Pablo Di Lorenzo

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MANTENIMENTO 4

Post n°177 pubblicato il 27 Marzo 2011 da torerodgl5
 
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4) La mancanza di adeguati redditi propri. Non basta la non addebitabilità a far scattare il diritto al mantenimento, essendo altresì necessario che il coniuge non abbia adeguati redditi propri. Al riguardo , la giurisprudenza è ormai da tempo orientata nel senso di riferire il concetto di adeguatezza indicato dalla norma citata al contesto nel quale i coniugi hanno vissuto durante il matrimonio, quale situazione condizionante la quantità e qualità dei bisogni emergenti del richiedente ( Cass. 1990, n. 6774; Cass.1995, n. 2223), e ciò con un’ evidente analogia a quanto si afferma in tema di assegno post- matrimoniale. Correttamente , inoltre, la Suprema Corte precisa che il parametro di riferimento è costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, non avendo, invece, rilievo il più modesto livello di vita eventualmente subito o tollerato. La Cassazione, del resto, opportunamente precisa che non è sufficiente a far scattare l’ obbligo di mantenimento la mancanza in capo al coniuge richiedente di redditi propri idonei, occorrendo altresì la sussistenza di una disparità economica tra le parti ( v. per tutte Cass. 2002, n . 3974; Cass. 2001n. 12136; 2001 n. 3291; 1998 n. 3490; 1997 n. 7630; 1997 n. 5762; 1996 n. 5916; 1995 n. 4720; 1995 n. 2223; 1990 n. 11523; 1990 n. 6774). Al riguardo , la recente Cass. 2006 , n. 26835, ha affermato che una volta accertato il tenore di vita del quale i coniugi erano in grado di godere durante il matrimonio in base al reddito complessivo, occorre stabilire se, con i propri mezzi, il coniuge richiedente sia in grado di conservare un tenore di vita tendenzialmente analogo, e solo in caso negativo valutare se tale incapacità possa essere superata con un contributo dell’ altro, quando ( si badi) costui, così onerato, non scenda al di sotto del pregresso tenore di vita. Peraltro , in presenza di redditi di medio e basso livello, il pregresso livello di vita spesso è irrimediabilmente perduto, non bastando a tal fine imporre al coniuge economicamente più forte ( o meglio, meno debole) un contributo per il mantenimento dell’ altro, e cioè poiché la separazione per lo più determina un incremento delle spese fisse dei coniugi, basti pensare a quelle necessarie per reperire un secondo alloggio ( vedi sul punto Cass. 1997, n. 7630) ed alla conseguente duplicazione di esborsi per fornitura di acqua, energia elettrica, telefono, gas etc. Si consideri, inoltre, che l’ art. 156, nello stabilire il diritto del coniuge separato senza addebito al mantenimento e subordinando tale diritto alla mancanza di adeguati redditi propri, non aggiunge la locuzione ( che si legge, come vedremo, invece nel comma 6 dell’ art. 5 della legge div.) “ o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive”. Ebbene, proprio la mancanza di tale inciso viene valorizzato da Cass. 2004 n. 5555, secondo cui se- ad esempio- prima della separazione i coniugi avevano concordato o, quanto meno, accettato ( sia pure soltanto “ per facta concludentia”) che uno di essi non lavorasse, l’ efficacia di tale accordo permane anche dopo la separazione, perché la separazione instaura un regime che, a differenza del divorzio, tende a conservare il più possibile tutti gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, anche il tenore e il “ tipo” di vita di ciascuno dei coniugi. Per le stesse ragioni Cass. N. 2004, n. 12121; afferma : che “compete alla moglie seppur giovane, idonea al lavoro, laureata, senza figli e di facoltosa famiglia d’ origine”, l’ assegno di mantenimento anche ove non sfrutti la propria abilità al lavoro “ poiché l’ inattività lavorativa non necessariamente è indice di scarsa diligenza nella ricerca di un lavoro finchè non sia provato il rifiuto di una concreta opportunità di lavoro”. Ed infatti, aggiunge la S.C., con la decisione citata, “ la teorica possibilità… non elide il dovere di solidarietà”, tanto più se la condizione di casalinga esisteva prima della separazione giacchè dopo di essa, a differenza del divorzio, permangono tendenzialmente gli effetti del matrimonio. Il riferimento operato dall’ art. 156 comma 2 alle “ circostanze” consente, inoltre , al giudice di tenere conto dei