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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Piccola biblioteca romanesca (I miei libri in dialetto romanesco)
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Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)
Centoventi sonetti in dialetto romanesco (di Luigi Ferretti)
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I trovatori (Dalla Prefazione di "Poesie italiane inedite di Dugento Autori" dall'origine della lingua infino al Secolo Decimosettimo raccolte e illustrate da Francesco Trucchi socio di varie Accademie, Volume 1, Prato, Per Ranieri Guasti, 1847)
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Rime inedite del Cinquecento (di vari autori)
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Post n°781 pubblicato il 11 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
La Bella Mano di Giusto de' Conti LXI Non porrà mai con tutta sua durezza. Questa selvaggia, o con più rea sembianza, Levar dal petto mio l'alta speranza Che già fermata è sì, che nulla apprezza. Ben può suo sdegno insieme et sua vaghezza Disfar di me quel poco che ne avanza; E il resto di mie spoglie in la bilanza Tener tra vita et morte in tanta asprezza. Ma per ritrarmi dall'ardente laccio, Indarno ver di me si mostra dura, Da tal benigna stella vien mia sorte. Dico l'errante fera, che ognior caccio, Leggera et sciolta sì che nulla cura, Di sua beltà superba et di mia morte. Solo fra l'onde senza remi o sarte, A meza notte priva d'ogni luce, Mi trovo in picciol legno, et è mio duce Errore et Caso, non Ragione et Arte. Quando io son combattuto d'ogni parte Un nuvol di sospir, che mi conduce Vicino al mortal passo, al cor m'adduce Cagion, ch'io mi lamenti in mille carte. Et più pavento allor, ch'io mi ricordo Che, stando dentro al legno ben non veggio Come fortuna intorno mi minaccia. Il mio fido soccorso è fatto sordo, Morta è pietà per me dove la chieggio, Chiuse ha mia speme le pietose braccia. Deh torci gli occhi dallo soperchio lume, Anima dolorosa, che due stelle Ti par la vista, che ti mena al fine, Et pensa chi vien tosto omai la sera; Sì che io già sento rinforzar gli venti, Et la fortuna infin dentro del porto. Ben fora tempo omai ridursi in porto, Ch'io veggio intorno già sparito il lume, Et al mio navigar turbati i venti: Et le tranquille mie due care stelle Mi stan celate in tutto, da la sera Ch'io vidi al viver mio sì pronto il fine. Di quinci lasso di mia vita il fine, Quindi si mostra al mio soccorso il porto, Et al pigliar consiglio vien la sera: Ma sì m'abbaglia un dispietato lume, Ch'io sprezo il segno di mie fide stelle, Et la salute mia commetto ai venti. Se mai s'acquetan gli turbati venti, Sì che, venendo la tempesta al fine, All'orizzonte sorgan le mie stelle, Io scamperò fuggendo in qualche porto, Nanzi ch'un'altra volta il maggior lume Trapassi il monte, et torni l'altra sera. Ma pria mi giugnerà l'ultima sera, Che mai levar dall'Ostro senta i venti Per isgombrare il ciel nanzi al bel lume: Et prima Amor trasporterammi al fine, Ch'io volga vela per ritrarme in porto, Durando il corso delle crude stelle. Se tanto a me nimiche son le stelle, Che voglion ch'io sospir mattino et sera Su l'onde errando et mai no arrivi a porto, Movansi d'ogni parte tutti i venti, Sì che una volta veggia trarmi al fine Per non veder per gli occhi mai più lume. Leggiadro et vago lume di mie stelle Scorgimi a miglior fine innanzi sera Con più suavi venti in qualche porto. LXIV Fra scogli in alto mar, pien di disdegno, Colma ho la vela; e il sol già si nasconde; Et solo mi ritrovo, et non so donde Conforto aspetti omai per mio sostegno, Non veggio lume in porto o stella o segno, Non luna che le corna aggia ritonde, Ma tenebrose nebbie, et turbide onde, Et giunto al duro fin mio stanco legno. In tanto, di me dubbio, disperando Scorgo il maggior periglio, et lì m'avento Per venir tosto all'ultimo sospiro; Ma lei, che d'ogni ben mi tiene in bando, Sostien ch'io non perisca in tanto stento, Perché sia sempiterno il mio martiro. LXV Se l'alma non s'accorge dell'inganni, Non posso lungamente omai soffrire: Smarrita è l'arte, et manco vien l'ardire, Et la ragione è morta tra gli affanni. La guerra è lunga et crudel troppo, et gli anni Men freschi, stanchi sotto il gran martire: La spene m'abbandona, e il gran disire Sempre più ardente trovo né miei danni. Il cor che né sue imprese tante volte Quante ne ardisce, è vinto da costei, Talor si sdegna, et pur meco s'adira. Così mi vivo, et non è chi m'ascolte Dè miei pensier, che tutti son di lei: Onde la mente a doppio ne sospira. Giusto de' Conti La Bella Mano |
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