Essere e pensiero
E' stato già scritto tutto, per fortuna non tutto ancora pensato.
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E' del tutto casuale che "un'idea" si vesta di versi, di frasi narrative o di espressioni filosofiche. In ogni caso essi, fra loro congiunti come rami di uno stesso albero, sono all'origine dell'immaginario umano.
Borges soleva dire: "per l'immaginazione, la poesia e la prosa sono la stessa cosa".
E' sempre il lettore, coautore di ciò che viene scritto, che, con la sua sensibilità reattiva, attribuisce senso ad ogni testo. Senso che varia, quindi, col variare dei lettori e delle generazioni che si avvicinano al testo, nello scorrere del tempo.
Ecco perché, secondo Borges, l'attività della lettura é più determinante della stessa scrittura, come ebbe a dichiarare, affermando di essere orgoglioso - lui - fra i maggiori scrittori di ogni tempo - più per i libri che aveva letto, di quanto non lo fosse per i libri che aveva scritto. Colui il quale firma un testo, egli pensava, è solo l'autore casuale e parziale del libro che, al limite, "può prescindere dall'identità del suo scriba":
Il miglior modo per "scrivere" é sicuramente "riscrivere" un testo, entrando in sintonia con esso, attraverso la lettura meditata, sia individuale che circolare. Ed é questa sensibilità, credo, che debba essere insegnata alle giovani generazioni, allorchè si avvicinino per la prima volta al mondo della lettura e della cultura.
Un testo é "classico" non perchè racchiuda un messaggio detto una volta per tutte e staticamente custodito fra le sue pagine ma, al contrario, perché è in grado di dire cose sempre nuove alle coscienze delle nuove generazioni che si avvicinano ad esso.
Un testo, quindi, è classico perchè é sempre nuovo e a renderlo nuovo é la voce di chi lo legge, lo ama e lo interpreta nello scorrere del tempo.
Alla luce di quanto detto, propongo, quindi, per la lettura e il dialogo, una straordinaria poesia di Jorge Luis Borges (Buenos Aires, 1899 - Ginevra, 1986), intitolata Il Palazzo, tratta dalla raccolta L'oro delle tigri, pubblicata per la prima volta in Italia nell'agosto del 1974 dall'editore Rizzoli e successivamente, nel novembre del 1985, dall'editore Mondadori, nella collana I Meridiani, in Borges, Tutte le opere, due volumi, a cura di Domenico Porzio.
Questa lirica, nell'inimitabile stile di Borges, mi pare apra squarci di comprensione poetica nel discorso svolto nei messaggi precedenti.
"IL PALAZZO
Il palazzo non é infinito.
I muri, i terrapieni, i giardini, i labirinti,
le scalinate, i terrazzi, i davanzali,
le gallerie, i cortili circolari o rettangolari,
i chiostri, i crocicchi, le cisterne, le anticamere,
le camere, le alcove, le biblioteche, gli abbaini,
le prigioni, le celle senza uscita e gli ipogei,
non sono meno copiosi dei granelli di sabbia
del Gange, ma la loro cifra ha una fine.
Dai terrazzi, verso il ponente, non manca
chi riesce a vedere le officine, le falegnamerie,
la scuderia, gli arsenali e le capanne degli schiavi.
A nessuno é dato di percorrere più di una parte
infinitesimale del palazzo. Qualcuno conosce solo
le cantine. Possiamo percepire alcune facce,
alcune voci, alcune parole, ma quel che percepiamo
é infimo. Infimo e prezioso insieme. La data che
l'acciaio incide sulla lapide e che i libri della parrocchia
registrano é posteriore alla nostra morte; siamo già
morti quando niente ci tocca, né una parola, né un
desiderio, né un ricordo. Io so che non sono morto."
Jorge Luis Borges
L'oro delle tigri
Rizzoli, 1974
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