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Incaute Provvidenze

Post n°188 pubblicato il 06 Marzo 2015 da Noneraunsogno

 

Incaute Provvidenze.

 I lunghi spostamenti del campo base hanno lasciato tracce profonde nel mio corpo. Faccio fatica a recuperare la miglior forma. In questo frangente mi basterebbe soltanto avere la forza di reggermi in piedi per più di due ore per sentirmi più che vivo.

La febbre ha quasi tolto del tutto le tende dal mio avamposto.
Attorno a me  regna finalmente un silenzio pieno di polvere e di anestetico.

Così, riesco a concentrarmi su me stesso. Nella mia testa schizzano brevi messaggi, frasi rimaste appese sui fili delle speranze, parole che comprendono andate e ritorni.

Non ho più cognizione del tempo, non provo nessun interesse per il giorno, né per la notte; sono in libera uscita dalla vita, in balìa dei ricordi e non so se farò mai ritorno a casa.

 Approfitto di questa tregua e provo a scriverti qualcosa, parlarti ancora di sogni e di progetti. Ti immagino con me nel nostro personale pellegrinaggio. Tu ed io abbracciati e sorridenti con lo sfondo pieno di nubi, di montagne e di domande.

Ti immagino con me  ed il dolore del corpo si acquieta per un momento, persino la mano ritrova vigore, si abbassa, cerca qualcosa nascosta nella sacca.

 Non ho mai pensato che tu riuscissi a proiettarti oltre il pensiero, a trasferirti seduta stante al solo mio richiamo;  ho messo su un teletrasporto improvvisato con quello che qui sono riuscito a  racimolare: foglie di palma piuttosto secche, ricetrasmittenti  tenute su con il nastro isolante, un portatile multifunzione nel senso che serve a tutti quanti per i  collegamenti, pagine dell’Empedocle di Hölderlin  che qualcuno ha strappato per rabbia o per amore dal libro del suo cuore, e,  naturalmente, datteri in abbondanza, come carburante ipotetico della indivina umana transumanza.

 ... Stanno tornando, sento movimento oltre la tenda; c’è un nuovo dottore che dovrebbe visitarmi, dare lo stesso responso di quello del medico del campo.

 Io non farò caso al suo sguardo; ho imparato ad amare la mia malattia, a riconoscerne l’imperioso tormento.

Con lei occorre avere pazienza, comprenderne il senso, giocare ed aspettare...

Aspettare lungo il confine di Francia e di Spagna che tu giunga sorridente con la tua inseparabile Nikon ad accompagnarmi fino alla fine del viaggio.

 I nostri sogni, amore, inesauribili  e leggeri, sono sempre stati le nostre personali risorse che ci hanno permesso di andare oltre, di sopravvivere comunque.

I nostri sogni, le nostre incaute Provvidenze.

 6/3/2015

 

 
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Che cazzo ci ridi, Jason?!

Post n°187 pubblicato il 04 Novembre 2014 da Noneraunsogno

Fanno silenzio le parole negli aeroporti. Si mettono in fila, una dietro l'altra, aspettando che il volo compaia sugli occhi di una ragazza imprigionata in una divisa  verde per poi seguirla, fedeli come  seguaci, lungo i  percorsi obbligatori che li conducono agli ultimi controlli e alle anonime sale di attesa degli imbarchi.

Jason sta contando quelle parole, una dopo l'altra, e di ognuna si diverte a riprodurne il suono. Avvolto nella sua corpulenta innocenza  non fa sconti  a nessuno, nemmeno alle mie mani che  lo implorano di andare via.

D'altra parte gli è stato detto di non perdermi mai di vista, di accertarsi che le mie parole salissero a bordo, una dopo l'altra, incatenate ai miei piedi, perchè non mi venisse in mente di fare marcia indietro o di avere ripensamenti.

Per tre lunghi mesi, Jason  è stato il mio angelo custode, seduto al mio fianco nei turni senza tempo passati nei piccoli villaggi a tradurre le parole sfiatate dalle ombre vive, nonostante tutto.

