POVERA CAULONIA

RICCHI INTRALLAZZISTI & MISERABILI MESTIERANTI

 

 

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E' VERO "U MASTRU I BALLU" E' SEMPRE LUI, IL BARO, DA 40 ANNI MISTIFICA TUTTO E TUTTI E SI FA SOLO I CAZZI SUOI.

Post n°385 pubblicato il 26 Agosto 2012 da policaretto
 
Foto di policaretto

IL BARO.. HA VOLUTO SPIEGARCI, DA ANTROPOLOGO QUALE NON E', LA TARANTELLA E, COME FA DA 40 ANNI ALTRO NON SA FARE, INFARCISCE DI GNURI E POPOLO AFFAMATO QUATTRO CONCETTI CHE SCOPIAZZA QUA E LA, I GNURI NON C'ERANO PIU' GIA' DA QUANDO E' NATO IL BARO.. E MEN CHE MENO NEL CORSO DELLA SUA LUNGA VITA (SONO 40 ANNI CHE ROMPE I COGLIONI CON CAZZATE DEL GENERE CHE, APPUNTO, ATTECCHISCONO I COGLIONI DI QUESTO PAESE DI MERDA) CI SPIEGA CHE CON LA TARANTELLA IL POPOLO AFFAMATO SI E' SLEGATO DALLA "GNURERIA". DA TANTISSIMI ANNI, I GNURICEDI  SONO MORTI DI FAME, RICORDATE ORESTE LIONELLO (Baron Rizieri Zappalà) IN SEDOTTA E ABBANDONATA!!!  NON C'E' BISOGNO DI FARE NOMI DI GNURI CAULONIESI, (BASTEREBBE INCOMINCIARE DAI DUE FRATELLI CHE INTRALLAZZANO AL COMUNE) DI TUTTI QUELLI CHE SI FINGEVANO BENESTANTI LATIFONDISTI NON C'E' RIMASTO NESSUNO E CHI ANCORA OGGI SI ATTEGGIA A GNURICEDU PER SBARCARE IL LUNARIO DEVE FARE UN CULO COME UNA BOCCA DI FORNO. IL BARO.. E I SUOI SODALI LI TENGONO LEGATI A DOPPIO FILO, CON LA PROMESSA DI RENDERE I LORO ARIDI TERRENI IN LOTTI EDIFICATORI, COME HANNO FATTO CON I LORO CHE HANNO PAGATO A 10 LIRE AL MQ.  PERCIO' CHI ANCORA CREDE ALLE CIARLATANERIE DI QUESTA PERSONA E' VITTIMA DI QUALCHE MALATTIA RARA O UN GRAN COGLIONE.

I Calabresi, tenacemente ed amorosamente attaccati alle proprie abitudini, hanno conservato molte testimonianze della loro vita di un tempo. Le hanno conservate negli usi e nei costumi, nel linguaggio e nei canti, nelle danze, nella musica e nelle feste, nelle processioni, nelle cerimonie che accompagnano la nascita, le nozze, la morte ed altri importanti avvenimenti, nelle poesie e nelle leggende. Tutto ciò  costituisce le "tradizioni" o il folclore. Tradizione deriva dal latino tradere che vuol dire consegnare, tramandare. Col termine folklore, dall'inglese folk (popolo) e lore (insieme di tradizioni) vengono definiti la cultura e quel complesso di usi e costumi, riti e credenze che erano alla base delle comunità del passato. La dura fatica dei nostri avi, le loro ansie ed aspirazioni, il sentimento religioso, le regole di comportamento valide per ogni circostanza trovano, specialmente nei proverbi, la loro codificazione.

La Tarantella
La Danza popolaresca, a carattere regionale, è la tarantella, la quale tuttavia cambia, nell'impostazione e nelle figure, da zona a zona e persino da paese a paese. Ballata sugli spazi dei villaggi, nelle feste padronali o sulle vie in occasione della vendemmia o dei raccolti ma anche al chiuso, in casa o nei saloni per feste private, ricorrenze o meno, da cui "ballu nto sularu". La musica è offerta dagli strumenti tradizionali: la zampogna e i tamburelli. Il più delle volte danzano soltanto gli uomini e la tarantella assume l'andamento di un duello, in cui si fanno le finte dell'attacco e della difesa. Il cerchio d'attorno detto "rota" prende parte ad esso sottolineando con grida e battiti di mani il ritmo della musica e i passi dei ballerini. In alcuni paesi la tarantella è danzata a due alla volta, a coppie alterne, a volte regolate da un "mastru di ballu" a volte con cambi spontanei.

