Le politiche di welfare si occupano dei problemi di natura
sociale, e si pongono obiettivi miranti ad accrescere il benessere dei
cittadini.
Il welfare è la colonna portante di uno Stato, infatti copre
il 30% del PIL, quindi ha una importanza e responsabilità enorme in quanto
contraddistingue e muta la struttura di un paese.
Il cittadino può trarre tale benessere da quattro principali
strutture: la famiglia, il mercato, le associazioni di stampo volontaristico e
lo Stato, attraverso le politiche sociali. Per capirci meglio pongo degli
esempi: nel mondo angloamericano, lo Stato garantisce il benessere delegando al
mercato la gestione e l’erogazione del servizio, dopodiché sarà il cittadino
che per soddisfare i suoi bisogni principali dovrà rivolgersi al mercato stesso
(es. il cittadino per godere dell’ assistenza sanitaria dovrà costituire
un’assicurazione sanitaria). Nei paesi nordici, invece, è lo Stato che si preoccupa di fornire servizi
di stampo universalistico, ossia li garantisce come un diritto di cui possono
beneficiare tutti i cittadini, considerando l’individuo come colonna portante
dello Stato. In Italia, lo Stato fornisce alcuni servizi, di stampo universalistico,
come la sanità; ma per i restanti servizi, lo Stato ha
repentinamente delegato alla famiglia questo onere . Un esempio calzante sono
le graduatorie per l’accesso agli asili comunali, in cui la scelta ricadrà su
quei bambini la cui famiglia non può provvedere, per motivi di lavoro o
mancanza di parenti nelle vicinanze, all’assistenza nelle ore lavorative. Quindi
si trae la conclusione che prima dello Stato, materializzato in questo caso
dall’asilo comunale, è la famiglia che tende a soddisfare questo genere di
bisogni, e solo in mancanza di questa intervengono le politiche sociali.
Questo modello di welfare state è stato affermato dalla politica
cattolica della DC, che ha caratterizzato e dominato la condotta italiana per
quarant’anni, ma anche dalla forte influenza della Chiesa. La tipologia di
famiglia che gode della maggior tutela è quella del capofamiglia lavoratore, in
quanto l’accesso a molti servizi è basato sui contributi versati.
Proteggere la famiglia e non il singolo individuo, quali conseguenze
produce?
Prima di tutto, questa situazione genera una mancanza di
tutela per i soggetti che non fanno parte di nessuna famiglia, oppure
disoccupati o lavoratori in nero e, perciò scaturisce una serie di ulteriori
problemi: ad esempio in Italia, i giovani escono dal nucleo famigliare ad un
età molto più avanzata rispetto alla
media europea, questo non è solo colpa della nostra indole “mammona”, ma
soprattutto è dovuto alla mancanza di politiche che incentivino e tutelino questo
passo. Quindi, le persone sono costrette a posticipare le scelte di vita, a generare
sempre meno figli e sempre più tardi, e il paese invecchia repentinamente (siamo
al secondo posto nel mondo, dopo il Giappone). Al contrario di quanto accade nell’Europa
settentrionale in cui i ragazzi o ragazze escono dall’ambito famigliare a 19
anni, in quanto sono agevolati dall’erogazione di sussidi per l’affitto, e la
natalità è maggiore rispetto alla nostra perché vi sono numerose leggi che la tutelano
e forniscono aiuti finanziari. Questo modello di welfare state in Italia, per
la sua cultura e mentalità, ha risvolti utopistici.
Ulteriore tematica che peggiorerà la situazione italiana
sarà l’imminente pensionamento della baby boom generation, che godrà di politiche
pensionistiche ultragenerose prodotte prima della riforma dei primi anni 90, divenendo
così uno dei problemi maggiormente più critici del futuro dell’Italia, perché
il numero di persone che percepiranno la pensione sarà uguale, se non maggiore,
delle persone lavoratrici.