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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Post n°758 pubblicato il 08 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
La Bella Mano di Giusto de' Conti XLII Ben puoi la voglia altera, e il cuor feroce, Perché di me pietà mai non ti pieghi, Tener, dolce mia pena, et nei miei prieghi, Chiuder le orecchie alla tremante voce. Ben puoi con quella Man tenermi in croce, Onde sì spesso il dì mi prendi et leghi, Et quei begli occhi schifi, ove tu spieghi El foco del disio, che ognor mi cuoce. Ma non che viva viva tua sembianza Nel cor non porti sempre e 'l dolce umile Mirar vezzoso e 'l riso et le parole. Hor se da te s'attende, alma gentile, Mia pace mia salute et mia speranza, Ben sei crudel se di me non ti duole. XLIII Di selva in selva, alla stagion più acerba, Solo seguendo una selvagia fera, Alfin la giunsi là, dove la sera Pascer soleva tra i fioretti et l'erba: Parea sua vista sì cruda e superba, Et contro amor del mio languir sì altera Ch'io abandonai l'impresa, lasso, ch'era Condotta al fin che il bel piacer ne serba. Questo sì forte al mio Signor dispiacque, Che come spesso già per me l'assalse, Et mosso da pietà pregar solea; Così quasi sdegnando poi si tacque, Né per mio scampo poscia mai più valse Gridar mercede alla mia morte rea. XLIV L'alta beltà, che me dipinse Amore In mezo il cuor con sì pungente stile, Sì come per natura ella è gentile, Così piatoso avesse il duro core. Di tanta alteza et del mio gran dolore Io farei fede in più leggiadro stile, Perché mia vita ad opra più sottile Insieme ordita avrei col gran valore. Ma bench'io parli ognior d'ira et d'affanno, Stato non è quanto che il mio felice, Né in ciel ch'io creda già, né qui, né altrove. Che l'eccellentie che abagliato m'hanno, Essendo in terra lei sola Fenice, Ippolito arder ponno non che Giove. XLV Le bionde trecce, il riso et le parole, Et le maniere elette Fur l'arco et le saette, Che m'han passato il cor, come Amor vuole. La bella man che per virtù d'amore Rinfresca al petto mio l'antica piaga, Ond'io languisco sempre, è fatta vaga Della mia morte, et del mio gran dolore. Sfidando di speranza il tristo core, Ahi lasso me dolente, Che l'affannata mente Non fa che voglia, et meco pur si duole. XLVI È questa quella man, che già tanti anni All'amoroso nodo mi distrinse? È questo il laccio, dove Amor m'avinse Per forza, per destino, et per inganni? Questa è colei che sì soavi affanni Mille fiate et più, mi risospinse; Et viva Amor nel cor me la dipinse Ai gesti, alle maniere, al viso, ai panni. Benedette le lacrime leggiadre, Che tante per te verso, et quella stella, Che già mi fe' di te servo fedele: Benedetto sia il seme et quella madre, Che rivestì del suo cosa sì bella, Ben che mi sia a gran torto sì crudele. XLVII Madonna, del mio petto il bel sembiante, Ove a tuo nome già il dipinse Amore, Fia spento, quando al cor l'usato ardore, A gli occhi mancheran lacrime tante. Scolpita viva viva in un diamante Ti serbo d'ogni tempo in mezo 'l core: Né ria fortuna avrà mai tal valore Che notte et giorno non mi sii davante. Et benché ti mostrassi ognor sì cruda, La dolce fiamma del voler gentile Non spense mai l'oscura tua sembianza; Ma 'nanzi che questi occhi morte chiuda Conoscerai nel mio debile stile A quanto bene alzasti mia speranza. XLVIII Alta speranza dell'afflitta mente Prima che a morte mi conduca Amore, Trammi una volta di sì lungo ardore Ove dì et notte avampa il cor dolente. Natura, e il tuo costume non consente In tanta crudeltà nutrire il core, Aiuta il servo tuo, che amando more Sì che li segni della morte sente. Se il ciel cortese et sopra ogni altra bella T'ha fatta, e il tuo destin d'ogni virtute Ti colma sì che affonda la bilancia, Et se consentimento è di mia stella Che da te sola io speri mia salute, Perché non mi soccorri, o mia speranza? XLIX Sia dunque benedetto il primo inganno, Onde mi prese sì, che ancor mi tene Amor ferito a morte, et l'alta spene, Che volse la mia vita a tanto affanno: Et le faville accese, che mi stanno A mille a mille sparte in fra le vene: Et l'ora, ch'io scopersi tanto bene Per gli occhi, che dì et notte dir mi fanno. Sia benedetto l'amoroso lampo, Che mi percosse d'un soave ardore, Il dì, che io vidi il bel sembiante umano. Sia benedetto quando per mio scampo Corsi fuggendo il caldo d'altro amore, Alla dolce ombra della bella mano. L Qualunque per Amor giamai sospire, Fermato di seguir cosa mortale, In me si specchi, et pensi se al mio male Si vide al mondo mai simil martire. Per fedelmente amare et ben servire Son posto in croce, et lamentar non vale; Come tu vedi son tornato a tale, Che mille morti Amor mi fa sentire. Costei, di cui mi lagno, con sua mano m'aperse il petto, et prese il freddo core Che a lei mercede ancora, et morte chiama. O tu, che leggi, pensa quanto istrano Altrui debbe parer, quando pur more Per quella mano istessa che tanto ama. Giusto de' Conti La Bella Mano |
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