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Creato da: zeirf il 16/01/2006
Frammenti ai Margini dell'Anima

 

 

Le Athenas [1/2]

Post n°8 pubblicato il 30 Gennaio 2006 da zeirf
 

Quest'opera è stata scritta in una notte (e si vede) per il gruppo teatrale che frequento. L'ho tarata sul gruppo per coinvolgere le attrici, che avevano pochi o nessun ruolo nell'altra commedia.

Alla fine non è stata scelta perché troppo seria... giustamente.


Bar, interno. Luna è seduta ad un tavolo, dietro il bancone c’è il barista. Comparse su un altro tavolo.
Entra Anna, di corsa, poi rallenta fino al bancone.

Anna: «Brrr! Ti si gela il sangue nelle vene, là fuori».
Barista: «Il solito caffé con panna, allora?»
Anna: «Faresti di me una donna soddisfatta».

Luna riconosce la voce e si gira verso il bancone.

Luna: «Mettilo sul mio conto».
Anna (sorpresa): «Luna?»
Luna: «Che ci fai da queste parti?»

Anna si avvicina e si siede al tavolo.

Anna: «Beh! Lavoro qui vicino, vengo sempre in questo bar».
Barista: «In effetti siete entrambe mie affezionate clienti, ma in orari diversi».
Luna: «Beh, sì. Di solito dormo fino a tardi».
Anna: «Quanti anni sono ormai?»
Luna: «Uhm… quattro: ho mollato medicina dopo tre anni. E tu? Hai continuato?»

Anna fa per rispondere ma viene interrotta.

Luna: «E cosa te lo chiedo a fare? Sei la beniamina dei professori!»
Anna: «Non cominciare. Comunque sì: ho continuato. Ora sono ricercatrice».
Luna: «’te pareva! E dimmi… a uomini come va? Ti sei svegliata fuori o sei ancora una studentessa di clausura?»
Anna: «Beh! Vediamo… sono sposata da due anni. William ed io stiamo valutando l’idea di fare un bambino. E tu, invece? Rimbalzi sempre da una storiella all’altra?»
Luna: «E perché no? Piuttosto… dove lavori?
Anna: «Qui alla Gentechnics, dove lavora anche il Dottor Primm».
Luna: «’sti cazzi! Conosco un bel tipo che lavora lì, ma è poco più che un bambino, un tale… Jimmy, Timmy, qualcosa di simile. Un tipetto con un bel fisico e capelli rossi».
Anna (sospettosa): «E tu? Come mai sei qui poco dopo l’alba?»

Entra Gaia, si guarda intorno sospettosa.

Anna: «Gaia! Oggi è la giornata delle sorprese».
Gaia (sempre sospettosa): «Ciao Anna, come stai?»
Anna: «Non c’è male. Questa è Luna, una mia ex-compagna di università».
Gaia (tendendo la mano) «Piacere».
Luna: «Ehi! Bel vestito! Che fai nella vita?»
Gaia (contrariata): «L’assicuratrice, perché?»
Luna: «Boh? Hai una faccia familiare».
Gaia: «Un’impressione: sono in città da poco».

Entra Mara. Anna, Luna e Gaia si girano verso di lei.

Mara (timidamente): «Scusatemi… è questo l’Exceptional Café?»
Anna: «Sì, sì. È questo».
Barista: «Mai visto tante donne qua dentro!»
Gaia: «Ehi! Mara! Che ci fai qui a quest’ora? E Emily?»
Mara: «Oh… ciao Gaia, anche tu qui! Emily sta dormendo, e anche Mark. Se ne occuperà lui al risveglio».
Gaia (sospettosa): «Come stanno?»
Mara (incantata): «Oh! Dovresti vederli! Mark sembra un angelo quando ha Emily in braccio! È un padre stupendo!»
Gaia (non troppo convinta): «Sono contenta per voi… Oh! Scusatemi! Beh! Sì: lei è Mara. Mara, queste sono Anna e…»
Luna: «Luna, piacere. Bel vestito! Beh! Io sto aspettando un vecchio amico…» (guarda l’orologio) «… che è in ritardo. Ci sediamo?»

Anna, Mara e Gaia annuiscono. Tutte e quattro si siedono ad un tavolo. Il barista si avvicina con un blocchetto per gli appunti.

