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in quell'altrove ideale.

Post n°181 pubblicato il 20 Aprile 2014 da Noneraunsogno

 

 

... in quell'altrove ideale

 

ALtrove Ideale

 

" Quanti anni hai ?"  mi sta chiedendo la ragazza.

 Il suo sguardo ad energia fluttuante mi sta scrutando di sfuggita  e le sue mani,  danzatrici e  sinuose nell'aria compressa di questo pub stracolmo di jeans e di ghiaccio, sembrano mimare questa infinita domanda.

Sopra il suo corpo minuto se ne sta, inquieta, un'aria di conquista ed un sax sedotto, avanzando,  ne fa presto le spese e l'accompagna  fino all'ultimo fiato, prima di crollare esausto sull'applauso fragoroso di un pubblico indemoniato.

Canta, e sembra che il suo canto sia una faccenda privata fra la sua anima e la mia mente.

D'altronde, il suo è un blues che macina forte il silenzio, che spezza il muto assedio che circonda oramai gli attimi-coraggio.

La ragazza è venuta a liberarmi. Con tanto di biglietto di andata e ritorno messo in bella vista dentro gli occhi.

" Quanti anni ho, mi stai chiedendo? Tanti se consideri che sono sopravvissuto mille  volte, sopravvissuto  quando tutti attorno festeggiavano già la mia morte, sopravvissuto persino alla quiete che corrompe le  scelte, le forme della vita che chiami  resistenze.
O, forse, ho  gli stessi anni di tua madre che ti sta guardando fiera per la musica che sei diventata in questa tremula primavera " così, quasi,  le sussurro, di riflesso, accordandomi su un La maggiore di passaggio.

Sul suo fianco la  chitarra, intanto, vibra più forte simulando  un orgasmo, mentre la ragazza guarda  le sue dita che si stanno rincorrendo lungo le scale tracciate sul bianco manico di legno.

Sembra felice, finalmente sorridente. Continua  a fissare la mia faccia come chi scruta la foto sbiadita di un passaporto alla ricerca della traccia di un bandito o di un parente nella memoria nascosto.

"..... Unconditional.... " quasi sembra scivolare lenta la canzone dalla sua voce.

Bevo lentamente un'altra birra; alzo il bicchiere in suo onore, le faccio un segno, sto in qualche modo brindando alle sue prossime fortune.

"Io ho gli anni che tu canti,  gli anni del blues dimenticato  in quell'altrove ideale, tutti gli anni che corrono lungo  i sentieri dell'amore.
Ho gli anni che servono per sapere ascoltare e quelli che bastano per non ricominciare  a sognare.
Ho gli anni che si svuotano delle parole, gli anni fatti a pezzi per rottamarne giorni, mesi, o solo pochi istanti.

Ho gli anni che potresti contare se solo tu potessi  vedere dentro il mio cuore.
Delle ferite, bambina mia, sono rimaste solo queste piccole  cicatrici ".

 

 
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Goodbye, Ioerò.

Post n°180 pubblicato il 01 Gennaio 2014 da Noneraunsogno

Goodbye, Ioerò.

eroi

 

Tutto accade troppo in fretta. Come se qualcuno avesse premuto il pulsante che fa avanzare la registrazione a velocità superiori, che  rendono ridicole le immagini che passano  sullo schermo della vita. E il bello è che ogni volta che io tento di fermare questo violento avanzamento, battendo senza pietà l’indice su un ostile telecomando, ottengo solo un incremento  della velocità che spinge via qualunque mia forma di resistenza.

Succede tutto in fretta. Una illogica apatia rende piatta la visione della vita. I giovani  che battono con successo su mille tastiere, persino su quelle di un telecomando,  e che si spacciano per  figli miei, vivono di registrazioni, non riescono a metabolizzare nessun presente; non hanno appuntamenti con il destino, si muovono nell’oscurità come clandestini, come se non toccasse pure a loro, che si sono imbarcati di nascosto, la responsabilità di condurre la nave in porto.

So con certezza che la tempesta sta arrivando. Prevista, sfidata, tracciata, a tratti annunciata.

Traggo il peggio dalle mie previsioni. Ho comprato gli ultimi libri dietro cui dovrò barricarmi quando la furia del vento coprirà la mia voce. Ho già messo via le insegne che hanno popolato i miei giorni e le mie battaglie. Il Tempo degli eroi è scaduto, non è stato consumato, dimenticato in una dispensa rimasta chiusa per troppi anni. Eravamo convinti che  accumulando sogni non saremmo giunti alla fine del viaggio piegati sotto il peso dei ricordi.    

