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« Figli dell'Orsa Minore. | L'ascia o raddoppia. » |
Non bisogna mai volgere lo sguardo oltre i tetti delle case, mai tuffarsi a capofitto dentro sogni e speranze che ci prendono troppo tempo, che richiedono tutto il tempo della nostra vita e del nostro pensiero.
Andava bene, forse, tutto questo a ventanni, in quei giorni di incoscienza quando si stava alteri sulle barricate.
A ventanni, si ha tempo per combattere e resistere ai richiami della pace.
Seduti sopra un letto o in fuga, dentro un treno, nella notte, sotto una tenda come indiani o per una strada di provincia, si ha tempo e voglia per amare con meraviglia.
Ma, adesso, la vista non è più di conforto, non mette a fuoco lineamenti e profili, sovrappone circostanze e ricordi, non valica confini, nè sa essere precisa per non confondere il tutto con il niente.
Gli orizzonti che sfiorammo da giovani con il ferro e con il fuoco, adesso, sono immersi nelle nebbie, e non ci sono visti nei nostri passaporti.
In questo finale di partita, almeno io, ho scelto di proseguire da clandestino.
Per questo vado e vengo da luoghi segreti, sto in campana e leggo per non alzare gli occhi oltre la linea dei tetti.
Chissà se c'è davvero silenzio nel deserto.
Chissà se, urtando il nome di un ricorso, si frantumerà questo fragile sguardo.
Forse scrivere un dubbio potrà mantenermi ancora vivo.
Nel fratttempo, sto imparando a morire, a pensarmi vecchio; sto abbracciando solitudini che credevo d'avere perso.
Senza scandalo, sto qui sdraiato su un fianco aspettando che scoppi il temporale.
Un impulso elettrico fa sorridere il cuore, un altro taglia in due la ragione.
Sono anticipi di morte, le prime piccole avvisaglie.
Quello che tu senti, adesso, non è più il suono delle mie parole, nè il brusio delle mie paure o dei miei desideri, ma sono i battiti del mio cuore che sta resistendo.
Ho un appuntamento con il destino e sto qui, invece, a scriverti come un ragazzino, quasi fosse la mia prima volta, il mio primo bacio, il mio primo addio.
Sto qui, sdraiato sull'orlo di un precipizio, e non sento la tua mano scivolare lungo il dorso ancora caldo di peccato e di fiato.
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