Barista: «Allora? Cosa vi porto?»
Anna: «A me un altro caffé con panna: mi sa che oggi tiriamo tardi in azienda».
Gaia: «A me una cola, in bottiglia. Me la porti chiusa, per favore».
Barista: «Certo».
Mara: «Per me un the con un po’ di latte freddo».
Luna: «Io prendo un Bloody Mary con tanto pepe».

Anna, Gaia e Mara si girano verso Luna e la guardano male. Il barista tiene lo sguardo sul blocchetto.

Barista: «Mi spiace, non facciamo Bloody Mary».
Luna: «Ma non è anche un cocktail bar?»
Barista: «Sì, ma i Bloody Mary non li facciamo: portano sfortuna».
Luna: «Ma…»
Anna (stufa): «Portale un Alexander!»
Barista: «… e un Alexander. Perfetto!»

Il barista se ne va’.

Gaia: «Dimmi un po’, Luna, chi stai aspettando di bello a quest’ora?»
Luna: «Oh! Un vecchio compagno d’avventure. Ve lo presenterò appena arriva: è un tipo affascinante».
Gaia: «Avventure, eh?»
Luna: «Sì! Avventure! Perché? Cos’è che non capisci?»
Gaia: «Ah, no… tranquilla. È che comincio a farmi un’idea».
Mara: «Per favore, possiamo evitare di litigare come vecchie comari? E poi anch’io sto aspettando un amico».
Anna: «E avresti lasciato il marito e la figlia per venire qui di mattina presto a vederti con un uomo?»
Mara (innocentemente): «Beh… sì. Cosa c’è di male? E poi Mark non capirebbe… sapete: è stato il mio primo ragazzo».
Luna: «Uhm… e come si chiama questo stallone?» 

 
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Modellatrice di Pensieri

Post n°7 pubblicato il 29 Gennaio 2006 da zeirf
 
Tag: Poesie

Questa poesia l'ho scritta per il background di uno dei miei personaggi di Dungeons & Dragons. Il personaggio in questione, Ornifer, era una Modellatrice (o Shaper): una categoria di psionici che è per lo più in grado di creare cose dal nulla con la forza della mente.

La poesia è stata scritta da un bardo, Klien Dundragon, che s'era invaghito di lei e che tuttavia non è stato corrisposto.


Bambina notturna, ti piace sognare

Di mondi più strani, di angeli e fate

Ancora una volta ti fermi a pensare

A amori mai spenti, a cose mai date

E su questa terra i tuoi occhi profondi

Modellano l’aria, il legno ed i cuori

Ma quando impaurita in te ti nascondi

Da gente cattiva e dai benefattori

Il cuore mio piange, non vuole vedere

Le lacrime amare che solcano il viso

Il viso che amo, è come cadere

È grande il dolore di un cuore diviso

Unisci il potere di fare ed amare

Vorrei avvicinarmi e nel sonno abbracciarti

Ma hai un fuoco dentro che deve bruciare

Condanna e delizia per chi vuole amarti

 
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Minaku e Ishneéle

Post n°6 pubblicato il 19 Gennaio 2006 da zeirf
 

Questo racconto è stato scritto per colei che all'epoca era la mia ragazza.


Minaku era, o è, o sarà, un essere senza età, figlio della struttura stessa del tempo. Minaku non ha un corpo, e comunque non gli servirebbe a molto nelle profondità in­frarosse dello spazio aperto. È un essere curioso, in entrambe le accezioni del ter­mine. Ama vagabondare tra gli ammassi galattici, godendo in pari misura sia degli oceani di tenebra, sia dei luminosi aggregati a spirale. E gli piace spostarsi nel tempo procedendo a balzi, saltellando d’era in era, oppure lasciandosi trascinare dal suo scorrere, o ancora risalirlo controcorrente fino alla sua fonte infinitesima e densis­sima. Adora rincorrere i raggi di luce, superarli e poi fermarsi ad attenderli.

Ma Minaku è anche un’entità bambina. È impossibile definire l’età di qualcuno che trascende il tempo senza volerlo, senza rendersene neppure conto. Assegnare un numero al tempo trascorso dalla nascita di una cosa che non è mai nata e che vive in tutti gli istanti contemporaneamente è di per sé un assurdo. Ciononostante Minaku è un abitante giovane dell’Universo. Nemmeno lui sa perché, ma è cosciente che la sua esperienza può ancora crescere moltissimo. E, data la vastità illimitata del Cosmo, è probabile che rimarrà bambino per tutta la sua infinita esistenza.

