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[ La forza della vita ]

Post n°266 pubblicato il 07 Aprile 2010 da orta0

Il vangelo di resurrezione, dice: “ Nell’eucarestia tu puoi fare esperienza del Risorto. L’eucarestia è il motore dell’esistenza e dell’anima perché è Lui che viene, che appare, che si rende visibile, toccabile (come gli apostoli lo hanno toccato) da te”. Per questo togliere l’eucarestia ad una persona è come dirgli: “Tu non sei degno di Dio; tu non sei più suo figlio”. E’ terribile. Magari ucciderei la persona; magari a me fa schifo; magari ha compiuto una cosa terribile, ma rimane e rimarrà sempre figlio di Dio. Posso io stabilire chi è degno e chi no di Dio? Come posso io (decidendo alcuni sì e alcuni no) dettare legge a Dio (tutti sono figli miei sempre)? Nell’eucarestia Dio scende in noi e diventa Forza per noi. Questa era l’esperienza dei primi discepoli: Gesù non c’era più, ma il suo Spirito e la sua Forza continuavano ad operare e a vivere realmente in loro. In questo racconto si tenta di descrivere l’esperienza eucaristica che i primi discepoli vivevano, di come la sperimentavano realmente e quale significato avesse tale esperienza.

L’eucarestia domenicale, allora, è il luogo dove noi possiamo incontrare il Signore Risorto. Dove possiamo, non dove lo incontriamo in ogni caso. Risorto: vuol dire fare esperienza, incontrarlo. Non ci basta sapere che è vissuto, che c’è stato. Chi meglio degli apostoli sapeva che Lui c’era stato? Ma ciò che conta è sapere che adesso c’è, sentirlo, viverlo, percepirne l’esistenza e la forza in noi. La domenica, il giorno dopo il sabato, è il giorno dove si fa esperienza del Signore Risorto. Mai perdere di vista il centro, assolutizzando il particolare o il periferico. Quando ci troviamo qui, a celebrare il Signore Risorto, tutto è in funzione di Lui. Non è fondamentale che io esegua una liturgia perfetta, ma che le persone uscendo possano aver fatto esperienza di vita, possano averlo incontrato, possano dire: “Sono ricaricato; sto proprio bene; quelle parole mi sono entrate dentro, ecc”.  Una volta l’attenzione era posta sulla compostezza, sul silenzio, sul non sbagliare niente, sul rispondere, ecc. Oggi, invece, ci si è accorti che ciò che conta è la partecipazione. E’ importante che ciascuno si senta a casa (la chiesa pulita, riscaldata: con il freddo non si può ascoltare niente!, piena di luce, festosa magari colorata dai fiori; i microfoni funzionanti bene); che ciascuno sia comodo; che ciascuno sia libero di muoversi un po’ e di esprimere secondo la propria modalità il proprio credere (così c’è allo scambio della pace chi si dà la mano, chi un abbraccio; al Padre Nostro chi si tiene per mano, chi ha le mani aperte, chi le ha chiuse, ecc.). Le condizioni non sono un contorno, un optional: fanno parte del messaggio. Oggi ci si è accorti che il coinvolgimento ti aiuta a partecipare. Se tutti cantano sei invitato anche tu a farlo; se c’è un clima di silenzio riesci più facilmente a farlo anche tu; se c’è coinvolgimento, vibrazione, si sente e ne benefici anche tu. E’ importante all’inizio staccare da ciò che si è fatto prima con un po’ di silenzio; è importante che le parole siano comprensibili da tutti, che siano emotive e calde (così da raggiungere il cuore), comprensibili e semplici (così da raggiungere la mente di tutti), efficaci (così da operare processi di cambiamento) e profonde (così da mettere l’anima in contatto con Dio). La domanda che mi devo fare non è “E’ stata una liturgia perfetta? Ha rispettato tutti i canoni liturgici?”, ma: “Io e le persone che c’erano qui, hanno incontrato il Signore?”. Mai perdere di vista il centro: “Perché siamo qui? Perché la gente viene qui? Cosa si deve trovare qui?”