Mi alzai. Tossii. Mi venne un conato di vomito. Mi infilai lentamente i vestiti. "Mi fai sentire uno zero", le dissi. "Non posso essere così tremendo! devo avere anche qualche lato buono!". Finii di vestirmi. Andai in bagno e mi buttai un po' d'acqua sulla faccia, mi pettinai. Se solo potessi pettinarmi anche la faccia, pensai, ma è impossibile.
Quotidiani deliri e farneticazioni di un povero stronzo. Tutto ciò che leggerete è chiaramente frutto della più fantasiosa irrealtà allegorica di chi scrive. E' ben evidente come simili nefandezze non potrebbero esistere nel mondo reale.
Chi vuole farsi del male leggendo anche di Tennis, trattato nella grigia stanza di un centro d'igiene mentale, mi trova anche qui: TENNIS E PSICHE
Giovane, bella. Ricca, famosa, contesa ed ammirata. Lucy Gordon morì qualche mese fa, probabilmente suicida. Chissà cosa si muoveva nella testa di quella ragazza dal corpo così attraentemente sciatto ed incurante. Pareva di vedere Kurt Cobain, versione femminile. Raramente riesco a notare simili dettagli in una foto. Lineamenti dolci, tante lentiggini sottopelle, e poi gli occhi. Parlavano quegli occhi, trasmettevano un fluido invisibile. Bellissimi e spenti. Profondi e senza vita. Nascondevano un segreto drammatico, che puoi solo intuire, ma non riesci a toccare. Non avevo mai visto un suo film, mi ripromisi di farlo. Ho organizzato una nottatina niente male. Master 1000 di Montreal e poi un film al pc, “le poupèes russes”, con Lucy Gordon, appunto. Assistito impotente all'ennesimo suicidio (sportivo) di Marat, è toccato al film. Lei se n'era andata al sonno, dopo aver pronunciato delle parole crudeli: “Ma ti ecciti col tennis? Secondo me sei una specie di feticista.”. Il film, intendiamoci, non è niente di che. Un giovane aspirante scrittore problematico e svitato, si dibatte tra storie e ragazze, senza che capisca in quale anfratto si nasconda l'amore. Banale, scontato, ed anche un po' sciocco. “Ma hai scelto questo film perhè vuoi farmi capire qualcosa?” ha continuato lei. “No, non sono pavido a tal punto...”. Le ho risposto. “Ti rivedi in lui?”. “Ma io sono più presentabile fisicamente, andiamo...”. Il film scorre via, in modo gradevole e mortifero. Come una commediucola americana, partita con le premesse di un film di nicchia, intimistico e francese. E Lucy Gordon appare quasi solo alla fine. Per qualche scena. In una parte che dire sprecata, sarebbe poco. Interpreta una modella strafiga, famosa e senza cervello. L'idea di aver sbagliato film, o che Lucy non abbia mai avuto registi che ne sfruttassero quell'espressione dannata negli occhi, s'insinua crudelmente. La scena migliore del film è questa:
Una cascata di capelli lucenti e fluidi come magia palpabile, che sbattono inquieti e lisci. Avanza spavalda, una sfrontatezza baciata dai raggi del sole e smossa da possente vento immaginario. Il passo sicuro, elegante e leggiadro. Gambe sinuose, lisce, lucide ed accecanti. Abbagliate dal sole, si muovono sotto una gonnellina svolazzante, in sincrono con lo sbattere impetuoso della chioma. Quelle gambe camminano, ma sembra stiano scopando l'asfalto. E' una cosa che avevo già scritto, e che ho rivisto in un film. Succede. E non posso nemmeno citarli per plagio. E il protagonista scopre il quarto mistero di fatima, immaginandole. A me, al limite, avrebbe provocato un'erezione. S'erano fatte le 5,30. Ho fatto un caffè. Sono bravo a fare il caffè. Ho scoperto di avere questo talento. E' già un passo avanti. “Ma come lo fai?”. M'ha chiesto con lo sguardo innamorato (del caffè). Ci vuole un talento naturale. Saper scegliere la giusta dose, calcolare l'acqua necessaria. Il segreto sta nel farla fuoriuscire un filo dal filtro. E poi tantissimo caffè, una montagna enorme. Ma il vero tocco di classe, consiste nello scavare col manico del cucchiaino una buchetta sul cucuzzolo, rendendo la montagna una specie di vulcano eruttante. Basta un goccio d'acqua in più, un po' di caffè in meno, che si sbaglia tutto. Vien fuori brodaglia yankee o ciofeca turca imbevibile. E la cosa gustosa, è che non tutte le moke vanno trattate allo stesso modo. Sono come le donne, le moke. Bisogna trattarle in modo diverso, scoprirne i segreti, saperle maneggiare con cura. Calcolare le dosi con cautela. Lo abbiamo bevuto, e lei sempre più innamorata, mi ha baciato. Felice di aver passato la notte assieme ad uno con tanto talento, per fare il caffè.