PEPPERLAND & Co.

Racconti suoni e visioni che hanno reso mitici gli anni 60

 

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CHI ERA SGT. PEPPER?

Post n°4 pubblicato il 12 Agosto 2007 da ftrema
 
Tag: Beatles

Questa domanda me l'ha fatta più di una volta il mio caro vecchio amico Ampere 73. Così qualche sera fa’, dopo aver fatto un lavoro di ricerca approfondita durato un intero pomeriggio, acceso il mio Toscanello, decisi di dare una risposta al quesito, che non fosse soltanto mera cronaca, ma espressione di quello che l'idea di Sgt. Pepper rappresentò nell'estate del 1967.

Fu il primo giorno del mese di giugno di quel anno, al principio della Summer of Love, che uscì l'album unanimemente riconosciuto come quello più importante della storia del rock. Nei quattro mesi che l'avevano preceduto, i Beatles avevano trascorso più di settecento ore in studio per produrlo, lavorando per giorni interi ad un vero e proprio capolavoro, con la sapiente e preziosissima collaborazione di quel genio che è Sir George Martin.

Molti sostengono esser stato il primo concept album della storia del rock, ma a dire degli stessi Beatles (Lennon soprattutto) al di là del brano d'apertura (l'eponima Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, con la connessa With A Little Help From My Friends) e della "sigla di chiusura", Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band Reprise, che davano l'idea dell'inizio e della fine di uno spettacolo di varietà, il resto dei brani non erano stati concepiti come facenti parte di un progetto unitario di tal sorta.

Ma questa è la storia dell'album, di cui certamente parlerò in una serie di post futuri, perché troppo bella e sconfinata è la materia per poter essere condensata in uno solo. Qui, invece, si cerca una risposta ad una domanda ben precisa: CHI ERA SGT. PEPPER?

A detta di molti studiosi della materia (ed è facile concordare, per chi come me ha conoscenza piuttosto profonda dello stile autoriale dei singoli Beatles) l'influenza maggiore sull'ideazione dell'album l'ebbe Paul McCartney. Nel suo The Beatles. L’opera completa (Edizioni A. Mondadori), Ian McDonald racconta che durante l'ultima tournee fatta dalla band negli Stati Uniti, conclusasi a San Francisco il 29 agosto 1966 col concerto al Candelstick Park, Paul era rimasto colpito dai nomi fantasiosi delle band hippy americane della West Coast, coi loro poster a metà strada fra psichedelia e vaudeville.

I Beatles gli sembrarono improvvisamente fuori moda, con le loro uniformi tutte uguali, così british old fashion da farli sembrare uomini d’affari della City londinese piuttosto che le più grandi rock star del mondo. La tournee appena conclusa, d’altronde, non era stata delle più esaltanti, costellata d’incidenti ed imprevisti, con spettacoli davanti a platee sempre più vuote e con gli stessi Fab Four distratti e svogliati ad ogni nuova esibizione, tanto da far dire al mite ma distrutto George Harrison, durante di viaggio ritorno in patria: “Non sono più un Beatle!”. Sicché Paul ebbe un’idea davvero geniale: Perché non creare un alter ego musicale dei Beatles al quale far dire e fare tutto quello che volevano loro, senza dover accollarsi in prima persona i rischi e le insidie che il loro immane successo ormai comportava?

Nell’apologetico Sgt. Pepper. La vera storia (Edizioni Giunti), Riccardo Bertoncelli e Franco Zanetti fanno risalire l’origine del nome ad un’idea di Mal Evans, road manager dei Beatles (che avrebbe un po’ giocato con le parole salt and pepper), non escludendo, però, che l’idea a McCartney possa essere venuta anche dal nome di una bibita molto in voga in quegli anni negli States, chiamata Dr. Pepper; Paul, infine, avrebbe aggiunto Lonely Hearts Club Band, secondo il costume delle band della costa ovest degli Stati Uniti (una su tutte, Big Brother & The Holding Company, che potevano contare sulla voce dolente e passionale della compianta Janis Joplin).

Al di là delle ipotesi, la conferma a tutto ciò arriva dalla viva voce di Sir Paul McCartney, il quale in The Beatles Anthology conferma d’aver pensato Sgt. Pepper come alter ego dei Beatles e d’averlo poi proposto agli altri tre come via di fuga dalla beatlemania e dalle oramai stressanti quanto inutili tournee. L’ambientazione edoardiana, poi, gli sarebbe venuta dal suo innato amore per le brass band tipiche di quell’epoca della storia inglese a cavallo fra ‘800 e ‘900, mentre i colori sgargianti delle uniformi della Banda del Club dei Cuori Solitari del Sergente Pepe erano in tono coi gusti degli hippy; venne così a crearsi un ponte ideale fra Inghilterra edoardiana e Stati Uniti psichedelici, un viaggio fantastico, perfettamente in sintonia col clima che si respirava dalla seconda metà del 1966, arrivato all'acme nell’Estate dell’Amore.