 

H. ed io non ce l'avremmo fatta senza il suo sorriso.

Ma adesso lei non c'è; non è donna certo da piegarsi ad un addio, lei che non ha mai amato le folle, lei che non si è ma costituita all'ordine assoluto della  Medicina di Stato

Soggiocato dalla sua natura, ho bevuto alla fonte del contagio della vera conoscenza e mi sono sentito meglio, ho ritrovato la vita che avevo perso.

Non sono più lo stesso da quando ho messo piede in questo immenso deserto.

Jason, invece, lo avverte, mi legge dentro, ha lo sguardo di chi ha imparato a dire addio sorridendo.

Sto qui, appoggiato al muro e sto attendendo che arrivi un soffio di vento.   Ho un biglietto fra le mani, una tracolla piena di lacrime che brillano come perle, tutto quello che resta del viaggio, la polvere, il cigolio del cancello di ferro che nessuno ha mai chiuso, come se quel rumore, impreciso e persistente, appartenesse da sempre alla natura o alla gente del luogo.

E poi, mi porto addosso, gli occhi di una folla di domande, fatte di lunghi  silenzi bianchi, neri, azzurri e gialli.

Perchè niente può incantare come un silenzio che si colora a secondo del rumore del cuore.

Mi guardo attorno confuso mentre la folla di parole mi spinge oltre le transenne, mi conduce al lusso di uno sguardo europeo che mi scruta in lungo e in largo esortandomi a fare presto.

Mi guardo attorno e comincio anche io a contare le parole che raccolgo spingendo.

"Quante sono Jason?" chiedo richiamandolo con la mano.

" Tante, Mr. John, così tante che non capisco come facciano a comprendersi fra di loro"

"E' l'Europa, non farci caso!".

Lui ride, confuso e felice di avere portato a termine la sua missione.

Lui ride, da un tempo infinito, ride nonostante gli anni, il peso e gli affanni.

Ride di qualunque cosa che non sia sopravvivenza, ride degli aerei che vanno e vengono, ride delle carte di imbarco, ride dei miei grazie, ride ad ogni parola che oltrepassa il cancello,  ride dei saluti, dei permessi di soggiorno, ride ad ogni posto di controllo, ride ad ogni villaggio, trascinandosi dietro una processione di bambini affamati di Jason.

Lui ride, e forse è un modo anche il suo di sopravvivere, di scacciare fantasmi dalla sua mente. Ride, come se non avesse conosciuto mai il pianto.

Io soggiogato dal suo rispetto per la vita degli altri  me lo sono sempre chiesto e non ho mai avuto il coraggio di domandarglielo a bruciapelo.

Cosi  lo scrivo adesso, in questo post viaggio, in questa solitaria visita ad un altro tipo di villaggio:" Ma che cazzo ci ridi, Jason?!"

 

   by SimWarrior

 

 
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... e mi manchi.

Post n°186 pubblicato il 02 Giugno 2014 da Noneraunsogno

 

La mia patria è racchiusa
in un piccolo quadrato d'amore
che si chiama cuore.

 

Carissima H.,

la tua amicizia non finirà mai di stupirmi. Nata nel tumulto di una assemblea infuocata del '77 è stata per anni la bandiera del disordine più felice. Non credo che possa definirsi in altro modo quel nostro modo di stare nel mondo,  se non come  un vivere immerso nel disordine di una  felicità senza fine, trasgressiva,  a tratti scintillante e  feconda.

Io, povero studente che scriveva sui muri  la sua rivolta,  mi ritrovai mano nella mano con la  tua smisurata rabbia.

Che splendore quei giorni di imprevisti e di deviazioni, quei lunghi sguardi che ci legavano l'uno all'altra, nonostante la confusione di quel che succedeva intorno a noi. L'entusiasmo era la costante di quei giorni, entusiasmo nei confronti del  presente, entusiasmo incondizionato e fuori controllo, entusiasmo da ridere, da piangere, da sballo.