più svariati fattori, quali l’ assegnazione della casa coniugale, il possesso in capo ad uno dei coniugi di beni di rilevante valore ancorchè improduttivi di reddito, l’ aumento delle spese fisse del coniuge conseguentemente alla separazione ( il punto verrà approfondito oltre a proposito delle questioni comuni anche l’ assegno post- matrimoniale). In base alla nuova disposizione ( art. 5, comma6 , l.div.), requisiti per il riconoscimento dell’ assegno di divorzio sono : la mancanza da parte del coniuge richiedente di mezzi adeguati a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio ( requisito per così dire pregiudiziale) e, quindi, l’ impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. La mancanza di mezzi adeguati non va intesa come stato di bisogno in senso stretto, ma come mancanza di mezzi adeguati a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio ( stato di bisogno “ relativo”). Di grande rilievo in un’ ottica di uniformità degli orientamenti giurisprudenziale è stata la nota sentenza delle sezioni unite del 1990 ( Cass. Sez. un. 29 novembre 1990, n. 11490, in Foro it., 1991, 67 ), la quale ( risolvendo il contrasto reso palese da Cass. 1989,n. 1322, da un lato, e Cass. 1990 , n. 1652, dall’ altro) ha ancorato il criterio di adeguatezza al pregresso tenore di vita matrimoniale. Tesi, questa , cui va riconosciuto il pregio di salvaguardare la natura assistenziale dell’ assegno divorzile, senza svilire del tutto di significato i parametri indicati dall’ art. 5, comma 6, e che ( anche per questo) risulta ormai ampiamente seguita dalla giurisprudenza ( vedi Cass . 1998, n. 6468; Cass. 1999, n. 4319, e da ultimo Cass. 2003 , n. 4040; Cass. 2002, n. 6541) , tanto da potersi dire essere ormai ampiamente prevalso il concetto di “adeguatezza relativa”. In applicazione di tale visione dell’ assegno ( visto come strumento per consentire al coniuge più debole di avvicinarsi al tenore di vita goduto durante il matrimonio) si ritiene così dovuto un contributo di mantenimento, per riportare un esempio già sfruttato, alla moglie insegnante, dotata di redditi personali idonei a soddisfarne le essenziali esigenze di vita secondo criteri generali, ma sposata con un soggetto che, essendo provvisto di ben maggiore capacità reddituale ( si pensi ad un capitano d’ industria) aveva garantito alla un tenore di vita matrimoniale particolarmente elevato. E ciò in un’ ottica di attenzione alle concrete e peculiari condizioni di vita di ogni singolo gruppo familiare, in base ai contributi offerti dall’ uno e dall’ altro coniuge. Quanto all’ incapacità di procurarsi un reddito che consenta il mantenimento autonomo del pregresso tenore di vita, occorre che l’ istante dimostri di non essere capace di procurarsi redditi idonei a causa di ragioni oggettive. Ragioni che possono essere di varia natura: l’ età non più giovane e lo stato di salute incompatibili con la capacità lavorativa; l’ incapacità di trovare lavoro per la mancanza di competenze specifiche ( non più maturabili); la presenza di figli conviventi in tenera età , o di figli anche più grandi, e financo maggiorenni, che necessitino, per handicap di vario genere, di cure ed accadimento particolari; l’ esigenza per il coniuge in giovane età di completare gli studi, magari interrotti a causa del matrimonio, così da acquisire una specifica professionalità. La giurisprudenza è giunta ad escludere l’ assegno pur in favore del coniuge meno abbiente( incapace di mantenere senza aiuto dell’ altro il precedente livello di vita ) quando egli non abbia dato alcun contributo personale alla costituzione della comunione spirituale anche in considerazione della brevissima durata del matrimonio contratto per motivi apertamente utilitaristici. Sul punto si veda Cass. 1996 , n. 9439, secondo cui i criteri moderatori sono suscettibili in taluni casi, per la particolare rilevanza negativa di uno o più di essi, di portare all’ esclusione dell’ assegno in concreto. I criteri indicati dall’ art. 5,6 comma , alla stregua di parametri per la quantificazione dell’ assegno sono molteplici, e precisamente: le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi, valutati unitariamente e confrontati sulla base del paradigma dell’ intera durata del vincolo matrimoniale ( ex plurimis Cass. 2001 , n. 7541 e Cass. 2001 , n. 11575). Quanto al riferimento ai redditi dell’ obbligato , ci si è chiesti se la laconicità del richiamo ( in contrapposizione al tenore dell’ art. 143 c.c., che occupandosi del dovere di contribuzione in costanza di matrimonio fa riferimento ai redditi in relazione alle “ proprie sostanze ed alla propria capacità di lavoro”) abbia una portata riduttiva. Ebbene, la giurisprudenza e la prevalente dottrina rispondono negativamente , ritenendo che la diversa formulazione sia frutto di un difetto di coordinamento e che, pertanto, occorra tenere conto della situazione patrimoniale complessiva del coniuge obbligato ( rilevando ogni utilità suscettibile di valutazione economica). Tra i criteri di quantificazione un posto di rilievo meritano, come già si è visto, anche da un punto di vista casistico, la durata del matrimonio ed il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione familiare. A parte casi particolari ( si è già detto sopra del rigoroso orientamento di Cass. 1996 , n. 9439), la giurisprudenza tende ad escludere che la breve durata del matrimonio abbia di per sé efficacia preclusiva del diritto all’ assegno ( Cass. 2000, n. 12547). Alla stregua del parametro delle “ condizioni economiche ( che possono essere valutate sia per accertare il diritto all’ assegno sia per quantificarlo) anche alle condizioni sociali, nonchè all’ età ed allo stato di salute. È , inoltre, valorizzando il parametro delle “ ragioni della decisione “ che il giudice potrebbe ( il condizionale è d’ obbligo , stante la scarsa applicazione pratica del criterio in questione) commisurare l’ assegno tenendo conto del comportamento che hanno cagionato la rotture della comunione materiale spirituale della famiglia, considerando non solo le cause della separazione ma anche le condotte successive ( CASS. 2002, N. 13060). È , peraltro, incontroverso come non sia necessario prendere in esame per la soluzione del singolo caso tutti i parametri in questione, ben potendo il giudice determinare l’ assegno senza tener conto , per esempio, delle ragioni della decisione ( così Cass. 2005, n. 10210). La giurisprudenza ( Cass 2005, n. 19446 , in Foro. It 2006, 5, col 1362) sostiene , poi che nella determinazione dell’ assegno occorre valutare gli eventuali miglioramenti successivi della situazione economica del coniuge nei cui confronti si chieda l’ assegno “ qualora costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’ attività svolta durante il matrimonio, mentre non possono essere valutati i miglioramenti che scaturiscano da eventi autonomi, non collegati alla situazione di fatto e alle aspettative maturate nel corso del matrimonio e aventi caratteri di eccezionalità , in quanto connessi a circostanze ed eventi del tutto occasionali ed imprevedibili”. Tali non possono essere considerati i miglioramenti economici relativi all’ attività di lavoro subordinato svolta da ciascun coniuge durante la convivenza matrimoniale, i quali costituiscono evoluzione normale e prevedibile, ancorchè non certa, del rapporto di lavoro. - Cassazione I civile n. 18477 del 19 settembre 2005 - (1029) Assegno divorzile,famiglia,affido congiunto,affido condiviso,divorzio,figli "l'assegno di divorzio ha connotazione eminentemente assistenziale, essendone l'attribuzione condizionata alla mancanza di mezzi economici adeguati dell'ex coniuge richiedente o alla impossibilita' di procurarseli per ragioni oggettive" SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza non definitiva del 21 ottobre 1999, il Tribunale di Rovereto dichiaro' la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra *** e *** e, tra le altre consequenziali statuizioni di ordine economico, nego' a quest'ultima l'attribuzione di un assegno divorzile, considerandone l'inserimento in un nuovo nucleo familiare, il buon tenore di vita, non inferiore a quello condotto prima della separazione, e tenendo conto che, in sede di separazione, era stato stabilito nei confronti del *** solo l'obbligo di corrispondere un assegno a titolo di contributo per il mantenimento della figlia. In riforma della predetta decisione, la Corte d'appello di Trento riconobbe, tra l'altro, alla *** il diritto di ricevere dal *** un assegno divorzile di importo pari a lire 500.000 mensili. A tal proposito, osservo' anzitutto che alla presunta convivenza della donna con altra persona non poteva attribuirsi una valenza idonea a escludere il diritto alla percezione