. Se vuoi la carne vai dal macellaio; se vuoi il pane vai dal panettiere; se vuoi essere informato su delle regole vai dall’avvocato o dal poliziotto; se vuoi divertirti vai allo stadio, in discoteca o fai una cena tra amici; se vuoi incontrare Dio vai in chiesa”. La chiesa è il luogo dell’incontro con Dio. Ogni otto giorni la gente viene qui per questo: per incontrarlo. Tutto il resto è in funzione di questo. Ciò che conta non è che le persone in chiesa pensino a Dio ma che lo incontrino, che lo sentano, che Lui viva in loro. Si può morire per “l’idea di Dio”; si può morire per Dio senza averlo neppure mai conosciuto; si può credere senza neppure aver mai incontrato ciò che si crede. I discepoli sono insieme, ma non si aspettano di incontrare il Signore. Il vangelo dice chiaramente due atteggiamenti: chiusura e paura (20,19), “porte chiuse e timore dei Giudei”. Quando le persone vengono in chiesa sono proprio come i discepoli: hanno paura e sono chiuse nei loro schemi. Certi schemi imparati e consolidati, che si applicano in automatico, sono delle vere e proprie chiusure alla Vita.
“Io non conto” = “gli dico sempre di sì”. C’è un uomo che vuole dalla moglie almeno una prestazione sessuale al giorno. Se poi lei è contenta o lo voglia, a lui non interessa. Lui la vuole. Lei è nello schema: “Non posso dirgli di no!”. Così facendo non si ascolta e umilia se stessa. E, tra l’altro, finché avviene, lei pensa ad altro. Venire in chiesa è aprire le porte, imparare che ci sono anche altre possibilità (tra cui quella di dire di “no”).
Amare = sottomettersi. C’è una donna che si è sempre sottomessa: prima al volere dei suoi genitori che, avendo lei un fratello disabile, non avevano mai tempo per lei (e lei non ha mai chiesto nulla); poi a suo marito che la faceva passare sempre come colei che “non è alla sua altezza”; poi dove lavora perché non dice mai di no e non fa valere mai i suoi interessi. E’ chiusa nel suo schema ed è terrorizzata dall’uscirne. Venire all’eucarestia è trovare la forza per non abbassare più il capo.
Lavoro = vivere. C’è un uomo che lavora sempre, di sabato, di domenica, nelle giornate festive, sempre! Quand’era piccolo a casa sua mancavano sempre i soldi; suo padre diceva: “Non ci sono soldi; il giorno che li avrò vi farò felici”. In realtà prende bene, ma dentro di sé non basta mai. Ha il terrore di rimanere senza. Dentro di sé lo schema, la porta chiusa, è: “Più hai soldi, più vivi e più sei felice”. E’ che non è vero. Per lui venire all’eucarestia è ricordarsi che non di solo pane vive l’uomo; anzi il pane sostenta, ma non rende felici né pieni.
Fidarsi = essere traditi. C’è un uomo al quale è morta la madre quando aveva quattro anni. L’amava tanto e lei se ne è andata (è morta, mica l’ha fatto a posta! ma agli occhi del bambino è la madre che l’ha abbandonato). In casa c’era la nonna che lo accudiva, ma anche lei dopo alcuni anni se ne è andata (è morta). Ogni volta che si fidava di qualcuno questi se ne andava. Così adesso non si apre più e non dà il suo cuore a nessuno. Ogni volta che viene a fare la comunione prova intanto a rifilarsi del Signore, a farlo entrare. Sta cercando la forza per tornare ad aver fiducia di qualcuno, per poter credere che qualcuno lo potrà amare senza abbandonarlo. Una donna è rimasta incinta. E’ una donna che riesce bene nel lavoro ed è indecisa se lasciare il lavoro o no. Teme di non avere più spazi per lei, di non realizzarsi più. Venire a messa le dà la forza di non pensare al domani, di fare oggi la sua scelta, consapevole che domani saprà fare quella di domani. Gv dice che Gesù “venne e si fermò in mezzo a loro” (20,19). E’ per questo che a volte noi usciamo da messa ricaricati, rigenerati, riappacificati. Quando Lui viene in noi, lo dice chiaramente il vangelo (20,19.21), ci dà una sensazione di pace, di presenza (e quindi non siamo più soli), di qualcuno che c’è. Pace non nel senso che le difficoltà non ci sono più, che tutto è risolto, ma nella percezione che, al di là dei problemi e dei nodi della nostra vita, si può andare avanti, c’è speranza, va bene così. La pace