La prima forzatura sta nel definire Obama un afro-americano. Se egli lo è, lo è in modo marginale, anche dal punto di vista culturale, una volta abbandonata l'enfasi della campagna elettorale. Non è un caso, d'altronde, che molti esponenti delle comunità africane-americane abbiano espresso più volte dubbi sulla reale adesione di Obama a determinate istanze africane-americane.
Ciò detto, l'articolo, più che fumoso, è scritto in modo oscuro: più che altro esercita un parallelo, solo in parte azzeccato, fra l'alta borghesia integrata cui appartiene Obama e cui apparteneva Davis (il quale ebbe certo frequentazioni diverse ma, in fondo, nell'esplicitazione del proprio pensiero, nonostante molti camuffamenti linguistici e comportamentali, rimase sempre un intellettuale della medio-alta borghesia africana-americana). Parallelo solo in parte azzeccato perché Davis frequentò più largamente le istanze sociali della comunità africana-americana di quanto abbia fatto Obama, le cui origini risiedono in Kenya e nella borghesia bianca americana. Che poi Davis avesse creato un vero e proprio cenacolo (cosa che Parker non ebbe modo di fare), non è cosa lontana dal vero e rientra, direi, proprio nella antropologia culturale dell'intellettuale dotato di self-consciousness ed è pratica ricorrente anche nel mondo del jazz, a seconda, è ovvio, del tratto ondivago di taluni protagonisti. Mingus, Monk, Coltrane hanno a loro modo esercitato un'autorità intellettuale all'interno di cenacoli o simulacri di essi.
Quanto a Pollock e al suo rapporto con il bop, potrebbe anche essere plausibile, anche se poco credibile. Comunque, poco ha a che fare con il gusto musicale personale del pittore, che nella propria arte si suppone trascenda la propria quotidianità. Piuttosto, invce, direi che di rado la tradizione culturale bianca americana ha accompagnato di pari passo l'evoluzione della tradizione africana-americana che, per molteplici (e alcuni, ovvii) motivi, ha seguito un percorso proprio. Teoricamente, ad esempio, la cultura beatnik avrebbe accompagnato il free, laddove al suo interno, invece, era ferma al be bop o, casomai, seguiva le orme del West Coast jazz o, meglio ancora, trovava nel blues o nelle culture extra-occidentali motivi di stimolo.
L'articolo di Repubblica è opinabile, sebbene sia nel giusto nell'indicare nella coolness di Davis un freno strutturale alla frenesia con cui il bop riempiva ogni varco strutturale. Davis riporta il bop nell'alveo di un'occupazione dello spazio più coerente con la tradizione americana. In questo egli è stato un intellettuale americano nel senso più puro del termine. E, perché no, socialmente egli ha rappresentato un modello per la borghesia africana-americana, un modello cui Obama si avvicina, con tutte le differenze del caso. |