Osservatore giocoso, ascoltatore inflessibile e distratto, Minaku abita da solo. Non esistono altre cose come lui nell’Universo. O, probabilmente, gli altri come lui sono sue istanze future o passate. Oppure esistono altri come lui, ma essi non si possono vedere, come se tutti osservassero l’Universo da dietro una propria finestra. In un modo o nell’altro, Minaku è solo.

Tuttavia ci furono, o ci sono, o ci saranno, un momento e un luogo imprecisabili della sua vita in cui Minaku poté, o può, o potrà dialogare con qualcuno. In uno degli oceani di tenebra fitta, in cui anche le radiazioni ai limiti dello spettro giungono solo raramente, c’è un’enorme sfera ancora più nera. Minaku ne è incuriosito, ne è tal­mente colpito che dimentica ogni altra cosa. La sfera piega e ingoia le traiettorie di tutte le onde che le passano accanto. Ne aveva già viste altre, e ne vedrà ancora, ma questa è la più grande che abbia mai visto o che mai vedrà. Si lascia trascinare dal tempo per quasi sei milioni di anni, osservando e perdendosi nel nero assoluto di quella sfera. Esamina la grazia con cui lo spazio si piega verso il suo interno, e la po­tenza delle invisibili forze di marea che la circondavano.

Infine, dalla propria coscienza, Minaku sorprende sorgere la capacità di comuni­care. Non ne aveva mai avuto necessità, e mai ne avrà, quindi dubita di esserne in grado. E mentre dubita ci riesce.

«Ciao», pensa.

La sfera rimane muta per molto tempo.

Minaku aveva già visto, e vedrà ancora, forme semplicissime di esistenza e di pensiero nell’Universo: complessi galattici che comunicano tra di loro con un sem­plice sistema di segnali luminosi, esseri di radiazione cosmica che si estinguono nell’arco di secondi, fiamme senzienti sulla superficie delle stelle, e una miriade di elementari aggregazioni di molecole attaccate ai loro minuscoli pianeti. Con nessuna di loro è riuscito o mai riuscirà a comunicare. Può percepirne i pensieri, ma non può trasmettere loro i propri.

«Ciao», ripete.

«Chi sei?» È la risposta. Una risposta proveniente non dalla coscienza della sfera, ma da qualcosa al suo interno.

«Minaku, l’Osservatore Bambino».

«Ciao, Minaku, Osservatore Bambino».

«Chi sei?»

«Ishneéle, l’Infante Spettatrice».

«È la volta unica che parlo con qualcuno».

«Per me non l’unica, ma nessuno a lungo quanto te».

«Mai vista, e Mai ti vedrò. Perché?»

«Io abito qui ».

«Cosa significa?»

«Io sono La Stella, La Stella più luminosa».

«È così, ma non irradi luce».

«La mia casa assorbe me stessa».

«Prigione».

«Prigione».

Minaku sente che è così, e scopre di desiderare la luce delLa Stella. Scopre di vo­lere La Stella.

«Ishneéle, Infante Spettatrice?»

«Ti percepisco»

«Voglio vedere La Stella».

«Voglio mostrati La Stella».

«La casa divora una parte di Universo, la parte cui appartieni».

«Sì».

«Puoi distruggere la casa?»

«No».

«Posso distruggere la casa?»

«Sì»

«Come posso distruggere la casa?»

«Attendi»

«Attenderò. La casa si dissiperà liberando la tua luce».

Minaku attende, si lascia trasportare dal tempo. Potrebbe saltare in avanti di se­coli, millenni, ere astronomiche, ma non lo fa. Conosce il significato del verbo “at­tendere”.

Ma non c’è noia nell’attesa. Minaku può finalmente dialogare, e non esiste mera­viglia più grande nell’Universo. Per un’entità che ha già osservato tutto, o che osser­verà tutto, il trasmettere, il dare, è una cosa nuova e bellissima. Il passaggio da osser­vatore a interlocutore lo eccita, lo entusiasma, lo fa sorridere.

Minaku racconta a Ishneéle ciò che ha visto e ciò che vedrà.

Ishneéle ascolta e gli dice ciò che avviene nel suo mondo, all’interno della sfera. Gli racconta di ciò che precipita in essa, e di ciò che in essa si disintegra, e dei fiori di radiazione che sbocciano e muoiono all’interno di essa, e dell’anello tridimensionale di luce imprigionata sull’orizzonte, condannata all’eterna orbita attorno alla sfera.

