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Billie Jean. Michael Jackson, in morte di un alieno surreale

Post n°116 pubblicato il 27 Giugno 2009 da chinasky2006
 

 

Un sabato mattina come altri. Alla perenne ricerca di un nulla fatto bene. Assecondo i postumi di una sbronza (nemmeno tanto violenta). Una notte passata a bere con calma, ubriachezza premeditata. Quella che ti porta all'ergastolo, invece che alla normale dannazione. Così mi spiegava un vecchio pazzo. Perché non leggere un libro? Obietterebbe qualche sprovveduto. Perché non sono buono per i libri. La maggior parte (tutti) mi provocano fastidiosissimi torpori intestinali. Al limite li scrivo e li getto nella monnezza assieme alle cicche. Qualche intellettuale-mangia libri, inorridirà. Riguardo Connors-Krickstein '91 su videocassetta (esistono ancora le videocassette), poi un documentario sul ferocissimo diavolo della tazmania, e ancora un buffo semiporno con sfumature di comicità assoluta. La bionda c'aveva una mappazza di peli pubici nerissima e tremenda. La foresta dell'amazzonia prima del disboscamento “civile”. E poi le labbra su un volto gradevole. Labbra sottili, mai viste così sottili dal 1987. Un'aspirante starlette oggi se le gonfia, che diamine. Potere del progresso. Poi altre trasmissioni surreali, lezioni di fisica nucleare, storia dell'arte, “I Jefferson”. C'é chi ancora trasmette i Jefferson? E qualcuno li ha mai visti? Fantastici. Wizzie e George, arricchiti neri che ce l'hanno fatta a diventare ricchi dopo la miseria del ghetto, e sberleffano i bianchi e la miseria. I loro vicini di casa, una coppia mista, coi figli simpaticamente bollati come “zebre”. E giù che scatta l'applauso registrato per le battute rutilanti. Curioso come questo metodo non lo abbia ancora utilizzato il tg1 per le interviste al messia.
La mia mente sbronza vomita un parallelo allucinato: Michael Jackson. Pure lui era un nero che ce l'aveva fatta. Partorisce l'album più venduto della storia, soldi a grappoli, trigliardi di milioni, concerti, e poi dischi sempre meno ispirati. Ieri è morto nel goffo e patetico tentativo di rimettersi in piedi. Imbottito di farmaci per allenarsi e reggere il peso di un tour, che doveva servire a ripianare i debiti. Mi accorgo di non avere nemmeno una sua canzone, ho il pc intasato di musica, ma non ho nemmeno una sua canzone. Eppure “Thriller” mi garbava parecchio, “Beat it” e “Billie Jean” le cantavo da piccolo, ed erano dei gran bei pezzi, impreziositi dalla chitarra fumante (ma anche sprecata) di Eddie Van Halen. Ma al di là delle evidenze, provo a spiegarmi delle cose. Micheal Jackson aveva sfondato. Uno dei pochi a farsi apprezzare dai bianchi, aveva sdoganato il soul con contaminazioni pop originali (certo, discutibili), ma aveva messo d'accordo tutti. Ha fatto con la musica quello che 25 anni dopo è riuscito ad Obama. Poi qualcosa è successo nella sua mente. Da pluri miliardario nero che aveva dimostrato l'inutilità di categorie e sette sociali e musicali, ha deciso di diventare bianco. Si è lasciato prendere la mano. Bizzarrie eccentriche, di una mente chiaramente disagiata. Certe volte pensavo non esistesse nemmeno, che fosse un'invenzione dei media.
Il processo schiarente, la camera iperbarica per guadagnarsi l'immortalità biologica, la fobia della morte e dell'invecchiamento del corpo, operazioni di chirurgia estetica in serie, per estirpare completamente le sue radici afro-americane. Lui che come nessuno, quelle radici le aveva fatte accettare. Paradossi di un uomo con gravissimi problemi stipati nella mente. Le operazioni lo rendono un grottesco fantasma efebico e plastificato, alieno delicato come porcellana, un alito di vento o qualche virus fluttuante nell'aria, può ammazzarlo. E poi dischi disutibili ed inascoltabili, wonderland, i bambini, i giochi, i processi per pedofilia, giudici (corrotti o meno) che lo assolvono, matrimoni bluff in serie, e i soldi che spariscono, debiti che si accavallano. Quello dell'album più venduto al mondo e dei trigliardi, la macchina per fare il grano, ridotto ad accumulare debiti mostruosi. Diviene personaggio surreale, la crudele caricatura di se stesso. Schiavo dell'epiteto di eterno Peter Pan, la cui mente non è mai cresciuta. E' morto mentre provava a rientrare in scena, oramai ridotto ad uno scheletro, col corpo costruito in laboratorio che rischiava di sbriciolarsi. Questo è, riposi in pace, almeno adesso. “La morte ti fa bella” con la sua estrema ipocrisia, contribuirà a crearne una leggenda, ed io continuo a pensare che forse non sia mai esistito sul serio. E adesso mi rendo conto che una canzone nel pc ce l'ho. Una cover, che ne impreziosisce la bellezza originale.

 

 

 
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