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Post n°11 pubblicato il 26 Agosto 2017 da Leonardo.Montoli
1. L'EUROPA E IL SUO DESTINO “La creatività, l’ingegno, la capacità di rialzarsi e di uscire dai propri limiti appartengono all’anima dell’Europa. Nel secolo scorso, essa ha testimoniato all’umanità che un nuovo inizio era possibile: dopo anni di tragici scontri,culminati nella guerra più terribile che si ricordi, è sorta, con la grazia di Dio, una novità senza precedenti nella storia. Le ceneri delle macerie non poterono estinguere la speranza e la ricerca dell’altro, che arsero nel cuore dei Padri fondatori del progetto europeo. Essi gettarono le fondamenta di un baluardo di pace, di un edificio costruito da Stati che non si sono uniti per imposizione, ma per la libera scelta del bene comune, rinunciando per sempre a fronteggiarsi. L’Europa, dopo tante divisioni, ritrovò finalmente sé stessa e iniziò a edificare la sua casa.Questa «famiglia di popoli»[1], lodevolmente diventata nel frattempo più ampia, in tempi recenti sembra sentire meno proprie le mura della casa comune, talvolta innalzate scostandosi dall’illuminato progetto architettato dai Padri. Quell’atmosfera di novità, quell’ardente desiderio di costruire l’unità paiono sempre più spenti; noi figli di quel sogno siamo tentati di cedere ai nostri egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari. Tuttavia, sono convinto che la rassegnazione ela stanchezza non appartengono all’anima dell’Europa,che anche le difficoltà possono diventare promotrici potenti di unità” “Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo,«un costante cammino di umanizzazione», cui servono «memoria, coraggio, sana e umana utopia»[10]. Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane,perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia. Grazie.” (Dal discorso di Papa Francesco ad Aquisgrana in occasione del conferimento del premio Carlo Magno -2 maggio 2016)
2. TENSIONE IDEALE ALL’UNITA’ “Nell'intenzione dei suoi Padri fondatori, il Consiglio d'Europa, che quest'anno celebra il suo 65° anniversario, rispondeva ad una tensione ideale all'unità che ha, a più riprese, animato la vita del continente fin dall'antichità. Tuttavia, nel corso dei secoli hanno più volte prevalso le spinte particolariste, connotate dal susseguirsi di diverse volontà egemoniche.Basti pensare che dieci anni prima di quel 5 maggio 1949, in cui fu firmato a Londra il Trattato che istituiva il Consiglio d'Europa, iniziava il più cruentoe lacerante conflitto che queste terre ricordino, le cui divisioni sono continuate per lunghi anni a seguire, allorché la cosiddetta cortina di ferro tagliava in due il continente dal Mar Baltico al Golfo di Trieste. Il progetto dei Padri fondatori era quello di ricostruire l'Europa in uno spirito di mutuo servizio, che ancora oggi, in un mondo più incline a rivendicare che a servire,deve costituire la chiave di volta della missione del Consiglio d'Europa, a favore della pace, della libertà e della dignità umana D'altra parte, la via privilegiata per la pace - per evitare che quanto accaduto nelle due guerre mondiali del secolo scorso si ripeta - è riconoscere nell'altro non un nemico da combattere, ma un fratello da accogliere. Si tratta di un processo continuo,che non può mai essere dato per raggiunto pienamente. È proprio quanto intuirono i Padri fondatori, che compresero che la pace era un bene da conquistare continuamente e che esigeva assoluta vigilanza. Erano consapevoli che le guerre si alimentano nell'intento di prendere possesso degli spazi,cristallizzare i processi che vanno avanti e cercare di fermarli; viceversa cercavano la pace che si può realizzare soltanto nell'atteggiamento costante di iniziare processi e portarli avanti”. “Per conquistare il bene della pace occorre anzitutto educare ad essa, allontanando una cultura del conflitto che mira alla paura dell'altro, all'emarginazione di chi pensa o vive in maniera differente. È vero che il conflitto non può essere ignorato o dissimulato,dev'essere assunto. Ma se rimaniamo bloccati in esso perdiamo prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa rimane frammentata. Quando ci fermiamo nella situazione conflittuale perdiamo