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Gilles Villeneuve. L'uomo che inseguiva il vento

Post n°115 pubblicato il 17 Giugno 2009 da chinasky2006
 

 

Foto di chinasky2006

Mio padre aveva la faccia truce, le sopracciglia folte e arcuate. Pensai che avesse litigato con mia madre, o che il vino fosse finito. E invece guardava fisso il televisore in bianco e nero.
Speriamo non rompa un'altra macchina, questo balordo! Ma che aspettano a licenziarlo?”. Guardava le prove del gran premio del Belgio di Formula 1. Un ferrarista forsennato ed ottuso. Possedeva un'utilitaria fiat usata, e si considerava un membro onorario della grande famiglia torinese, quasi un azionista rilevante. Si costernava per le tante macchine che quel canadese strano sfasciava. Le pagava anche lui quelle Ferrari, con la sua 1100 ed il suo stipendio da operaio. Gilles Villeneuve, si chiamava quel “balordo”.
Decisi di uscire appena finito di pranzare. Un sabato pomeriggio di maggio come altri, con addosso la mia maglia del Flamengo, a larghe strisce orizzontali rossonere. Tutta lucida di finto raso asfissiante. Volevo quella meravigliosa del Milan, a striscie strette e verticali, mia madre al mercatino dell'usato aveva trovato solo quella (la squadra del DEMONIO!!!! Aveva obiettato sdegnata, la zia.). Mi pareva di schiattare in quel materiale sintetico. E la tremebonda sensazione del sabato del villaggio addosso. Bambini urlanti, spocchiosi e stupidi. Mi stavano sul cazzo già in prima elementare. Juventini, interisti. E nessuno col coraggio di tifare una squadra di serie B, con la mia fierezza spavalda.
Rientrai, e mio padre smoccolava. “Un'altra ne ha distrutto, un'altra!”. Alla tv raccontavano di un incidente terribile, Gilles Villeneuve era grave. Ma a lui interessava solo la macchina. Da vero uomo Fiat. Poi spense, infastidito da tanto inutile interesse per l'uomo che la guidava. Mi chiesi cosa avessi a che fare con quell'uomo tremendo.
Vi presento questo piccolo canadese, un minuscolo fascio di nervi...”. Così Enzo Ferrari cominciò a presentare Gilles Villeneuve alla stampa. Una scelta azzardata, nient'altro che un promettente ragazzo del Quebec. Velocissimo, irruento ed ancora acerbo, ma con un coraggio fuori dal comune. Ed il grande vecchio aveva una passione viscerale verso simili piloti, sapeva vedere oltre. L'inizio fu problematico, ma impiegò pochi gran premi Gilles, per scaldare il cuore ed accendere l'animo della gente. Mette subito nell'abitacolo tutto quello che ha. Dentro o fuori, spessissimo fuori con la macchina a pezzi, ma senza il rimpianto di doversi ripetere “se avessi osato di più...”. Ed i ferraristi impazziscono, creano il mito del piccolo canadese impavido. Fuori pista, voli tremendi, escursioni volontarie, ruote sul terriccio come l'erba, macchine rese brandelli e ferraglie fumanti, nell'estremo tentativo di spingerla oltre il possibile, di un sorpasso da brivido. L'uomo che domina il mezzo oltre il binario del prevedibile, il calore umano che si ostina a far capire che comanda lui. Sangue caldo in un ragazzo cresciuto nella neve, un altro paradosso. Vince pure, certo, gran premi come piccoli capolavori. Ma la gente lo adora per qualcosa che trascende la banale vittoria. Ci mette poco per guadagnarsi il soprannome di “Aviatore”, per quel vizietto di ritrovarsi spesso per aria, nel tentativo di scavalcare il limite. E' stato il filo dominante della sua carriera, afferrare quel benedetto limite
Nel '79 Jody Scheckter, esperto compagno di squadra, vince il titolo. E lui sembra aver messo la testa a posto, si limita a qualche sporadica dimostrazione di coraggio, vince in Canada, per poi accompagnare l'amico al titolo. Il sudafricano ricambia con preziosi consigli, ne riconosce il talento cristallino, vuole bene a quel ragazzo genuino, con la velocità e la follia sconsiderata nelle vene. Sarà suo amico e confidente per sempre. Jody vince, Gilles si guadagna l'amore dello spettatore, che cerca l'emozione più che un algido titolo. Ne apprezza sempre di più il coraggio, il genio temerario, l'irrazionalità di provare l'impossibile senza paura. Il cuore di chi vede sembra fermarsi e balzare in gola, ad ogni sorpasso impossibile, all'esterno, laddove solo gli dei trovano uno spiraglio. Guida di stomaco e con l'anima quel minuscolo canadese indomito, che a vederlo in piedi non gli daresti due lire. Calata la visiera diventa un gigante. Alla perenne ricerca dell'adorato vento. Lo sfida, lo accarezza, un amore ed odio totale, che annienta tutto. 
