PRESENZA

TRE MESI TRA IL DRAMMA E LA SPERANZA

Ho riletto più volte in questi giorni il pezzo scritto da Giustino Parisse sul Centro di Lunedì 6 luglio. Un pezzo che scuote l'umanità di ognuno per la testimonianza di un uomo che ha perso due figli sotto le macerie. Desidero sottolineare alcuni passaggi:

"Novanta giorni. Giorni di disperazione. Non hai più nulla, nemmeno la forza di gridare. Eppure sei vivo. Ti guardi intorno e vedi solo l'orrore. Devi ricominciare, ma non sai da dove. Stilare un bilancio è complicato. I bilanci hanno le entrate e le uscite. Difficile farlo se ci sono solo le uscite, se hai perso persone care, beni materiali, il tuo mondo. A questo nessuna ricostrione potrà servire. Quando sento parlare di terremoto noto che spesso ci si dimentica delle vite che non ci sono più. Tutto diventa una sorta di spettacolo e lo spettacolo come sempre deve continuare. (...) E' curioso: il sei aprile è come se qualcuno avesse deciso di farti rinascere dopo averti spogliato di tutto ciò che nella vita precedente avevi cercato di costruire. Ci si sente come un bambino: si aprono gli occhi al mondo, si vedono persone che si muovono (...) Eppure accade e quindi se ci sei non puoi tirati indietro".

Passione dell'uomo ferito nell'intimo dell'essere da un evento sconvolgente. Parole che destano tutto l'umano fino al punto di non voler chiudere un dramma. Non si tratta di censurare il dolore. Si è davanti al mistero dell'esistenza. E' provocata la nostra povera ragione e la nostra incerta libertà. Non possiamo permetterci di sprecare questa occasione turandoci il naso per annaspare nel mare dell'emotività. C'è bisogno di ricominciare sentendosi abbracciati da uno sguardo più potente dello smarrimento e dello scetticismo. Può accadere la rinascita.