Potevamo vincere entrambi, tu ed io. Se solo avessimo avuto il coraggio di uscire allo scoperto.

Se solo avessimo barattato lo scudo per una spada o per una lancia, se solo non avessimo scavato questa trincea d’acqua fra noi e loro. Allora si che saremmo ancora in prima fila sui bastioni della vita.

Ma tutto accade in fretta. I nostri corpi si stanno disfacendo come se la materia di cui siamo nome fosse destinata ad un’ultima mutazione. Siamo stati grazia, una volta luce e speranza. Dannata mutazione. La bellezza è imprigionata dentro una bolla di sapone, una bolla che si sta ghiacciando nella vastità del dolore. Diventeremo ghiaccio, forse, oppure sabbia  sopra cui qualcuno scriverà il suo nome.

Siamo  dannati, spenti, sorpassati per strada persino da quelli che credevamo già morti. Siamo rimasti indietro, senza legami con il mondo, incapaci di scrivere sul muro bianco  di un monitor una parola che sia d’amore e di conforto.

Ioerò, oggi stai per togliere dal cuore l’accento. Cosa darei per far tornare indietro questo cazzo di discorso e riavvolgere la vita in un abbraccio.

Succede troppo in fretta. Anche l’addio avanza a 12x divorando la fine. A 12x, chissà come saremmo stati ridicoli tu ed io. Ridicoli e felici.

 

 
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Salvate le parole.

Post n°179 pubblicato il 20 Ottobre 2013 da Noneraunsogno

                                        SALVATE LE PAROLE

 

Non sarà mai il vostro mestiere, eppure ci sarà bisogno anche delle vostre mani, ci sarà bisogno dei vostri occhi e di tutti i vostri battiti.

Non ci sarà molla che scatterà in voi, nè sarà l'istinto di sopravvivenza che vi farà decidere di unirvi a noi.

Ognuno lo farà nella propria notte senza stelle, in mezzo alle raffiche di vento o sotto una pioggia fredda e battente.

Come un marinaio che fiuta le tempeste o come un prigioniero che fugge a perdifiato, vi porterete dietro tutte le parole che avevate raccolto e stipato.

Ve li porterete dietro le parole da salvare, tutte quante, incastrate dentro scrigni e bottiglie impolverate, come fossero velieri conservati per un ultimo e disperato viaggio.

Le parole, queste piccole dimore dove vanno e vengono i nostri baci, ancora piene di sudore, le parole che si tengono per mano nelle strade in cui ogni giorno camminiamo, le parole, quelle sussurrate in un letto e quelle urlate a squarciagola in un tempo giovane e maledetto, le parole che sono naufragate dentro i libri che nessuno più legge,  naufragate in un mare che divide  e che non unisce.

E saranno mani che le accarezzeranno, occhi che le disegneranno, battiti di cuori al confine degli anni che le faranno muovere verso le terreferme.

Imparare ad amare la vita, questo sarà il vostro mestiere e parlare, parlare vi servirà per poterlo dire e per poterlo ricordare.

In questo senso, le parole che avete dimenticato, si trovano nei relitti che ogni giorno s'inabissano sotto la furia del silenzio.

 

                                  video by Ivo Abbondandolo

 
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La lista di Cecilia

Post n°178 pubblicato il 08 Settembre 2013 da Noneraunsogno

Ci sono profili che non si possono definire. O, almeno, non con le parole di tutti i giorni.

Per esempio, non posso dire nulla di queste rocce, perchè esse se ne stanno in disparte, non danno segni di vita  ed il senso che esse suscitano in me, quando l'acqua  vi frantuma  il balbettio dell'onda, il moto marino e la furia del vento, è quello di impotenza e di dannazione. Certo, potrei definire il profilo di queste rocce come un profilo duro e salato, ma mai dir di loro che sono belle. Anzi, a camminarci sopra, senza sandali, non mi viene proprio il senso del bello; piuttosto, dopo alcuni passi,  provo un  dolore infinito a ridosso delle parole che l'unico senso che resta fra i denti è una imprecazione soffocata a stento.

Dicevo i profili, queste giovani linee che contengono la vita e la morte degli uomini e delle cose. Profili di donne e di uomini distesi al sole sulla spiaggia sottostante, anch'essi indefinibili, profili conficcati sulla sabbia arroventata dal sole senza nessuna scadenza impressa sulla fronte. Eppure, neanche l'untuosa perfezione di quei corpi eregge un monumento voluttuoso alla bellezza, poichè in quei profili umani ci sono oli e sudori che rigano senza significato i giorni speciali dell'ozio e che finiscono per allagare il tempo silenzioso della  rinascita  e del rinnovamento.