del Signore è la sensazione e la percezione che Lui c’è, che non siamo soli, che non siamo abbandonati, che Lui ci accompagna, che Lui ci sostiene. A volte andiamo in chiesa e lì, nel silenzio ritroviamo un contatto con noi e con Lui; nelle parole del vangelo troviamo luce e alimento; nel canto troviamo liberazione; nella comunione troviamo accettazione e guarigione. Allora, magari non sappiamo perché, ma usciamo più in pace, più ricaricati, purificati, energetici. Troviamo forza per affrontare le nostre paure e le nostre chiusure. Allora lo sentiamo “vivo” in noi, allora sentiamo che lavora dentro di noi, che ci spinge, che ci fa cambiare. Allora abbiamo la sensazione che, Lui, attraverso di noi, ci conduca. Gesù dice altre due cose ai discepoli oltre al: “Pace a voi!”
“Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (20,21).
Io ho bisogno di sentire che la mia vita serve a qualcosa; allora mi sento a servizio di, mi sento significativo. Tutti noi desideriamo essere servi (cioè al servizio di) perché vuol dire che siamo importanti, che abbiamo un compito, che serviamo. Il dramma più grande è sentire di non servire a nessuno, di essere inutili, che esserci o no sia la stessa cosa. Allora: io vengo a messa per percepire che anch’io sono mandato (mandato in greco si dice apo-stolo da apo-stello e in latino mittere da cui missio, missione). Anch’io sono un apostolo, anch’io ho la mia missione, anch’io ho qualcosa da dire agli altri e a questo mondo. Non solo Gesù era voce del Padre; non solo il prete o la suora sono voce di Dio, ma tutti noi siamo Voce del Padre. Una volta si credeva che i “chiamati” fossero solo i preti e le suore. Ma quella è una forma di vocazione. Dio sarebbe quello che chiama solo alcuni? Dio sarebbe quello che ha delle preferenze? Dio chiama tutti, ovviamente non tutti a fare le stesse cose (altrimenti ci creerebbe tutti uguali!), ma tutti. Per molte persone venire a messa è fondamentale perché sentono di avere un destino, una strada, di avere un compito da vivere. Molte persone sentono tutto il valore ogni qualvolta che vanno a fare la comunione: si sentono (e lo sono!) tabernacoli di Dio. La particola (Dio) scende in loro e loro la custodiscono; sono in adorazione continua. Questo fa percepire loro tutta la loro importanza ed elimina ogni vergogna: Dio risiede qui a casa mia. Io sono il suo ostensorio. L’altra grande frase che il Risorto dice è: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete e a chi non…” (20,22).  Comunque si voglia intendere questa frase, essa dice: “Voi siete potenti!”. Così potenti da poter togliere, da poter mandare via (perdonare, afiemi in greco e rimettere in latino, vuol dire lasciar andare, mandare via) perfino il male e il peccato. Ogni volta che io vado a messa lo Spirito (epiclesi) scende sul pane e sul vino, ma scende anche su tutti noi. Allora io vado a messa per trovare la mia forza, la mia energia. Molte volte mi dico: “Non sono capace; non ce la faccio; se fossi più giovane; ormai…!; è troppo tardi; è difficile” e mi rassegno a sopravvivere, a vegetare. Ma non è questa la realtà. La realtà è che se Dio è capace di trasformare un po’ di pane e un po’ di vino nel suo Corpo e nel suo Sangue, cosa non può fare con noi? Ma quanta forza abbiamo dentro di noi? Il Cardinale Romero, Madre Teresa, Teresa del Gesù Bambino e tutti i grandi santi della storia trovavano nell’eucarestia una forza spaventosa. Quella potenza (lo Spirito) era in grado di trasformare non solo il pane, ma di renderli “forti, potenti”; era in grado perfino di perdonare i nemici. Quando mi faccio schifo e mi vergogno di me, dove vado? Quando neppure io mi accetto o quando tutti quelli attorno mi rifiutano (magari giustamente), dove vado? Allora vengo in chiesa e faccio la comunione: per fortuna, qui c’è qualcuno che mi accetta. Quando mi sento fallito e non credo più in me, dove vado? Qui c’è chi crede in me. Quando non accetto di aver fatto certe cose, dove vado? Vengo in chiesa e qui trovo un amore più grande che mi ama anche se io non mi amo, che mi accoglie anche se io mi rifiuto. Quando mi viene voglia di “gettare la spugna”, di abbandonare l’impresa, di fare come tutti, di cedere ai compromessi, vengo in chiesa a trovare l’energia che non ho. Mi manca ma so che qui c’è: allora mi fermo al distributore e faccio il pieno! L’altra grande esperienza che Gesù fa fare ai discepoli è quella di vedere e di toccare le ferite. Le devono vedere sia Tommaso che gli apostoli.  