dell'assegno di divorzio, difettando nella specie ogni idoneo elemento indicativo di quella continuita', regolarita' e sicurezza di aiuti erogazioni a favore del coniuge istante da parte del terzo convivente. Rilevo', poi, che la valutazione comparata delle posizioni patrimoniali dei due coniugi, quali emergevano dalle informazioni della Guardia di Finanza e dalla prova per testi, palesava la notevole entita' dei redditi e della potenzialita' economiche del *** e, di contro, l'insufficienza dei mezzi della *** a mantenere un tenore di vita corrispondente a quello avuto in costanza di matrimonio. Della sopra compendiata sentenza, il *** ha chiesto la cassazione con ricorso sostenuto da un unico motivo. Non resiste l'intimata. MOTIVI DELLA DECISIONE Con l'unico complesso motivo, il *** denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970. Contrariamente a quanto opinato dalla corte d'appello, sostiene "il tenore di vita da prendere in considerazione - non e' quello antecedente alla separazione, ma quello tenuto dal coniuga richiedente sino al momento del divorzio, in quanto finalita' dell'assegno 6 quella di porre in adeguata misura rimedio al deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, la cui valutazione va fatta con riferimento al momento della pronuncia di divorzio". Nella specie, il tenore di vita del quale la corte doveva valutare il deterioramento per giustificare il riconoscimento dell'assegno divorzile non era quello tenuto dalla *** fino al 1985, anno in cui i coniugi furono autorizzati a vivere separati senza obbligo del marito di versare assegno di mantenimento per la moglie, ma quello da lei tenuto sino al 21 ottobre 1999, data della pronuncia di divorzio. Il raffronto andava quindi fatto fra il livello di vita mantenuto dalla *** fino a quel periodo e quello successivo. Nessuna prova e' stata portata dall'appellante per dimostrare che, con la pronuncia di divorzio, il suo tenore di vita abbia subito un deterioramento. Quando la corte territoriale fa riferimento al tenore di vita avuto dalla *** in costanza di matrimonio, si riferisce evidentemente a quello che le condizioni economiche del *** negli anni immediatamente precedenti il divorzio avrebbero potuto consentirle, senza tenere conto del fatto che non poteva beneficiarne per effetto delle statuizioni adottate nella sentenza irrevocabile di separazione. Dal 1985 al 1999, nulla si sa dell'effettivo tenore di vita della *** le non che, stando alle sue dichiarazioni del redditi, esso appariva al limite della sopravvivenza e addirittura, per gli anni dal 1996 al 1999, inferiore; sicuramente, quindi, il divorzio non puo' averne determinato un peggioramento. La corte non ha tenuto presente che la corresponsione dell'assegno e' condizionata alla prova a carico del richiedente, nella specie non fornita, della mancanza di mezzi economici che gli permettano di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e della oggettiva impossibilita di procurarseli, senza che a questo fine possano supplire i poteri officiosi del giudice). Il ricorso e' del tutto destituito di fondamento. Secondo la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, la concessione dell'assegno di divorzio, avente carattere esclusivamente assistenziale (salva la valutazione ponderata e bilaterale, ai fini della misura dell'assegno, del criteri fissati dall'art. 5 legge 1^ dicembre 1970 n. 898, come modificato dall'art. 10 legge 6 marzo 1987 n. 74), presuppone l'inidoneita' dei mezzi del coniuge richiedente - comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilita' di cui possa disporre - a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Non e', quindi, necessario uno stato di bisogno, rilevando invece l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, della precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate per ristabilire un sostanziale equilibrio. In proposito, si e' ancora precisato che gli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniugo al quale si chieda l'assegno, successivi alla cessazione della convivenza, assumono pure rilievo - al fine di stabilire la situazione economica familiare in base alla quale valutare il tenore di vita anzidetto - ove costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell'attivita' abitualmente svolta (vedi, plurimis, Cass. nn. 13169/2004, 6541/2002, 7541/2001, 15055/2000, 