Ricordo molte discussioni fra di noi: il tuo essere in equilibrio costante, in apparente autocontrollo, ereditato da una famiglia borghese e tradizionalista, si  scontrava spesso con la mia visione anarchica del mondo, ed erano conquiste quelle nostre interminabili notti di parole.

Non ci sono passioni più vere di quelle che si accendono sui falò delle parole urlate, dette, buttate a piene mani. Perchè, con le passioni, le parole si sciolgono  e diventano benzina e il fuoco che alimenta tiene lontano la tristezza  e la malinconia.

Ma è così che si ama, qualunque sia la forma d'amore che si da alla vita.

Fra litigi e discussioni, baci e pugni alzati,  ci siamo scambiati  tutto quello che avevamo  dentro, senza pensare a quel che poteva riservarci il domani.

Senza promesse, abbracciati ai nostri ventanni,  siamo cresciuti fino a diventare grandi.

Poi, come succede ai reduci, dopo le disfatte, abbiamo cercato una strada di ritorno.

Tu, avevi un sogno e hai continuato per la tua strada.

Io, invece, sulla strada ci sono  rimasto  per anni con un secchio di vernice in mano.

Eppure parafrasando le parole di qualcun altro non posso che immaginarti incasinata, bella come allora, madre più  a sinistra di qualunque figlia,  donna che  si ostina a lavorare imperterrita a scuola, in carcere, in ospedale, nonostante che non si senta affatto  medico,  insegnante o vate.

Qualunque cosa adesso tu faccia sono sicuro che ci metti dentro l'ironia  e l'intelligenza che ti ha sempre contraddistinto, che ti ha reso così bella.

Mi piace pensarti ancora mentre urli, immobile al centro della strada, reclamando un bacio, un'attenzione o una spiegazione per qualcosa che ti rimbalza dentro e che non riesci a raccogliere in parole.

Si sa, siamo una generazione di talenti che hanno sprecato le loro occasioni.

Potevamo essere altrove, sedere in posti di comando, migliorare il mondo ed invece eccoci qui tartassati dalle domande, in preda ai dubbi più atroci sul perchè degli umani ed incredibili sovvertimenti.

Ma se ho imparato a fare domande, se ho conquistato il cuore e l'amore di altre donne, se ho scelto di essere quel che sono, padre di un sogno o di un abbraccio,  lo devo anche a te, a quella felicità che mi è rimasta dentro, attaccata come rampicante alle pareti  del cuore in cui spesso mi rifugio per sentire ancora battere l'amore, il disordine ed il caos.

Ti scrivo adesso, solo dopo tanti anni, perchè volevo dirti che mi mancate  davvero tu e quegli anni.

O, forse, ti scrivo  perchè sto invecchiando e ripenso alle persone più importanti che mi sono rimaste dentro.

Dentro questo piccolo quadrato che difendo disperatamente  con tutte le mie forze dalle continue offese del  tempo.

 

 

 

 

 
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Donne in rinascita.

Post n°185 pubblicato il 25 Maggio 2014 da Noneraunsogno

 

Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita.

Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta.
Che uno dice: è finita.
No, non è mai finita per una donna.
Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede, anche se non vuole.

Non parlo solo dei dolori immensi, di quelle ferite da mina anti-uomo che ti fa la morte o la malattia.

Parlo di te, che questo periodo non finisce più, che ti stai giocando l'esistenza in un lavoro difficile, che ogni mattina è un esame, peggio che a scuola.
Te, implacabile arbitro di te stessa, che da come il tuo capo ti guarderà deciderai se sei all'altezza o se ti devi condannare.
Così ogni giorno, e questo noviziato non finisce mai.
E sei tu che lo fai durare.

