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In the death car

 

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SIMONCELLI, FLYING IN THE SKY

Post n°203 pubblicato il 24 Ottobre 2011 da chinasky2006
 

Foto di chinasky2006


Qualche giro visto così, mentre si addenta un frugale pranzo domenicale o sorseggiando un bel caffè prima che incombente ed oziosa, la sonnolenza post sabato del villaggio ti porti via. Non mi eccita come un tempo quel rombare pazzo, due o quattro ruote. Non ci trovo più l'ardimentosa poesia degli uomini eroici, palpabile nel recente passato. Lo sport in generale vive una fase di orrendo progresso che appiattisce tutto. Omologa i talenti, svilisce l’uomo di fronte allo strumento. Una racchetta, ma anche le moto, divenute macchine obbligate a correre su binari prestabiliti. Le gomme sono dure e ingestibili, tanto per consentire l’ulteriore appiattimento di talento, sfavorendo l’abilità estrema di chi era capace di emergere negli ultimi giri, coi pneumatici a pezzi o simili a chewingum. Ora sono dure, fredde, rendono tutti un po’ uguali, meno umani e sicuri del proprio polso. Sprazzi d’avanguardia tecnologica imposti dal progresso e dagli stessi piloti, meccanici e ingegneri, per inseguire il limite. E se da quel binario vuoi umanamente fuggire, non ci riesci. Semplicemente, drammaticamente. E’ stata quella la sensazione che mi ha colto vedendo il tragico incidente in cui ha perso la vita ieri Marco Simoncelli. Oltre all’innegabile, tragica, fatalità, ed un ragazzo di 24 anni che se ne va così. 
Diventa tutto innaturale, impossibile. Guardi le immagini e non riesci a capire. Il pilota italiano invece di scivolare via, rimane aggrappato ad un mezzo che continua la sua folle corsa mortale verso l'interno, prima d’esser centrata in un tremendo schianto dai due inseguitori. Il rispetto per una morte così violenta ed inattesa, impedisce che se ne parli. Ma nei prossimi giorni fioccheranno teorie e rimostranze sull’accaduto. Si parlerà forse dell’elettronica esageratamente dominante, di gomme ingestibili. Qualcuno, come avvenne dopo la tragedia di Imola in cui scomparve Ayrton Senna, parlerà di sicurezza. Forse si dirà che migliorare le protezioni delle piste e delle tute conta poco, se mettono nelle mani dei piloti dei destrieri tecnologici soggetti a tilt che non possono gestire.
Ma ci sarà anche chi si soffermerà sulla sola fatalità. Quella moto che innaturalmente s’avvinghia all’asfalto procedendo verso l’interno curva, invece che scappare all’esterno. Della beffa d’esser colpito dal suo amico storico, idolo d’infanzia, maestro di corse e moine, Valentino Rossi. La fatalità ha un peso enorme in ogni episodio della nostra vita. Figurarsi in una pista dove una ventina di ragazzi sfrecciano a 300 km/h su due ruote. Ci si soffermerà ancora sul dolore, che tira sempre. Come un maledetto reality tremendamente vero. Dove le lacrime sono reali, quelle del padre e della giovane ragazza, appresa la notizia. Mette davvero una grande tristezza, tutto. Compreso quel barbuto inviato che piangente ne dà la notizia in diretta, vero come nient’altro. Ingiusto come le cose più morbosamente crudeli, rimandare quelle immagini.
A memoria d’uomo è forse la tragedia sportiva che più ha colpito al cuore l’opinione pubblica, i cittadini tutti ed i tifosi. Me, povero sciocco, in primis. Te ne rendi conto, aprendo un qualsiasi sito sportivo. Anche in quella Spagna spesso ostile al boccoluto e dinoccolato ragazzone romagnolo. Succede, inevitabilmente, ogni volta che se ne va uno sportivo e lo fa in maniera così tragica e violenta. Un po’ ti senti di conoscerlo da sempre, anche se non sapevi chi era, non conoscevi la sua vita. Lo sport rende immortali eroi dei ragazzi. Che rimangono ragazzi coraggiosi, gioiscono, soffrono e muoiono, quasi da eroi. Perché così vogliamo immaginarli.
Tra eroismo e progresso, questi mitologici personaggi metà uomini e metà moto, continuano a sfidare vento, velocità e morte, come fosse cosa naturale. Ce lo hanno nel sangue e bolle nelle loro vene, l’amore per il limite. In questo sport meno umano e più elettronico, Simoncelli piaceva per il suo essere diverso. Per quell’aria scanzonata e un po’ bambina, il casco di capelli ribelli che rimandava ai tempi ruggenti dei motori anni ‘70, quei lineamenti del volto infantili e smussati e l’intercalare romagnolo che rende simpatico tutto. Sembrava quasi vivesse una sua gentile realtà parallela, con disincanto fanciullesco. Un Peter Pan incurante nato per scompigliare un mondo diventato ormai sterile, nevroticamente ingessato.
Quel Peter Pan si trasformava in cagnaccio ruvido una volta in pista. Quasi nessuno riusciva a comprendere quel ragazzone con un pagliaio dorato in testa, che viveva la sua realtà differente. Abbrancava il limite imposto dal rischio col sorriso ed una disinvoltura esuberante tale da non poter essere accettata da tutti. Specie dai mamma santissima del mondiale. Quelli che vedono la normalità elettronica da playstation come regola di vita, da dover salvaguardare dal diverso mascherato d'imprevedibile. Un sorpasso all’esterno o una manovra al limite dell’impossibile, del tutto inutile, forzata, irrazionale. Bisognava pensare, avere pazienza. Attendere un altro giro. Doveva fare così. Il buon pilota maturo che pensa al futuro, fa così. Simoncelli, e forse anche per questo era uno che piaceva,  non pensava, non aveva malizia. Azzardava, ma senza nessuna scorrettezza da dover essere punita, malgrado stizzite proteste degli avversari. Grezzo, acerbo, dicevano gli addetti ai lavori. A Montezemolo ricordava Gilles Villeneuve. Parallelo azzardato, ma condivisibile, per assurdo. Al piccolo aviatore canadese lo lega lo stesso folle desiderio di superare il limite. Temerarietà o follia, forse. La stessa pazzia che deve accompagnare chi decide di voler raggiungere il vento, di mestiere. Ed ora li lega anche la tragica fine.
Uno spagnolo ingrugnito e con la faccia che sembra un’albicocca incazzata in una pubblica conferenza stampa gli diede del pazzo. Chiunque sarebbe sceso nella dialettica della guerra, ma lui incassa, sbianca come un bambino sgridato dal babbo, scuote il capo e penserà “diobo'!”, senza alcun retropensiero. Ecco, è quell’immagine che ricorderò del pilota italiano, assieme ad un sorpasso all’esterno o a quella che ho messo lì sopra, dove sembra accarezzare il vento dolce. 

 
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