Già perché il progresso tecnologico è andato di pari passo con la crescita dell’attendibilità della previsione, ma questa non conduce ad una informazione attenta a problematiche di ampio respiro e grande importanza, quali il traffico stradale, l’operatività degli scali aerei, l’impiego delle risorse energetiche ed altro ancora. Per fortuna, non è sempre così: fanno spesso eccezione le fonti istituzionali ed alcuni soggetti presenti sulla rete, che tuttavia non sempre vengono ascoltati. Un esempio, in Italia non c’è solo un gran bel sole d’estate, ma d’inverno nevica anche, ne sanno qualcosa al nord e sulle zone adriatiche; e qualche notizia spesso arriva anche dal meridione, magari sulle zone interne della Calabria e del Molise. Tuttavia ogni inverno si assiste a situazioni assurde di blocchi stradali, chiusura di aeroporti e difficoltà di vario genere; tutto questo in concomitanza di eventi che soltanto raramente sono eccezionali. Unico forse per quest’anno l’episodio della neve a Milano e dintorni dello scorso gennaio, ben previsto e anche ben sopportato. Ma non sono uniche le nevicate sull’Appennino ligure o su quello calabrese, dove invece le cose sono andate diversamente. Il problema è che in realtà le informazioni ci sono, ma non c’è un sistema organico di accentramento e diffusione delle stesse. Si assiste per lo più ad una rincorsa tra scoop, pareri scettici ed annunci catastrofici, che creano spesso una gran confusione. Le agenzie di stampa pescano sapientemente ora questa ora quella indicazione, ed ovviamente le più colorite riscuotono gran successo, comprese le gettonatissime previsioni stagionali, che previsioni non sono, che offrono grandi spunti di retorica e che soprattutto nessuno ricorda… Pensare che proprio lo sviluppo di queste ultime, quando si uscirà dalla sperimentazione, potrà rivestire grande importanza in settori vitali come ad esempio il controllo delle risorse energetiche e l’agricoltura. Ma evidentemente per questo non siamo ancora pronti. Accade così che l’eccesso di informazione si trasforma in deficit, le grandi potenzialità rimangono soltanto tali, e anche nel campo dell’informazione meteorologica prevale la politica del campanile. Negli ultimi anni infatti è cresciuto moltissimo il numero degli operatori nel settore, ma per lo più si è scelto di occupare spazio nel settore commerciale, l’ultimo anello della catena, quello appunto redditizio, trascurando troppo spesso la qualità della materia prima col risultato di produrre servizi ottimi per riempire spazi editoriali, ma quasi del tutto inutili per l’utenza. Quindi un po’ di colpa, e forse neanche pochissima, ce l’ha anche chi è dentro il movimento, perché la dispersione delle risorse ne impedisce un impiego mirato, magari per sistemi tecnologicamente più avanzati, quali radar integrati in rete e boe nei nostri mari. Tutte cose che costano molto, come costa moltissimo una rete di osservazione efficiente, che è alla base di tutto il sistema. Fare meteorologia infatti è molto dispendioso, e allo stato attuale poco remunerativo, malgrado l’affollamento di operatori più o meno accreditati potrebbe far pensare il contrario. Tutto ciò ci riporta all’inizio della riflessione. Alla speranza che l’allargarsi del movimento produca quella spinta necessaria a farlo crescere, senza accontentarsi di soddisfare solo apparentemente una domanda in crescita continua, anche perseguendo lo scopo di uscire definitivamente dal ruolo un po’ buffonesco del previsore visto come una sorta di stregone, depositario più di un privilegiato rapporto con la sorte, che di una conoscenza fondata su basi scientifiche. Tutto questo è possibile, la tecnologia ci aiuta, le risorse ci sono, le buone intenzioni anche, il pubblico ne ha bisogno. Si può e si deve fare.
FONTE: Meteolive.it
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