Questa la storia più o meno vera di chi era Sgt. Pepper.

Certo è che rappresentò il culmine delle speranze e delle illusioni della generazione dei Sixties, prima che la violenza del ’68 spazzasse via, coi suoi cupi fragori di rivolta, l’aria frizzante che le aveva alimentate fino ad allora e che aveva fatto di quegli anni il decennio felice del ventesimo secolo.

A presto. F.T.

 
 
 

NON TEMETE...

Post n°3 pubblicato il 07 Agosto 2007 da ftrema
 

...Credevate, forse, che avessi perso la memoria dell'impegno assunto con tutti voi, amici che visitate la mia pagina?

Pepperland non è andata in ferie; è solo che gli impegni di lavoro non mi hanno ancora dato il tempo di pensare al prossimo post.

Comunque, se avete suggerimenti, se ci sono argomenti sulla tematica degli anni '60 che v'interessano particolarmente, potete postarmeli ed io provvederò subito a soddisfare la vostra fame di conoscenza sulla materia.

Un saluto a tutti voi dal sempre vostro

F. T.

 
 
 

Quella volta che Otis e gli Stones

Post n°2 pubblicato il 05 Agosto 2007 da ftrema
 

Uno dei primi aneddoti che mi è venuto in mente di raccontare, riguarda ancora gli Stones (non me ne vogliano gli amici beatlesiani, ma arriverà anche il loro momento!).

Tengo a precisare che il mio per gli Stones è un amore infantile; si, proprio così, nel senso che quando ero ancora in culla e per i primi tre, quattro anni della mia vita, il mio papà Enzo, grande appassionato di band britanniche che nei '60 suonavano rhythm ’n’ blues (Animals e Stones sopra tutte) la sera mi faceva cantare la ninna nanna da Mr. Jagger & Co., sicché parlavo appena e già canticchiavo “Cos A Cciuà” (tradotto: Cause I Try’, da [I Can’t Get No] Satisfaction, il mio brano preferito in assoluto in quegli anni).

Nel quinquennio fra il 1996 e il 2001, il mio girovagare nel mondo della musica mi aveva condotto proprio al rhythm ’n’ blues e alla musica soul. Tutto era cominciato un pigro pomeriggio di fine maggio del 1997, quando la visione del film The Commitments (ve lo consiglio: è una pellicola davvero gradevole, ricca di bella musica) mi aveva permesso di ascoltare brani tipo Mustang Sally e Chains Of Fool; non avevo resistito alla tentazione si riascoltarli, dando così il via ad un percorso di approfondimento di un genere caldo, coinvolgente, così tipicamente americano. Durante tutto il ‘97 e la prima metà del ‘98, vivendo a Firenze, avevo letteralmente razziato e divorato dischi di Otis Redding, Wilson Pickett, Joe Tex, Solomon Burke, Aretha Franklin e tanti altri minori, ampliando a dismisura la mia conoscenza musicale nel settore, ma non soltanto: da sempre, quando vengo in contatto con un musicista o un genere musicale, ad una prima fase di conoscenza dell'opera, faccio seguire un approfondimento sulla vita degli artisti. Trovai, quindi, nel libro Soul Music, dello scrittore Peter Guralnick (Editrice Arcana), una specie di Bibbia della black music e da esso appresi parecchie cose che oggi rendono ancor più ricco il mio bagaglio culturale musicale.

Fra i musicisti di quel genere, uno di quelli che più mi affascinava (anche per la sua parabola terrena, della quale scriverò in seguito) era ed è Otis Redding, anche perché, fra i pezzi da lui registrati c’erano due cover delle mie band preferite: la beatlesiana Day Tripper e, appunto (I Can’t Get No) Satisfaction. Ed è proprio quest’ultima che, qualche anno dopo, ho appreso esser stata al centro di una sorta d’intrigo internazionale.

Come spesso accadeva in quegli anni, l’album degli Stones Out Of Our Heads venne pubblicato negli Stati Uniti prima che nel Regno Unito, esattamente il 30 luglio 1965; la versione americana, a differenza di quella inglese, conteneva (I Can’t Get No) Satisfaction, che occupava la traccia 7.

Il 15 settembre seguente, per l’etichetta Volt, usciva l’album Otis Blue/Otis Redding Sings Soul, la quale, manco a farlo a posta, proprio alla traccia 7 conteneva una cover di Satisfaction.