La Viddhaneddha
L'espressione tipica del ballo calabrese è la cosiddetta viddhaneddha. Le occasioni di ballo erano svariate: dalla festività religiosa a quelle familiari (nascita, fidanzamento, matrimonio) a quelle agresti in coincidenza con determinate evenienze (vendemmie, trebbiature, tosature delle pecore, etc.). Per quanto riguarda gli strumenti il filo melodico e affidato all'organetto, che sostituisce ormai quasi sempre la zampogna. La scansione ritmica e assicurata dal tamburello, originato dal tympanon dalla chitarra (non frequente), dallo "'zzarinu" (acciarino = triangolo di ferro percorso da una bacchetta metallica) dalla "scartagnetta" o "castagnetta" (vale a dire dallo scrocchio delle dita), ad imitazione degli ellenici crotali, oppure dal battito delle mani del ballerino. In talune tarantelle dell'alta e media Calabria si usa ancora una grancassa percossa con un grosso mazzuolo ricurvo. Molto più significativo e invece il simbolismo dei passi di danza, sia che avvenga con coppia omogenea che con coppia mista. Prima delle danze si proponeva la delimitazione dello spazio circolare entro cui il ballo doveva aver luogo.  Era quasi una rievocazione simbolico spaziale del territorio di appartenenza tribale: il villaggio, il paese, il rione. Finalità recondita ne era la simbolica conquista, il predominio. A dirigere le danze veniva tacitamente e preventivamente prescelto il capo carismatico: l'uomo di maggior rispetto e di conclamata abilità, il capofamiglia, il padrone di casa. Era questi il "mastru d'abballu" (il maestro di ballo) che alle prime note dei suonatori si disponeva al centro del cerchio, quasi ad avocare su di sé il potere derivante dal suo carisma, e dopo i primi accenni di danza si dirigeva verso gli spettatori fra i quali sceglieva il compagno o la compagna. Lo faceva con un gesto lento, gentile e spavaldo allo stesso tempo, con un lieve inchino e dopo aver salutato toccandosi la fronte con le dita ripiegate della mano destra. Dopo qualche giro si riavvicinava agli astanti e con le stesse modalità invitava a sostituirlo un altro ballerino, occupandone il posto fra il pubblico. Dopo un certo lasso di tempo si reinseriva nella danza sostituendo il primo entrato con la formula: "fora 'u primu" (fuori il primo). Continuava così alternandosi costantemente fino alla fine delle danze. In alcuni comuni non era neanche immaginabile ribellarsi alla direttive espresse del mastru d'abballi: se ne accettavano umilmente le decisioni.

La Valia degli Albanesi
In alcuni paesi di origine albanese il martedi dopo Pasqua, per la celebrazione della tradizionale festa nazionale, si svolge una pittoresca manifestazione la cui parte centrale è costituita da una danza detta "valia". La "valia" è una specie di quadriglia che viene ballata all'aperto da schiere di donne vestite coi loro sfrzosi costumi d'origine e guidate per le strade da un solo cavaliere. Al ritmo della "valia" si accompagnano armoniosi cori, che celebrano le gesta di guerra dei famosi eroi d'Albania nella secolare lotta contro i Turchi invasori. Le persone che non partecipano direttamente alla "vala", ma fanno corona d'attorno, spesso sono travolte nel quadrato della danza e allora spetta loro il dovere di offrire dolciumi e bevande.

Lu Cacciattacci
Canto lento e noioso, lunghissimo e implacabile, che mette a dura prova la resistenza dei ballerini e de loro... scarponi, sino a far saltare i chiodi (attacci) dalle suole. Al ritmo del "cacciattacci" ballano soltanto gli uomini e, quando non ne possono più, essi rientrano nella folla che fa cerchio alla pista, sostituiti da altri più freschi e riposati.


LA VERA STORIA DELLA TARANTELLA. 