il senso dell'unità profonda della realtà [4], fermiamo la storia e cadiamo nei logoramenti interni di contraddizioni sterili”. “Come dunque perseguire l'ambizioso obiettivo della pace. La strada scelta dal Consiglio d'Europa è anzitutto quella della promozione dei diritti umani, cui si lega lo sviluppo della democrazia e dello stato di diritto. È un lavoro particolarmente prezioso, con notevoli implicazioni etiche e sociali, poiché da un retto intendimento di tali termini e da una riflessione costante su di essi dipende lo sviluppo delle nostre società, la loro pacifica convivenza e il loro futuro. Tale studio è uno dei grandi contributi che l'Europa ha offerto e ancora offre al mondo intero. In questa sede sento perciò il dovere di richiamare l'importanza dell'apporto e della responsabilità europei allo sviluppo culturale dell'umanità. Lo vorrei fare partendo da un'immagine che traggo da un poeta italiano del Novecento, Clemente Rebora, che in una delle sue poesie descrive un pioppo, con i suoi rami protesi al cielo e mossi dal vento, il suo tronco solido e fermo e le profonde radici che s'inabissano nella terra [7]. In un certo senso possiamo pensare all'Europa alla luce di questa immagine. Nel corso della sua storia, essa si è sempre protesa verso l'alto, verso mete nuove e ambiziose, animata da un insaziabile desiderio di conoscenza, di sviluppo, di progresso, di pace e di unità. Mal'innalzarsi del pensiero, della cultura, delle scoperte scientifiche è possibile solo per la solidità del tronco e la profondità delle radici che lo alimentano. Se si perdono le radici, il tronco lentamente si svuota e muore e i rami - un tempo rigogliosi e dritti - si piegano verso terra e cadono. Qui sta forse uno dei paradossi più incomprensibili a una mentalità scientifica isolata: per camminare verso il futuro serve il passato, necessitano radici profonde, e serve anche il coraggio di non nascondersi davanti al presente e alle sue sfide. Servono memoria, coraggio, sana e umana utopia. D'altra parte -osserva Rebora - «il tronco s'inabissa ov'è più vero»[8]. Le radici si alimentano della verità, che costituisce il nutrimento, la linfa vitale di qualunque società che voglia essere davvero libera, umana e solidale. D’altra parte, la verità fa appello alla coscienza, che è irriducibile ai condizionamenti, ed è perciò capace di conoscere la propria dignità e di aprirsi all'assoluto, divenendo fonte delle scelte fondamentali guidate dalla ricerca del bene per gli altri e per sé e luogo di una libertà responsabile[9]. Occorre poi tenere presente che senza questa ricerca della verità,ciascuno diventa misura di sé stesso e del proprio agire, aprendo la strada dell'affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l'idea di diritto individualista. Ciò porta ad essere sostanzialmente incuranti degli altri e a favorire quella globalizzazione dell'indifferenza che nasce dall'egoismo,frutto di una concezione dell'uomo incapace di accogliere la verità e di vivere un'autentica dimensione sociale. (Dal discorso di Papa Francesco al Consiglio d’Europa riunito a Strasburgo in sessione solenne -- 25 novembre 2014 -) 3. ABUSI SESSUALI NELLA CHIESA In occasione della recente udienza ai membri della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori Papa Francesco ha dichiarato che nella Chiesa c'è tolleranza zero contro gli abusi sessuali sui minori. Dopo avere affermato che la Chiesa ha preso coscienza tardi di questo problema Francesco ha aggiunto che il Signore, per fortuna, ha suscitato uomini e profeti nella Chiesa per far emergere il problema e vederlo in faccia. Le prove di un abuso sono a suo avviso più che sufficienti per non accettare ricorsi: il Papa ha decisamente affermato che non firmerà mai la grazia. Egli ha ribadito con forza l'impegno della Chiesa ad applicare misure severe nei confronti di che commette abusi sui minori; ha altresì dichiarato di riporre piena fiducia nella Commissione intesa come luogo in cui sia possibile ascoltare, con la massima attenzione, le voci delle vittime e dei sopravvissuti la cui narrazione della triste esperienza vissuta deve essere fonte preziosa per intraprendere le iniziative più idonee a contrastare decisamente il fenomeno dell'abuso.