8225/2000, 5582/2000, 3101/2000, 2662/2000, 12729/1999, 12182/1999, 2955/1998). Dai principi sopra esposti in tema di assegno di divorzio, deriva che il giudice di merito chiamato a pronunciarsi sull'an debeatur deve determinare, sulla basa delle prove offerte, la situazione economica familiare al momento della cessazione della convivenza matrimoniale - tenendo, peraltro, conto anche degli eventuali miglioramenti reddituali sopravvenuti - e raffrontarla con quella del coniuge richiedente al momento della pronuncia di divorzio, al fine di stabilire se quest'ultimo possa permettersi un tenore di vita analogo a quello desumibile dalle potenzialita' economiche del nucleo familiare. Ove tale accertamento dia esito negativo, non possedendo il richiedente redditi che gli possano consentire di mantenere il suddetto tenore di vita, ne potendo ragionevolmente acquisirli attraverso un'attivita' lavorativa concretamente esplicabile e confacente alla sua posizione sociale, la liquidazione dell'assegno andra' compiuta secondo i criteri determinati dal suddetto art. 5 (condizioni economiche di entrambi i coniugi al momento del divorzio, ragioni della decisione, contributo personale ed economico alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di entrambi, reddito di entrambi, durata del matrimonio), valutati con riferimento al momento della pronuncia di divorzio. Contrariamente a quanto osservato dal ricorrente, il raffronto va fatto tra le condizioni reddituali del coniuge richiedente al momento della pronuncia di divorzio e quelle dallo stesso godute in costanza di matrimonio. A tali principi si è adeguata la corte d'appello, la quale ha ritenuto che sussistessero i presupposti per l'attribuzione alla ricorrente di un assegno divorzile, non avendo essa redditi sufficienti a conservare il tenore di vita goduto durante il matrimonio. Basandosi sulle informazioni fornite dalla polizia tributaria, cui il giudice, ai sensi del comma 9 dell'art. 5 legge n. 898/1970, puo' sempre ricorrere ex officio in caso di contestazione sull'entita' dei redditi e dei patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, la corte tridentina ha osservato che: a) durante il matrimonio e prima della separazione, la *** faceva la casalinga ed era comproprietaria dalla casa coniugale, ma conduceva un tenore di vita agiato grazie alle ottime condizioni economiche del marito, proprietario di varie case di abitazione, alcune delle quali concesse in locazione, e con disponibilita' tali da sottoscrivere, unitamente alla sorella, fondi di investimento per un controvalore ammontante, al 16 ottobre 1998, a lire 1.020.000.000 circa. La *** ha cominciato a lavorare part-time, dopo la separazione, percependo una retribuzione di lire 1.100.000 mensili, non risulta titolare di beni immobili (oltre la quota della casa coniugale), possiede BOT e fondi di investimento per complessivi lire 25.000.000 circa, il reddito dichiarato nel 1999 (anno di pronuncia della sentenza di divorzio) e' di lire 6.125.000. La situazione patrimoniale del *** al momento della pronuncia di divorzio, appare considerevolmente migliorata, essendo egli divenuto direttore sportivo di un'importante squadra ciclistica con compenso di lire 50.000.000 annue, risultando proprietario di case di abitazione e di una potente autovettura, vicedirettore della filiale di Concesio della societa' Carrera ed esercente attivita' di intermediario di commercio di prodotti tessili con imponibile dichiarato, in relazione a tale ultima attivita', di lire 24.661.000. La differenza dei redditi fra i coniugi all'epoca sia della loro convivenza, sia della pronuncia di divorzio, consente di ravvisare la sussistenza del diritto della *** all'assegno di divorzio. La corte di appello, quindi, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, nel ritenere che la *** non possedesse al momento del divorzio (1999) redditi sufficienti a conservare un tenore di vita corrispondente a quello avuto durante il matrimonio, ha tenuto conto sia del modesto reddito della sua attivita' lavorativa al momento del divorzio, sia della comproprieta' da parte sua della casa di abitazione, valutando il deterioramento della sua situazione economica in relazione ai maggiori redditi del marito dei quali beneficiava gia' durante la convivenza matrimoniale e avrebbe ancor piu' beneficiato in seguito, posto che i