Il sudafricano saggio si ritira, a Gilles vengono consegnati i galloni di capitano, non è più un ragazzino del resto. Si sente un po' più solo. Le vittorie sporadiche non bastano più. Qualcuno vuole che riesca anche a vincere il campionato, che mostri segnali di maturità. Ma la Ferrari è un paracarro nervoso. "Se mi vogliono sono così, di certo non posso cambiare. Perchè io, di sentire i cavalli che mi spingono la schiena, ne ho bisogno come l'aria che respiro", dichiara.  Ed non si da per vinto, continua a richiedere e voler sentire quei cavalli impazziti senza risparmiarsi, per un settimo posto come per la vittoria. Sposta il confine dell'uomo sempre un metro più in là. Seguita a passeggiare incurante sul filo del dentro o fuori, avanti o dietro, la vita o la morte. E schizza impazzito come il vento impetuoso, che non puoi fermare con la fredda ragione. Ha la velocità che scorre calda nelle vene e accarezzaa viscere fumanti. Deve uscire e non può reprimerla, come un comune mortale. Non è spregiudicato, obbedisce alle sue leggi. La velocità è un demone nato con lui, tanto su artiginali slitte da neve del Quebec, quanto al volante di una vettura da corsa. Spinge Gilles, spinge. E continua a pattinare sulle ruote, a progettare sorpassi che ti mozzano il fiato, fino a sbattere contro un muro o vincere. Sempre dietro a quel fottutissimo limite che gli traccia il vento. I colleghi ne hanno paura, perchè il piccolo canadese è imprevedibile. In un attimo possono ritrovarselo a destra, a sinistra, o vederlo piombare sulle loro teste. Ma gli vogliono bene. Non c'è cattiveria nelle sue azioni, solo temerarietà genuina e non artefatta. Nei box prova a spiegare agli allibiti addetti ai lavori. Sceso dall'abitacolo, il gigante ritorna uomo minuto e fragile, col sorriso gentile. Lo sguardo da guascone che cede ad una espressione infantile, sempre con quel rigagnolo inspiegabile di malinconia che traspare dagli occhi, come un destino tracciato dagli dei. A qualche cinico, pare solo un pazzo, uno squilibrato che non conosce il pericolo perché non ne è capace. Un incosciente come tanti, che non sa dominarsi, trovare le mezze misure. Perché il vero campione deve essere freddo equilibrio, saper togliere il piede dall'acceleratore quando occorre. Per i più sentimentali, che richiedono emozioni rudi e passionali, quegli scarsi 160 centimetri nascondono un coraggio più grande della paura. Il confine con l'incoscienza è sempre sottilissimo. E Gilles continua a cavalcarlo talvolta con spavalderia strafottente, altre come uno spericolato equilibrista. Sempre sul filo. Il resto non importa.