La tarantella nelle nostre contrade rappresenta la storia completa di una passione d’amore di tipo meridionale che va dal cortegiamente maschile al consenso femminile. Esprime allegoricamente quel comportamento soprattutto giovanile, che, nella realtà, andava, una volta, dal corteggiamento dei giovani sull’aia verso le ragazze di fatica, fino alla nascita di un amore, che si concludeva, molto spesso, con la classica fujitina. Nella tarantella viene espressa in modo velato ma fascinoso la passione di un amore dapprima silenzioso, ma, man mano che si danza, la potenza dell’anima si eleva spiritualmente alimentata dalla frenesia del ritmo e dall’atmosfera trasgressiva della festa, per cui si passa dalla timidezza  all’audacia ed il gioco d’amore, anche se figurato, diventa inebriante e coinvolgente dalla mimica del corteggiamenti a quello erotico dell’atto d’amore. E’ per questo che la tarantella, sull’aia, al chiaro di luna, il sabato sera, durava l’intera notte! Per molto tempo e fino ad epoca recente la tarantella in Calabria si è affermata come la più diffusa danza popolare; ma, diciamo subito, non esiste una tarantella Calabrese, ma più tarantelle, perché dai confini con la Basilicata e fino a Reggio Calabria la danza presenta diversificazioni nel ritmo, negli strumenti, nella scenografia. La tarantella calabrese è danzata a coppie, omogenee o miste, si avvale di nastri e fazzoletti che rappresentano i mezzi di coinvolgimento dei partecipanti e sono oggetti preziosi per la loro utilità nella mimica. Si riporta quanto ha saputo ricostruire la prof.ssa Clausi, abile ricercatrice, nella realtà territorialale del Marchesato e che, a parte la faccia artistica della tarantella ne precisa l’alto valore sociale: Un gioco amoroso  "La danza, mista, si basa su un gioco di sguardi, sottintesi, ammiccamenti che esprimono il consenso in modo velato. L'uomo e la donna, l'uno di fronte all'altra, si sfidano ballando lungo i bordi del cerchio; la donna mette le braccia lungo i fianchi assumendo un atteggiamento provocatorio nei confronti dell' uomo che battendo il ritmo con le mani, le gira intorno – qui si esprime la mimica del corteggiamento. Lei cerca di sfuggire facendo il - tagliapasso - o compiendo un giro su se stessa¸ ma ella stessa prosegue il gioco della seduzione muovendo il fuolard - ‘u maccaturu - , che porta dietro il collo, o agitandolo davanti al viso dell' uomo. Questi risponde con gesti che richiamano antichi rituali della dichiarazione d'amore: ‘a nzinghäta- (il segno) è il gesto con cui l'uomo tocca il viso della donna, la -scapigghjata- consiste nello spettinarla. La scapigliata, secondo ricerche fatte da Lombardi Satriani (pubblicate dalla Liguori Proto), in Cirò, indicava una particolare dichiarazione d’amore: l’onta (simbolica) del gesto compromissore a cui doveva seguire il matrimonio riparatore.
Il significato erotico della danza, cioè il consenso femminile che rappresenta il clu della espressione artistica della tarantella, si esprime con il passo in cui la coppia danza spalla con spalla (quindi attraverso il contatto diretto dei due). Dopo di ché si riallontanano,ed allora la danza prosegue più frenetica e ricomincia il gioco del corteggiamento (e nella psiche dei danzatori l’obiettivo di un nuovo contatto che stimola nuove energie).
A differenza della tarantella campana e sicula quella calabrese è accompagnata da brevi strofe rivolte dagli spettatori alla coppia per incoraggiarla . . . "Bene chi balla – Ballanu a palumma e ru palummu – chissu é lu juocu de lu megghju amure”, ed altri versi (per lo più endecasillabi), buttati lì per lì o presi da un inventario inesauribile.


Gli strumenti musicali         
Nella Calabria meridionale e nel Pollino la tarantella è danza ritmica ed aggraziata, in quella centrale, cioè nella nostra, è più selvaggia; ciò perché in questa zona manca l’accompagnamento del tamburello, strumento ivi a lungo sconosciuto; senza il suo ritmo bisogna sopperire a segnare il tempo con il frenetico battito dei piedi o delle mani. Assistendo ad una originaria tarantella, si nota questo battito a terra, assordante se la danza avviene sul tavolato. Gli strumenti musicali sono la zampogna, strumento orientale, tradizionalmente pastorale, introdotto quasi certamente dall’oriente bizantino (il termine deriva dal greco Synphonia), spesso la chitarra “battente”, lo zufolo e l’organetto, fatto a forma di minuscola fisarmonica con il quale si raggiungono virtuosismi e perfezione. Solo più recentemente anche da noi è stato introdotto l’uso del tamburello.
 
 
 
 

 
 
 
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