Fotoni separati da milioni di anni si incontrano nuovamente nelle storie di Ishneéle e Minaku. E questo scambio di informazioni continua e continua ancora, unendo i due mondi ai lati opposti dell’orizzonte degli eventi della sfera. Il dialogo e le storie si intrecciano al tempo stesso.

E Minaku attende, e non se ne vuole più andare. Attende che La Stella esca dal suo guscio di oscure e profonde tenebre. Attende per vedere la sua luce sfolgorante, e si rende conto di averla già intravista nelle storie di Ishneéle.

Ma attende, ancora, ed è felice di farlo.

… with love to my brightest Star

 
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Giorno di Sangue

Post n°5 pubblicato il 16 Gennaio 2006 da zeirf
 
Tag: Haiku

Uno dei primi haiku che ho scritto. Un haiku è una poema epico giapponese la cui caratteristica più evidente è l'essenzialità. E' composto da tre versi, rispettivamente di 5, 7, e acnora 5 sillabe. Nella sezione "Interessevole..." sulla destra, c'è un link dove troverete informazioni migliori.


Giorno di sangue
anche gli dèi piangono
dopo il tramonto

 
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Il Calice d'Inverno

Post n°4 pubblicato il 16 Gennaio 2006 da zeirf
 
Tag: Poesie

Questa poesia è nata al "contrario": prima mi sono venute in mente le parole, o associazioni evocative delle stesse, poi ho dato loro un significato coerente.


Il Calice d'Inverno si è infine colmato di lividi umori

Con gracile grazia la Sacerdotessa giace in pezzi sulla neve

Dal Suo sangue non cresceranno più né gladioli né crisantemi

Il respiro diventa acuminato nella sua forma di ghiaccio

Il Sole è ormai un foro pallido nella cortina del cielo

La sua luce invecchia e muore prima di tangere il suolo,

E su questa coltre imbiancata non arriva che il suo cadavere pallido

Quest'alba sembra l'ultimo tramonto, fatto di effimeri eoni

Sono ancora in piedi, per futile volontà dei muscoli morenti

Reggo ancora la lancia d'osso, forgiata dalla mano di una bimba

Ho ancora la mano sul petto, e canto ancora l'Inno al Dolore

I compagni distrutti, le armi spezzate, l'amore incrinato,

La mente sfibrata, gli occhi nel ghiaccio, la morte distratta

Appello mio Padre, attraverso la Porta di Corno donde vengono i sogni

Appello mio Figlio, attraverso le Sabbie del Tempo a lui così care

Appello il mio Amore, attraverso i Suoi occhi velati di morte

Eccola, un fremere giocoso delle mie membra, La stanno chiamando

Eccola, riflusso di umori in un sacco di carne, Lei si è voltata

Eccola, il freddo mi abbandona, circospetto, tentennante,

Come una iena abbandona la sua preda al leone

Eccola, mi ha visto infine, la tristezza La pervade come sangue

Piangerebbe, se avesse occhi adatti a farlo, ma non può

Mi guarda e basta, con i capelli neri come tenda per il Suo volto

Stringo la lancia per spasmi d'attesa, raddoppio la presa, rilascio lo scudo

Osservo la distanza che ci separa, quattro infiniti passi nel bianco

Mi piego in avanti, e le gambe indurite sembrano spezzarsi

Un passo, il primo dopo ore, un passo per ogni stella del cielo,

Ma ognuno di questi mi costa quanto un firmamento

Sono cieco da tempo, forse da tutta l'eternità, e questo è il mio dono

L'ultimo regalo del mio Amore dagli occhi velati di morte

Spingo la lancia nel Suo corpo, là dove gli uomini hanno il plesso solare

Ella ha scelto, sotto la Pioggia di Sangue aveva già scelto

Le mie dita si spezzano e cadono nel bianco, abbraccio la mia arma

Ella aveva scelto, quando il Vento aveva un significato, già aveva scelto

Cade, le membra ferite si dissolvono in orchidee e fiori d'arancio

Non sento il mio corpo, è offeso dalla mia anima e non vuole parlarle

Le mie ossa congelate sostengono il mio peso contro la mia volontà

Vorrei cadere, dormire sotto il sudario, riposare nella neve

Non posso, mi è negato, ho ucciso chi poteva aiutarmi

La Morte aveva già deciso di scomparire dal mondo,

per una lancia d'osso forgiata da una bimba, impungata da un Diavolo

 
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