Rimane nella storia dello sport, il duello magico e brutale con Reneè Arnoux. A Digione, in Francia, si giocano solo il secondo posto. Arnoux lo passa con decisione all'interno, ha una Renault dieci volte più veloce. Ma l'aviatore non si rassegna, rimane appaiato, ruota contro ruota, curva dopo curva, sempre all'esterno. Quel diavolo di canadese fa delle cose sfuggono ai dettami della fisica, a leggi di uomini mediocri, ha un controllo mostruoso del suo destriero rosso. Poi si arrende, Arnoux passa, e allunga. Villeneuve per una volta pare rassegnato alla superiorità del mezzo francese, e si stacca. Un terzo posto non è da buttare, in fondo. Lo sarebbe per tutti. Ma all'improvviso, eccolo ripiombare all'interno. Una scheggia impazzita, la miccia che si accende e gli fa recuperare metri su metri, in una sola staccata furente. Ruote fumanti e bloccate, e passa ancora. Spinge i cavalli del motore con furia, gli chiede di assecondare la sua istintiva irrazionalità, nell'ennesimo tentativo di scavalcare il limite. Altri giri ruota a ruota, in un duello indimenticabile. Sorpassi impossibili, che nessuno sarebbe nemmeno capace di progettare come un'idea. I due se ne fregano del pericolo, del podio, giocano ad un centimetro dallo schianto fatale, con la morte che li scruta negli occhi. Arnoux, anni dopo dichiara. “E' stato un duello pazzesco, facevamo cose incredibili. Più volte ci siamo toccati con le gomme. Ad un certo punto ho anche incrociato i suoi occhi dietro la visiera, mi pareva sorridesse. Non mi sorprenderebbe. Gilles è Gilles, un uomo nato per la velocità.”. Ed alla fine Gilles mette le sue ruote davanti a quelle del francese. I due si abbracciano nei box, come amici che si sono divertiti a sfidare il demone, con fanciullesca leggerezza, quasi fosse cosa normale. Altri tempi. Dove le gare non si vincevano con le soste ai box. Nessuna strategia, nessuno spionaggio.
L'indomito aviatore sbatte, riparte, vola ed alimenta il mito del numero 27 rosso. “Se uno vince con 50 secondi di vantaggio, vince solo la macchina. Ma se lo fai con uno o due secondi, o dopo un sorpasso, lì è l'uomo che conta. Vincessi con 50 secondi o un minuto di vantaggio, non mi sentirei soddisfatto.”. Questo era Gilles. Uno capace di tenersi dietro un trenino di macchine più veloci per giri interi, e vincere. Altre istantanee sgranate. Esce di pista e rimane affossato nella sabbia, con la ruota distrutta. Alza la visiera, nell'atto di uscire, poi si accende la scintilla dell'insano. Testardo come pochi, si agita, rientra in pista in retro marcia e continua la sua corsa contro il mondo. Con una gomma afflosciata. Dai box si affannano, preparano il cambio, gli segnalano di rientrare. Ma lui non ci pensa a perdere tutto quel tempo. Chi gli impedisce di guidare con tre ruote? Quale regola non scritta? Troppo banale. E continua la sua marcia da funambolo. La gomma si usura, rimane sul cerchione luccicante. La sospensione si trascina, pende e lentamente si stacca. E lui cavalca su tre ruote, con le scintille che violentano l'asfalto. Una folle corsa surreale, a sfidare per l'ennesima volta la normalità. Rientra ai box tra gli applausi della gente, in visibilio per quel ragazzo fuori di testa, fuori dai canoni e dalla grazia di un Dio assennato, che proprio non riesce a concepire l'equlibrio. Il genio che nasce dall'ostinazione irrazionale. 
Ancora Gilles sotto la pioggia, in lotta per il podio. Va fuori pista, e rompe il musetto della sua Ferrari. Rientra con l'alettone che traballa, danza beffardo. Manco a dirlo, ai box lo richiamano. Ma lui non li ascolta, nemmeno li vede. "Perché perdere un minuto per cambiare alettone, quando posso guidare anche così? Il motore è intatto, deve obbedire ancora alla mia testa ed al mio piede, cosa c'entra una carenatura distrutta?" Si sarà detto. In una situazione da tregenda mitologica, gli altri, i terrestri, remano sotto la pioggia battente e faticano a rimanere in pista con una vettura normale. Erano gli anni epici, dove le macchine non venivano controllate in modo automatico dai computer. Lontane anni luce dai grotteschi giochi di playstation attuali, con bambocci impostati e senza spirito. Erano i tempi degli uomini veri. Lui, senza l'alettone, unico strumento che poteva garantirgli un minimo di controllo, prende le misure alla nuova situazione. Scoda senza più stabilità. Rischia ad ogni curva, e l'alettone continua a sbattere. Ballonzola irridente, gli toglie anche la visuale, giusto per rendere tutto ancor più impossibile. Controlli mostruosi, una sensibilità mai vista. Che sarà mai per uno abituato a sbandare sul ghiaccio canadese, una vettura impazzita che pattina nell'acqua. Continua tra l'incredulità generale. Il solito pazzo per alcuni, per altri una leggenda. Si scrolla via il muso e procede così per tutta la gara. Sull'asfalto allagato e senza musetto. E va più forte degli altri. E' qualcosa che non si riesce a piegare. Al piccolo aviatore gli si vede l'anima che palpita, nell'abitacolo, sott il casco. Mantiene un terzo posto da leggenda vera. E sul podio è lui a vincere.