Oppure parlo di te, che hai paura anche solo di dormirci, con un uomo; che sei terrorizzata che una storia ti tolga l'aria, che non flirti con nessuno perché hai il terrore che qualcuno s'infiltri nella tua vita.
Peggio: se ci rimani presa in mezzo tu, poi soffri come un cane.
Sei stanca: c'è sempre qualcuno con cui ti devi giustificare, che ti vuole cambiare, o che devi cambiare tu per tenertelo stretto.
Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa.
Eppure te la racconti, te lo dici anche quando parli con le altre: "Io sto bene così. Sto bene così, sto meglio così".
E il cielo si abbassa di un altro palmo.

Oppure con quel ragazzo ci sei andata a vivere, ci hai abitato Natali e Pasqua.
In quell'uomo ci hai buttato dentro l'anima ed è passato tanto tempo, e ne hai buttata talmente tanta di anima, che un giorno cominci a cercarti dentro lo specchio perché non sai più chi sei diventata.
Comunque sia andata, ora sei qui e so che c'è stato un momento che hai guardato giù e avevi i piedi nel cemento.
Dovunque fossi, ci stavi stretta: nella tua storia, nel tuo lavoro, nella tua solitudine.
Ed è stata crisi, e hai pianto.

Dio quanto piangete!
Avete una sorgente d'acqua nello stomaco.
Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata, alla fermata della metro, sul motorino.
Così, improvvisamente. Non potevi trattenerlo.
E quella notte che hai preso la macchina e hai guidato per ore, perché l'aria buia ti asciugasse le guance?

E poi hai scavato, hai parlato, quanto parlate, ragazze!
Lacrime e parole. Per capire, per tirare fuori una radice lunga sei metri che dia un senso al tuo dolore.
"Perché faccio così? Com'è che ripeto sempre lo stesso schema? Sono forse pazza?"
Se lo sono chiesto tutte.
E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia, a due, a quattro mani, e saltano fuori migliaia di tasselli. Un puzzle inestricabile.

Ecco, è qui che inizia tutto. Non lo sapevi?
E' da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti così, scomposta in mille coriandoli, che ricomincerai.
Perché una donna ricomincia comunque, ha dentro un istinto che la trascinerà sempre avanti.
Ti servirà una strategia, dovrai inventarti una nuova forma per la tua nuova te.
Perché ti è toccato di conoscerti di nuovo, di presentarti a te stessa.
Non puoi più essere quella di prima. Prima della ruspa.

Non ti entusiasma? Ti avvincerà lentamente.
Innamorarsi di nuovo di se stessi, o farlo per la prima volta, è come un diesel.
Parte piano, bisogna insistere.
Ma quando va, va in corsa.
E' un'avventura, ricostruire se stesse.
La più grande.
Non importa da dove cominci, se dalla casa, dal colore delle tende o dal taglio di capelli.

Vi ho sempre adorato, donne in rinascita, per questo meraviglioso modo di gridare al mondo "sono nuova" con una gonna a fiori o con un fresco ricciolo biondo.
Perché tutti devono capire e vedere: "Attenti: il cantiere è aperto, stiamo lavorando anche per voi. Ma soprattutto per noi stesse".

Più delle albe, più del sole, una donna in rinascita è la più grande meraviglia.
Per chi la incontra e per se stessa. È la primavera a novembre.
Quando meno te l'aspetti...(JACK FOLLA)

Dedicato a te che non ti arrendi mai, nonostante me e tutti gli altri.

 

 

 

 
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Profili evoluti.

Post n°184 pubblicato il 20 Maggio 2014 da Noneraunsogno

 

Nessuna incertezza sulle dita. Le mie continuano a battere sui tasti facendo attenzione a non fondere fra di loro consonanti e vocali, mentre le tue, così leggere,  quasi invisibili, sfiorano il mio sguardo lasciando sul muro bianco curiosità e desiderio dopo ogni passaggio.

Cerchiamo inutilmente di convincerci che siamo in viaggio, tu ed io.

In viaggio, da sempre, alla ricerca di qualcosa che ci possa ridare forza ed   entusiasmo.

Di  profilo in profilo, explorando, immaginando la bellezza che, con inquietitudine,  abbiamo imprigionato  dentro.

 
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