Cecilia se ne sta seduta proprio sopra una di queste rocce. Ha il sole incorporato nel profilo, ma grazie ai miei occhiali da sole all'ultimo grido (Ahhhhhh!) io la vedo come se ci fosse disegnato un tramonto alle sue spalle, tanto che le parlo di un profilo tutto fuoco e fiamme.

Che a Cecilia  non importi nulla dei miei ragionamenti è fin troppo evidente; rimane sulle sue e non fa una piega agli stessi. Del resto, a tredici anni  ha altro a cui pensare.

Innanzi tutto deve scrivere in qualche posto i suoi pensieri, mica li può abbondanare a destra e a manca su una isola che non sa cosa farsene dei pensieri di una ragazzina, indaffarata com'è a sopravvivere nella sua naturale prigione, poggiata tra il cielo ed il mare.

Per questo Cecilia ha un quaderno su cui annota ogni tanto una piccola frase.
Che chiamare una piccola frase "Cecilia, Roma, prossima estate" è già una esagerata concessione di fantasia alla teoria concisa della troppa sintesi e del solo essenziale.

Comunque Cecilia non parla. Cecilia scrive. Mica poesie o versi struggenti velati di bianca e infantile malinconia, ma concetti e pensieri impegnati, stringati come certi sms in cui vengono frullati le vocali e le consonanti superflue.

Cecilia non parla, ma emette rutti di inchiostro che sembrano dispacci di una guerra di cui nessuno si accorge.

Cecilia scrive e sorride. La piccola normanna, dentro cui scorre la lava del vulcano taciturno, scrive i suoi pensieri in un diario giallo. Scrive pensieri. Uno dopo l'altro, numerati progressivamente, senza un profilo d'autore che dia allo scritto un senso poetico ed infinito.

Scarni graffi sulla carta, sognando per quei pensieri migliore vita e migliore fortuna; una lista di cose da non sognare ad occhi aperti, ma da fare al più presto, magari oltrepassando il confine delle paure e delle timidezze.

1) Questa isola è sola.

2) Cecilia vuole partire.

3) Non ci vede bene. ( Ma parla di me?)

4) Troppi  schizzi! Domani mi metto sù.

5) Alessandro, Roma, aspettami.

....

Per fortuna, che Cecilia dopo un pò si alza e strappa la lista, lanciandola verso di  me dopo averla appallotolata per bene. Io che l'ho tenuta in braccio nel tempo delle maree e delle lune piene raccolgo quella pallina e le ridò vita e candore. Lei ride vedendo che sto leggendo i suoi pensieri, la sua ennesima lista.

Con complicità, le sorrido, mentre un aereo sfreccia nel cielo trascinandosi dietro i nostri occhi viaggiatori.

Curioso, rileggo la lista e penso che per i profili del mondo bisognerebbe usare solo  l'indicativo presente, mascherando con una risata il tanto famigerato futuro imminente.

D'altronde, se guardo a lungo il profilo del mare mi accorgo che all'orizzonte
ci sono tantissime vele, parole che vorrebbero prendere il largo, sfidando i tempi incerti del congiuntivo e del condizionale.

 

 

 
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L'albero bottiglia e la stella a cinque punte.

Post n°177 pubblicato il 19 Luglio 2013 da Noneraunsogno

 

hhh

Le storie straordinarie di ognuno di noi non hanno bisogno di essere ricordate nei libri, non chiedono di sopravvivere negli scatti, non trovano posto nelle bancarelle che affollano i marciapiedi del presente, stracolmi, per la maggior parte, di polvere, di passato e di ricordi.

Per caso o per disegno di vino, esse riemergono ogni tanto nei piccoli avvenimenti che trasformano uomini e cose in specchi trasparenti dentro cui le nostre storie rivivono con la stessa forza e lo stesso impeto di altri tempi.

Una strada, un viale una volta delle Scienze ed oggi striscia di asfalto sopra cui macchine  e moto di qualunque tipo e cilindrata parcheggiano i loro culi di plastica e di ferro, mi viene incontro, come se avesse riconosciuto nei miei passi i battiti di un cuore che lo aveva amato tanto.

Quanti anni ho trascorso in questo angolo di mondo?
Quattro, cinque o forse venti?

Anni vissuti intensamente dentro un pensionato per studenti che sembrava allora l'ombelico del mondo; giorni che avevano sorrisi impressi su ogni suo attimo, su ogni suo minuto, su ogni suo secondo di vissuto.

Ecco la facoltà di Agraria,  il giardino degli esperimenti, gli alberi leggendari da cui rami pendevano pompelmi dal sapore di fragola e mandarini dentro cui scoprivi il gusto dolce delle pesche gialle.

