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Quella volta che Otis e gli Stones

Post n°2 pubblicato il 05 Agosto 2007 da ftrema
 

Uno dei primi aneddoti che mi è venuto in mente di raccontare, riguarda ancora gli Stones (non me ne vogliano gli amici beatlesiani, ma arriverà anche il loro momento!).

Tengo a precisare che il mio per gli Stones è un amore infantile; si, proprio così, nel senso che quando ero ancora in culla e per i primi tre, quattro anni della mia vita, il mio papà Enzo, grande appassionato di band britanniche che nei '60 suonavano rhythm ’n’ blues (Animals e Stones sopra tutte) la sera mi faceva cantare la ninna nanna da Mr. Jagger & Co., sicché parlavo appena e già canticchiavo “Cos A Cciuà” (tradotto: Cause I Try’, da [I Can’t Get No] Satisfaction, il mio brano preferito in assoluto in quegli anni).

Nel quinquennio fra il 1996 e il 2001, il mio girovagare nel mondo della musica mi aveva condotto proprio al rhythm ’n’ blues e alla musica soul. Tutto era cominciato un pigro pomeriggio di fine maggio del 1997, quando la visione del film The Commitments (ve lo consiglio: è una pellicola davvero gradevole, ricca di bella musica) mi aveva permesso di ascoltare brani tipo Mustang Sally e Chains Of Fool; non avevo resistito alla tentazione si riascoltarli, dando così il via ad un percorso di approfondimento di un genere caldo, coinvolgente, così tipicamente americano. Durante tutto il ‘97 e la prima metà del ‘98, vivendo a Firenze, avevo letteralmente razziato e divorato dischi di Otis Redding, Wilson Pickett, Joe Tex, Solomon Burke, Aretha Franklin e tanti altri minori, ampliando a dismisura la mia conoscenza musicale nel settore, ma non soltanto: da sempre, quando vengo in contatto con un musicista o un genere musicale, ad una prima fase di conoscenza dell'opera, faccio seguire un approfondimento sulla vita degli artisti. Trovai, quindi, nel libro Soul Music, dello scrittore Peter Guralnick (Editrice Arcana), una specie di Bibbia della black music e da esso appresi parecchie cose che oggi rendono ancor più ricco il mio bagaglio culturale musicale.

Fra i musicisti di quel genere, uno di quelli che più mi affascinava (anche per la sua parabola terrena, della quale scriverò in seguito) era ed è Otis Redding, anche perché, fra i pezzi da lui registrati c’erano due cover delle mie band preferite: la beatlesiana Day Tripper e, appunto (I Can’t Get No) Satisfaction. Ed è proprio quest’ultima che, qualche anno dopo, ho appreso esser stata al centro di una sorta d’intrigo internazionale.

Come spesso accadeva in quegli anni, l’album degli Stones Out Of Our Heads venne pubblicato negli Stati Uniti prima che nel Regno Unito, esattamente il 30 luglio 1965; la versione americana, a differenza di quella inglese, conteneva (I Can’t Get No) Satisfaction, che occupava la traccia 7.

Il 15 settembre seguente, per l’etichetta Volt, usciva l’album Otis Blue/Otis Redding Sings Soul, la quale, manco a farlo a posta, proprio alla traccia 7 conteneva una cover di Satisfaction.

Out Of Our Heads, infine, fu pubblicato anche nel Regno Unito, esattamente il 24 settembre dello stesso anno.

Alla morte di Big O, avvenuta esattamente il 10 dicembre 1967 per un incidente aereo nei cieli del Wisconsin, incominciò a circolare una strana voce, che ai primi di febbraio dell’anno seguente, il Toronto Telegram riprese e pubblicò: non erano stati Mick Jagger e Keith Richard a comporre Satisfaction bensì Otis Redding. Secondo l’articolo, gli Stones l’avrebbero sentita durante una visita a Memphis, mentre Otis la incideva e Jagger l’avrebbe convinto a vendergliela per 10.000 dollari!

La notizia era di quelle da scoop: uno dei pezzi fondamentali della musica rock aveva un padre occulto.

Per fortuna Bill Wyman, storico bassista degli Stones, nel suo libro Rolling with the Stones (edito in Italia dalla Mondatori) ci rassicura, facendoci sapere che la visita a Memphis ci fu effettivamente, ma il 17 novembre 1965, sei mesi dopo CHE LE Pietre Rotolanti avevano inciso il pezzo. D’altronde un altro grande, Steve “The Colonel” Cropper, chitarrista dei Booker T & The MG’s, musicista di studio della famosa STAX di Memphis (la casa discografica di Otis, appunto) nonché coautore, proprio con Big O (ma non solo) di pezzi di successo come (Sittin’ On) The Dock Of The Bay conferma l’infondatezza della notizia, negando, durante un’intervista per la famosa rivista musicale Rolling Stones, che fosse stato Otis a scrivere Satisfaction e affermando, di contro, che proprio con lui avevano preso il disco degli Stones e poi registrato una versione “di quello che credevamo di aver sentito.”.

Se si considera che gli Stones avevano nel loro repertorio brani di Big O quali Pain In My Heart e che non avevano mai fatto mistero di ispirarsi ai grandi del rhythm 'n' blues e del soul, si può affermare che con Satisfaction gli allievi avevano superato il maestro!

A presto. F.T.

 
 
 
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Un blog di: ftrema
Data di creazione: 03/08/2007
 

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