cospicui incrementi di reddito di lavoro del coniuge, verificatisi dopo la separazione e prima del divorzio, costituiscono proiezione e sviluppo naturali e prevedibili delle potenzialita' lavorative ed economiche sussistenti durante la convivenza coniugale. Tenendo presente questa prospettiva, il giudice a quo ha proceduto alla valutazione comparativa della situazione economica dei due coniugi, quale appunto risultava al momento della pronuncia di scioglimento del vincolo matrimoniale. Provata, dunque, in base ad accertamenti non rivedibili in questa sede, la disparita' reddituale e finanziaria tra i due ex coniugi e la impossibilita' per la *** di disporre di mezzi adeguati in grado di garantirle un tenore di vita assimilabile a quello, di certo elevato, goduto in costanza di matrimonio, correttamente sono stati ravvisati i presupposti per il riconoscimento al coniuge economicamente piu' debole dell'assegno divorzile. La prospettazione di violazione di norme di legge e' in definitiva radicalmente priva di fondamento e, come anticipato, mira ad offrire copertura formale a censure di merito, coma tali Inammissibili in questa sede di legittimita'. E' noto, invero, che nella disciplina dettata dal riformato art. 5 della legge n. 898 del 1970 l'assegno di divorzio ha connotazione eminentemente assistenziale, essendone l'attribuzione condizionata alla mancanza di mezzi economici adeguati dell'ex coniuge richiedente o alla impossibilita' di procurarseli per ragioni oggetti ve, mentre gli altri criteri costituiti dalle condizioni dei coniugi, dalle ragioni della decisione, dal contributo personale ed economico alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, dal reddito di entrambi, valutati unitariamente e confrontati alla luce del paradigma della durata del matrimonio, sono destinati a operare solo se l'accertamento dell'unico elemento attributivo si sia risolto positivamente e, quindi, a incidere unicamente sulla quantificazione dell'assegno stesso (vedi, piu' di recente, tra le tante, Cass. nn. 15055/2000; 8225/2000) 3101/2000; 2662/2000, 1379/2000, 12182/1999, 8183/1999, 4319/1999). E’ noto, altresi', che, nella prima delle due fasi nelle quali tale indagine si articola, il giudice e chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi economici dell'ex coniuge richiedente o all'impossibiliti di procurarseli per ragioni oggettive, avendo come criterio di riferimento il tenore di vita goduto manente matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso della vita coniugale, e quindi a procedere a una prima determinazione delle somme sufficienti a superare l'inadeguatezza di detti mezzi e al tempo stesso costituenti il tetto massimo della misura dell'assegno. Nella fase successiva, attinente alla determinazione in concreto dell'assegno, il giudice deve operare una valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, e possono in ipotesi estreme valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione. L'articolata motivazione fornita al riguardo dalla corte territoriale si sottrae alle censure innanzi richiamate, che vanno peraltro considerate inammissibili nelle parti in cui tendono a sollecitare un diverso apprezzamento degli elementi probatori esaminati e valutati dal giudice di merito. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non vi é luogo a statuizione sulle spese, non avendo l'intimata svolto difese in questa sede. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Cosi' deciso in Roma, il 5 luglio 2005. Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2005.

 

 

 
 
 
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PABLO ARTURO DI LORENZO

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- laureando in giurisprudenza presso l' Università di Salerno
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Ho sempre combattuto per qualsiasi cosa, e non ho nessuna intenzione di sporcare la mia correttezza morale e politica con comportamenti IMMORALI.

- Settembre 2006 / Giugno 2007 vincitore del progetto imprenditoriale promosso dall' associazione IGS Campania, coofinanziato da Confindustria.

- il 15 Giugno 2010 partecipazione al primo corso di alta formazione politica a Benevento, promosso dalla Fondazione Magna Carta, ed il Partito Popolare Europeo ; coordinato dall' On. Erminia Mazzoni.

 

 

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