Le ferite ci fanno vulnerabili (vulnus, infatti vuol dire ferita). Nessuno di noi vuole scoprirsi, nessuno di noi accetta di essere stato e di essere ferito, finché non scopriamo un amore più grande. Io vengo in chiesa con il mio cuore ferito: chi di noi non ha ferite nell’amore? Chi di noi non ha ferito in amore? Io vengo in chiesa con le mie mani ferite: le mie mani sono state legate e paralizzate; le mie mani hanno colpito, umiliato e ferito. Allora io vengo qui e vado a prendere Gesù (la comunione) con le mie mani ferite perché venga e le guarisca. E poi lo mangio perché vada fino al mio cuore, lo guarisca e lo risani. Per tante persone la comunione è proprio questo incontro che dà la forza di guardare a ciò che fa male, a ciò che non va, a ciò che non ci piace e che metteremo in un angolo, che non vorremmo vedere. L’eucarestia, come per Tommaso, ti dice: “Dai un nome a ciò che ti fa male; mettici mano; tira fuori; tocca, esprimi e incontra il tuo dolore; prenditi cura della tua sofferenza; apriti in ciò che ti fa male”. L’eucarestia mi dà la forza per toccare le mie ferite, per metterci mano, per guardarle. In questo senso l’eucarestia è terapeutica, risanatrice, curativa, lenitiva, trasformativa. La messa è poter dire come i discepoli: “Ho visto il Signore!”. E’ ovvio che uno che ha fatto questa esperienza può dirti come Tommaso: “Ma sei tutto matto tu! Cosa ci vai a fare? Cosa trovi lì? Se dormi ti riposi di più!”. La messa è poter dire come Tommaso: “Mio Signore, mio Dio!”. Era proprio vero quello che mi dicevano. Solo che non potevo capire perché io non c’ero, perché io non volevo farmi coinvolgere, perché non volevo aprire il mio cuore, perché avevo troppa paura. Ma adesso che l’ho sperimentato capisco tutto. Il finale è meraviglioso: il vangelo è tutto qui, l’eucarestia esiste per questo motivo: perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, che vuol dire: abbiate la Vita, la vita vera, nel suo nome. Se qui non trovo Vita, qui Dio non c’è. Dio è il Dio dei vivi. Il dio dei morti si chiama Satana. Ma dove la Vita scorre, vive, traspare, si esprime, esplode, fiorisce, lì Lui c’è. 
Un pensiero per voi:

 “Hanno sepolto il mio corpo e pensato che fossi finito
ma io sono la Danza e continuo a danzare gettato a terra,
io sono balzato in alto, io sono la vita che non morirà mai
vivrò in voi se voi vivete in me, io sono il Signore della Danza!”. 

                                                   Sidney Carter

M.P.

 


 

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La sera quando i pensieri, i ricordi
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Accendi una candela
Sarà la luce del tuo Angelo.
Nella penombra,Egli saprà farsi sentire
Saprà farsi ascoltare.
In quei momenti non avrai freddo
Ma sentirai la pelle d’oca,
sentirai nel tremolio della fiamma
il volteggiare delle Sue ali,
sentirai nel calore della fiamma
il Suo alito baciare il tuo viso.
Egli sorriderà hai tuoi sogni
E veglierà il tuo sonno.!
( michael)

 

 

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sfiorano fili d'erba.
Orme in scia
alla ricerca del tempo
trascinano un ricamo
su quel prato decorato di fiori.
Petali riflessi nella notte
oscurano le stelle,
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la luminosità dell'anima.

 

 

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