Out Of Our Heads, infine, fu pubblicato anche nel Regno Unito, esattamente il 24 settembre dello stesso anno.

Alla morte di Big O, avvenuta esattamente il 10 dicembre 1967 per un incidente aereo nei cieli del Wisconsin, incominciò a circolare una strana voce, che ai primi di febbraio dell’anno seguente, il Toronto Telegram riprese e pubblicò: non erano stati Mick Jagger e Keith Richard a comporre Satisfaction bensì Otis Redding. Secondo l’articolo, gli Stones l’avrebbero sentita durante una visita a Memphis, mentre Otis la incideva e Jagger l’avrebbe convinto a vendergliela per 10.000 dollari!

La notizia era di quelle da scoop: uno dei pezzi fondamentali della musica rock aveva un padre occulto.

Per fortuna Bill Wyman, storico bassista degli Stones, nel suo libro Rolling with the Stones (edito in Italia dalla Mondatori) ci rassicura, facendoci sapere che la visita a Memphis ci fu effettivamente, ma il 17 novembre 1965, sei mesi dopo CHE LE Pietre Rotolanti avevano inciso il pezzo. D’altronde un altro grande, Steve “The Colonel” Cropper, chitarrista dei Booker T & The MG’s, musicista di studio della famosa STAX di Memphis (la casa discografica di Otis, appunto) nonché coautore, proprio con Big O (ma non solo) di pezzi di successo come (Sittin’ On) The Dock Of The Bay conferma l’infondatezza della notizia, negando, durante un’intervista per la famosa rivista musicale Rolling Stones, che fosse stato Otis a scrivere Satisfaction e affermando, di contro, che proprio con lui avevano preso il disco degli Stones e poi registrato una versione “di quello che credevamo di aver sentito.”.

Se si considera che gli Stones avevano nel loro repertorio brani di Big O quali Pain In My Heart e che non avevano mai fatto mistero di ispirarsi ai grandi del rhythm 'n' blues e del soul, si può affermare che con Satisfaction gli allievi avevano superato il maestro!

A presto. F.T.

 
 
 

Please allow me to introduce myself . . .

Post n°1 pubblicato il 04 Agosto 2007 da ftrema
 

... Così incominciava una delle più controverse e discusse canzoni dei Rolling Stones.
"Certo" direbbe chi mi conosce "è davvero strano che un beatlesiano di ferro come te usi una frase dei rivali per presentare il proprio blog", ma, a parte che la rivalità fra Beatles e Stones era solo nella testa dei giornalisti dell'epoca (in realtà erano tutti molto amici) qui il fine è uno solo: far sapere a tutti quelli che visiteranno la mia pagina cosa mi ha spinto.

Qualche giorno fa', vedendo un'immagine dei Beatles sul desktop del mio computer in ufficio, una mia collega molto più giovane di me mi chiese: "CHI SONO?" Lì per lì non sapevo se sentirmi vecchio o offeso. Poi, però, ripensai che non era la prima volta che esponenti delle nuove generazioni (quelli, per intendersi, di età compresa fra i 15 e i 25 anni) mostravano tale "ignoranza". Mi son detto, allora, che era giunto il momento di rompere gli indugi e far conoscere quello che son stati gli anni 60, l'epoca in cui si realizzò la svolta musicale che, incominciata lentamente e timidamente nella seconda metà del decennio precedente negli States, proruppe sulle scene mondiali partendo dalla vecchia Inghilterra, per diffondersi rapidamente in tutto il mondo, con una potente onda di ritorno proprio negli Stati Uniti.

E siccome gli effetti di quella rivoluzione culturale, attraversando quattro decenni, giungono fino ai giorni nostri e le nuove generazioni sembrano quasi non esserne consapevoli, eccomi qui a dir loro che la musica che ascoltano oggi deve tutto o quasi a quella che ascoltavano i loro genitori (o forse i loro nonni).

Vuol esser il mio un tributo alla musica con la quale sono cresciuto (benché fosse quella della gioventù dei miei genitori) e che mi ha dato l'amore per il suonare e comporre; quella che mi ha fatto vivere tante belle esperienze e conoscere molta bella gente, fra cui il mio caro vecchio amico Ampere, del quale Vi consiglio di visitare l'interessantissimo blog La Mucca Mediana: With A Little Help From My (Old) Friend cercherò di volta in volta di portare coloro che lo vorranno alla scoperta di tutto un meraviglioso mondo di musica, moda, cultura e stile che hanno cambiato il mondo in cui viviamo.

A presto e ciao.

 
 
 
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Un blog di: ftrema
Data di creazione: 03/08/2007
 

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