Creato da pierrde il 17/12/2005
Mondo Jazz
Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.
IL JAZZ SU RADIOTRE
martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30
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JAZZ & WINE OF PEACE
Pipe Dream
violoncello, voce, Hank Roberts
pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig
trombone, Filippo Vignato
vibrafono, Pasquale Mirra
batteria, Zeno De Rossi
Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
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Ultimi Commenti
Less.is.more il 24/08/19 alle 11:46 via WEB
Non ti preocupare, capisco benissimo. Vi sto seguendo dall'altra parte.
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Less.is.more il 23/08/19 alle 21:27 via WEB
Molto bello e interessante il nuovo blog.
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Piero Terranova il 13/07/19 alle 20:06 via WEB
La musica di di Monk ne definisce la prepotente personalità artistica come del resto quella di Parker o di Ellington, sono le stesse note ad individuarne la paternità assoluta, basta ascoltare. In Monk c'è istinto allo stato puro espresso da una diteggiatura che non ha riferimenti tecnici, ma continue sorprese ed invenzioni attimo per attimo, scatti e contorsioni delle dita che fanno parte dello spettacolo, quello di un uomo assorto e lontano dalla platea com'è sempre stato, incurante degli applausi , distaccato e chiuso soltanto nella sua musica. - Piero Terranova jazzista. e musicologo
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Luciano Linzi il 19/10/18 alle 15:44 via WEB
Grazie!
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juliensorel2018 il 12/10/18 alle 15:21 via WEB
Una notizia che scalda il cuore. Anche perchè è decisamente in controtendenza. Purtroppo altrove i jazz club (o comunque i luoghi dove il jazz viene comunque ospitato) continuano a soccombere sotto varie difficoltà, non escluso ora un contesto culturale circostante ostile. Mesi fa questi problemi avrebbero dovuto esser sottoposti con forza al Ministero della Cultura, invece ci si è accontentati di un platonico e sterile "riconoscimento del rilievo culturale del jazz italiano" (quasi che la consistenza culturale di certe esperienze debba esser soggetta ad omologa ministeriale, anzichè esser conseguita sul campo). I locali che ospitano regolarmente programmazione jazzistiche hanno seri problemi di ostilità di vicinato (spesso pretestuosa e preconcetta), di reperimento di locali adeguati e di loro messa a norma (pensiamo alle numerose proprietà di enti locali abbandonate al degrado da anni), di rapporto con la pesante burocrazia SIAE (giaceva in Parlamento un disegno di legge che prevedeva un regime forfettario che molto avrebbe aiutato le piccole realtà), da ultimo si sono registrati anche atteggiamenti di vero e proprio ostracismo ideologico da parte di amministrazioni locali. Un esempio era già disponibile: in Lombardia (non si parla quindi delle Emilie o delle Toscane a suo tempo all'avanguardia) molto si è fatto per agevolare la transizione al digitale delle piccole sale cinematografiche che ospitavano programmazione di rilevo culturale: l'operazione è riuscita al punto che mentre chiudono le labirintiche plurisale con i pop corn, gli eredi dei passati cinema d'essai sopravvivono, ed anzi ogni tanto ne nasce una nuova. Purtroppo la vecchiaia è ripetizione, ma non mi stancherò mai di ricordare che al nostro jazz manca in buona parte l'esperienza della pratica musicale quotidiana, del confronto ravvicinato con un pubblico non casuale ed occasionale, situazioni che possono scaturire solo nell'ambito di un circuito di club. Inutile illudersi: sono anche le condizioni materiali in cui si sviluppa che 'fanno' la musica che ascoltiamo. E che talvolta possono anche strangolarla.
Fine geremiade. Milton56, "gufo" non rassegnato
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juliensorel2018 il 07/10/18 alle 16:17 via WEB
Il jazz di oggi miagola e non ruggisce? Mah, spesso ma non sempre. Il fatto è che i miagolii, per quanto flebili, sono potentemente amplificati (specie dalle nostre parti) e facilmente sovrastano diversi ruggiti (o quantomeno ringhii) viceversa unplugged. Poi è anche un nostro problema aguzzare l'orecchio per udire anche questi ultimi (magari azzerando il volume ai miagolii sui nostri dispositivi, pur sempre dotati di apposito controllo). "Quelli che ascoltano il bop per rilassarsi": bella invenzione letteraria, quanto a me, mai conosciuto uno (sempre che si parli di bebop). Milton56
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lorissc il 29/09/18 alle 17:14 via WEB
magnifico blog, cose fantastiche
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pierrde il 23/09/18 alle 20:50 via WEB
Sfogo fin troppo elegante e contenuto. A me verrebbe da dire ai jazzisti italiani che li capisco, tributi siffatti danno visibilità e soldoni, ma sono anche una trappola infida. Non esprimo giudizi, ricordo solo che delle decine di tributi esistenti quelli che si possono ricordare senza imbarazzo stanno si e no sulle dita di una mano. Tutto il resto è noia, giusto per rimanere in tema canzone...
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juliensorel2018 il 08/09/18 alle 21:18 via WEB
Doverosa rettifica di una topica cortesemente segnalata: il batterista del gruppo di Frisell non era Eric Harland, bensì Rudy Royston, altrettanto formidabile del primo, purtroppo sempre sottoutilizzato nell'occasione. Chiedo venia. Franco Riccardi
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riccardo il 08/09/18 alle 14:29 via WEB
Vediamo di non far capziosa confusione, poiché la parola "interpretazione" è ovviamente relativa all'uso e al senso che gli si dà nell'ambito del jazz da sempre. Quello che mi pare intendi tu (e non io) è il significato relativo più all'ambito dell'esecutore di una pagina scritta nella tradizione accademica. Michelangeli interpreta Debussy o Chopin, in un modo e in un senso che è completamente diverso a ciò che fanno, che so, Sonny Rollins o Jarrett se suonano You don't know what love is. Non so, nel caso proponi tu una parola diversa, più adeguata, che so personalizza? Riscrive? Il significato attribuito al medesimo uso della parola non è lo stesso né può esserlo. Il jazz ha tra l'altro una tradizione più orale che scritta per cui la parola "interpretazione" nel caso specifico va letta e compresa nel suo contesto, non in quello di altri.
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