Ricordi - Pietro -  le razzie notturne in quel giardino?  E le fughe inseguiti dal vigilante che ci sorprendeva sempre alle spalle?

Non le senti le sirene che annunciano la carica, quando con i vassoi in mano ce ne stavamo compatti al centro della strada reclamando una mensa sana per i nostri poveri corpi?

E le leggende di cui parlavi quando ci trovavamo davanti Ingegneria, i posti che elencavi pieni di obiettivi da colpire, i muri su cui scrivere le frasi, non li vedi e non li senti mormorare qualcosa, non ti sembrano gli stessi?

Sembrano dire: " Finalmente!", sembrano farsi largo fra le nuove costruzioni che hanno alterato lo scenario di guerra e la stessa lotta del Sentimento contro la Ragione.

Dimmi - Pietro  - non li riconosci quei giorni che se ne stanno ancora seduti sui gradini della facoltà di Lettere?

Si lo so, non era la tua facoltà, ma c'era tutta una cultura allora che scambiava sedi, anime e studenti come se ritenesse necessario conoscere tutto di tutti, indifferentemente.

Io rido e do le spalle alla città; qui il mondo rimane fuori dai cancelli, qui i ragazzi hanno le stesse facce di sempre, hanno baci e carezze che non sono stati ancora violentati  dall'usura delle esperienze, hanno occhi che sembrano incendi e barbe incolte,  nere, rosse, seducenti.

Hanno sogni che tengono per mano, parole che non sanguinano lamenti.
Avanzano fieri della bellezza dei loro giovani anni.

Più avanti, il deserto del parcheggio ricavato nella "rive gauche" di questo fiume di cemento fa a pugni con il verde delle chiome degli alberi di alto fusto che sovrastano, quasi come un verde cielo, le panchine di marmo sopra cui continuano  a sbocciare amori e strategie antimperialiste.

Solo i falsi Kapok, buffi nelle loro spinose e goffe uniformi, sono rimasti  tali e quali.

Forse, come loro, anche noi non siamo morti?

Vedi - Pietro - noi siamo dentro queste cose, siamo stati sempre qui, sdraiati sul tetto del pensionato aspettando gli extraterrestri.

Tu ed io, e Giovanna, Guglielmo, Lillo, Roberto, il Poeta ed il Pittore, insieme a Maria e ad Anna, che sebbene fosse di Caltanissetta e non di Francia, ci faceva cantare per tutta la notte " non sarò il tuo manico di scopa travestito da amante o da marito".

Adesso sono di nuovo nel giardinetto che si trova davanti la Facoltà di Lettere; da qui osservo i muri che sorreggono l'edificio, leggo le scritte cancellate dalla furia della Pace e del Tempo.

Qui ho conosciuto l'amore, qui ho combattuto, lottato e resistito, qui ho nascosto l'eroe silenzioso che s'aggirava fra le pieghe del mio sommerso, il ragazzo che credeva nel suo sogno.

Di fronte  a me c'è un falso Kapok che sembra volermi abbracciare; ha una incisione nella sua buffa corteccia. Da lontano sembra un cuore, una firma, una freccia.

Faccio alcuni passi in avanti perchè gli anni, purtroppo, hanno segnato la mia vista, così scopro che l'incisione non è altro che una stella a cinque punte, una stella scolpita da chissà quale mano ardita, forse negli stessi anni in cui io coloravo i muri di Lettere con la mia follia e miei turbamenti.

Una voce mi chiama all'improvviso, proviene dalla vicina facoltà di Economia, " è il suo turno".

Oggi è giorno di  lauree. Mio figlio sembro io imbranato nella corazza di lino; muove le mani continuamente, sta cercando un appiglio da qualche parte.

Si precita, dunque,  così alla fine di ogni viaggio?

La voce, intanto, insiste, mi reclama, ho il suo respiro fra le braccia.

Anche lei nota la stella  che brilla sul tronco del panciuto albero da mostra.
"Benvenuta in questa folle dimora" sembra dirle, in qualche modo, l'albero che sfoggia in petto la stella a cinque punte.

Lo sceriffo di legno sta tentando di riportare la giustizia nella terra selvaggia della Scienza  e della Conoscenza.

" Siamo  a casa" le sussurro io, dolcemente, sorseggiando dello spumante da una bottiglia che stappato anzitempo, senza cerimonia ed applausi per l'evento.

Dolcemente, come si trattasse di  condividere un segreto, come se si avesse paura di gridarlo o di frantumare le storie straordinarie che scriverò sui muri dei miei prossimi anni.

 
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