Poi l'82. E qualcuno che perde la pazienza. La Ferrari è costruita per vincere. I primi tre gran premi senza nemmeno un punto. Un compagno di squadra meno dotato ma rampante, come Didier Pironi. Sono amici i due. Ad Imola sembra la svolta, due rosse al comando, e dal muretto la raccomandazione di mantenere le posizioni. Troppo importante il risultato di squadra, per rovinare tutto. Gilles è in testa, Gilles ha vinto. Così deve essere. Ma all'improvviso ecco quello che non ti aspetti, il francese non ci pensa due volte e lo sorpassa. L'aviatore crede sia uno scherzo, qualcosa per divertire il pubblico. Cade nel tranello, gioca. Cominciano a passarsi, curva dopo curva, ma alla fine il Pironi fa sul serio e taglia per primo il traguardo. Gilles è furente, lo conducono a forza su un podio dove non avrebbe mai voluto salire. La sua espressione dice tutto, truce ed avvilita. Toglierà il saluto a Pironi. Mai avrebbe pensato ad un simile colpo basso, da un suo amico. Considera ancora le corse come una vicenda tra rudi gentiluomini. La Ferrari tace, non spende una parola in difesa del canadese. E lui la vede come un'altra mancanza di rispetto, la fine di un rapporto. E' un generoso che non concepisce scorrettezze. L'aviatore di tante battaglie, si sente solo, accerchiato, senza la fiducia ed il calore che lo spingeva oltre il limite. Non riesce a spiegarsi di come nessuno lo abbia protetto da uno sgarbo così evidente e vigliacco. Ancora una volta è l'amico Jody Scheckter a venirgli incontro, prova a tranquillizzare quel cavallo matto e selvaggio. L'idea di un divorzio a fine stagione con la rossa, pare evidente.
Ma non c'è tempo per pensarci, una settimana dopo eccolo sul circuito belga di Zolder, nelle prove ufficiali. “Gilles non era tranquillo, era teso, non riusciva a non pensare a quello che era accaduto qualche giorno prima”, riferirà Jody. Si sentiva solo nel box, tornato improvvvisamente triste, fragile, anche nell'abitacolo con un volante in mano. Solo con l'amico vento, da provare sfidare ancora una volta. Quello stesso sabato di maggio in cui giocavo con la maglia del Flamengo-Milan, Gilles rema nelle retrovie. L'odiato Peroni invece vola, è nelle prime posizioni. Non può accettarlo. Rientra rabbiosamente ai box, mancano pochi minuti alla fine. Vuole tentare un ultimo giro disperato, uno dei suoi azzardi all'ultimo respiro. Si ributta in pista, spinge più che può. Davanti a lui, dietro la curva, procede lento il belga Mass. Si accorge di quella furia rossa negli specchietti, e si sposta leggermente a sinistra. Distrazione o fatalità, Gilles non lo vede, lo colpisce in pieno. Un rumore freddo e cupo, sordo e raggelante. La rossa col numero 27 lo centra in modo brutale, si schianta, s'impenna incontrollabile, si ribalta impazzita. Ricade violenta sull'asfalto, distrutta e fumante. E il piccolo aviatore sbattuto via, fluttua verso l'ultimo viaggio nel vento, nel folle tentativo di riacciuffarlo per l'ultima volta. Il suo corpo inerme percorre in aria tutta la pista. Leggero, e poi afflosciato, ricadendo pesante e senza vita contro le reti metalliche. Un ultimo volo spericolato, violento e crudele.
E' morto subito, l'impavido eroe. In un disegno romantico, forse il suo cuore si è fermato nel mezzo di quel volo terribile e disperato. Nel vento. Amico, crudele avversario e complice fino alla fine.

Che poi, forse, bastava metterci il video.
"Se è vero che la vita di un uomo è come un film, ho avuto il privilegio di essere la comparsa, lo sceneggiatore, l'attore protagonista, ed il regista del mio modo di vivere.". Gilles Villeneuve.

 
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