4. IL DIAVOLO (?) IN TRIBUNALE Sul Corriere della Sera del 6 aprile 2017 è apparsa una notizia così titolata "I giudici: non è colpa della moglie, matrimonio finito, lei è posseduta". Una notizia bomba per i tempi andati, ma non oggi "posseduti" come siamo dalle dotte dissertazioni sulla geografia dei corpi delle dive di turno propinate con larga dovizia dalle testate giornalistiche. D'altra parte anche nella Chiesa il demonio sembra non andare più tanto di moda; non si capisce se per non turbare la pace routinaria dei "buoni" parrocchiani o l'eventuale paura di qualche prete, dimentichi che l'abitudine al sacro tepore, secondo alcuni, è l'anticamera del demoniaco. Per tornare alla cronaca la sentenza dei giudici di Milano in una causa di separazione dice che eventi inspiegabili anche per i medici e gli esorcisti caratterizzavano la figura della signora che, scrive il tribunale (come riferisce il Corriere) non agisce consapevolmente, è agita"; pertanto il matrimonio ne risulta sconvolto dagli inspiegabili comportamenti ossessivi della moglie che non può essere ritenuta responsabile in quanto "agita", nel senso cioè che essa non è responsabile di quanto fa perché un quid agisce in lei è per lei. I medici non hanno riscontrato patologie che possono giustificare i fenomeni di cui la signora è protagonista e che il marito attribuisce al demonio: strisciare sul pavimento della chiesa, sollevare con una sola mano una pesante panca e scagliarla contro l'altare (pur essendo il soggetto di esile corporatura) sollevarsi in aria per poi ricadere con proiezioni paraboliche a notevole distanza, essere protagonista di fenomeni di poltergeist... Dunque il giudice dichiara la separazione "in via ordinaria senza alcun addebito per alcuno dei coniugi: al marito andrà la casa, alla moglie un assegno di mantenimento". Ce ne sarebbe abbastanza per discutere a lungo con credenti e non credenti, ai quali ricordiamo il fatto così come è; rispettando comunque anche la"profonda" cultura di chi vuol liquidare sbrigativamente il fatto con quattro risate da "uomo superiore". Se si vuole inquadrare il paranormale in modo obiettivo si può leggere la rubrica omonima sul sito leonardomontoli.com 5. UNA PIA ILLUSIONE DA SFATARE Bisogna che l'uomo moderno, che si illude di essere indipendente e padrone del mondo, impari a ragionare con la propria testa: è un esercizio al quale egli, ad onta del suo sussiegoso narcisismo, sembra aver rinunciato; sempre pronto com'è a prestare ascolto al suggerimento delle cosiddette "emozioni forti" artificialmente create per essere il nuovo sale della vita, nonché alle promesse della scienza che gli suggerisce l'idea: "io uomo basto a me stesso e sempre di più basterò". Di fronte alla disastrosa situazione che caratterizza la moderna società",per evitare di andare definitivamente a sbattere, per dirla in gergo, occorre fermarsi e fare autocritica; il che significa risalire alla base delle convinzioni che alimentano il nostro modo di vivere, l'atteggiamento usuale di fronte al passato, al modo di leggere il presente e di costruire il futuro: si tratta di mettere a nudo la "dinamica" delle nostre attuali convinzioni "ragionandoci su" per coniugare intelligentemente il progresso col buon senso, il futuro col presente senza dimenticare il passato: tenendo i piedi ben affondati nelle " radici", perché senza il loro continuo alimento l'albero della civiltà rinsecchisce e rischia di morire, anche se al momento appare lussureggiante e risplendente grazie agli effimeri frutti della tecnologia, che tendono a schiavizzare l'uomo anziché conferire ad un reale miglioramento delle sue condizioni di vita.
6. VITA E MORTE La vita ha un senso se la leggi alla luce della morte: sembra assurdo ma è così. Se non sai dove vai come fai a scegliere il tuo "stile" di vita coerentemente? Ti lasci vivere, non vivi! Allora di fronte alla morte, per esempio di una persona cara o semplicemente che conosci, la tua reazione è la rimozione: tu" vivi "quindi la morte non esiste! Ma quando la morte bussa alla porta di chi vive così colpendolo nel lutto di una persona alla quale è legato da affetto profondo e da condivisione di vita affettiva, o semplicemente di lavoro,o di quotidiana frequentazione che ne fa del semplice incontrarla un'abitudine, allora è trascinato a viva forza, sulla soglia del mistero... si smarrisce, non capisce più, e spesso si rifugia nell'alcol, nella droga, nel sesso sfrenato, nel lavoro ossessivo, nella musica frenetica... Fugge il silenzio, non vuol pensare. Chiude la porta sull'ignoto, si "ubriaca" di vita come se la mano ossuta della morte non gli posasse sempre e comunque sulla spalla in attesa di dargli il segnale che è venuta la sua ora. Se invece prendesse quella mano e tirasse la morte davanti a sé guardandola in faccia e domandandole "Chi sei? Perché ci sei? Che hai a che fare con la vita... Con la mia vita?". Forse comincerebbe a distinguere la differenza fra fare l'amore e amare, fra poter pensare e saper pensare, fra curare e prendersi cura, fra competere ed essere solidale, fra ricchi-poveri e poveri-ricchi, fra lauree accademiche e laurea in umanità, fra il nulla e l'infinito, fra scienza e felicità... Imparerebbe che la tenerezza richiede più coraggio della violenza, la compassione è più forte della sopraffazione... Che infine il vivere non è lasciarsi vivere, che l'amore non si compra ,che il potere è il giardino della solitudine. Allora, dando un senso alla morte, capirebbe la vita.
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