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Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Post n°844 pubblicato il 17 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918) Amor, che vincer puote animo invitto. Poi ch'ha ne' suoi begli occhi il seggio e 'l nido Onde fa scorno Etruria a Cipro, a Gnido Così nel petto mio ferendo ha scritto. Lucretia, per cui l'arbia il letto ha d'oro, Con sue bellezze in terra uniche e sole, Superbe al carro mio spoglie ministra. Ella, che ornato il crin d'eterno alloro Riluce intorno al paragon del sole, È di sacra virtù figlia e ministra. [2 Di Diomede Borghesi] Di Diomede Borghese Svegliato Intronato. Al signor Borso Argenti.
Argenti, che d'onor fregiato, e vago Di viver dopo morte, al senso imperi E i sacri d'Elicona erti sentieri Scorri con l'intelletto altero e vago, Deh forma poetando eterna imago Di lei, ch'umilia i cor' selvaggi e fieri, E potrìa serenar cento emisferi Col sol ch'ha ne la fronte illustre e vaga. Nova Lucretia, che con puro oggetto Ben par che tanto lampeggiando s'erga Che talor Febo ne riceva ingiuria. Ne l'onorato suo candido petto Pellegrine virtù cortese alberga, Che fan superba a meraviglia Etruria. [3 Di Diomede Borghesi]
Già sette lustri neghittosa, oscura, Nel carcere mortal dormito ha l'alma, Or la risveglia e sprona illustre ed alma Beltà, ch'ogni altra più famosa oscura. Nova Lucretia, che sol brama e cura D'acquistar ben oprando alloro e palma, M'erge, sottratto a miserabil salma A la superna providenza e cura. Nel mirar gli occhi avventurosi, alteri, Onda mi sembra un Mongibello il core, In grembo a la virtù m'affino e tergo. Per lor che fiano eterna esca d'Amore Avviene a gran ragion ch'io crida, e speri Lasciar più cigni glorïosi a tergo. [3 Di Diomede Borghesi] In questo sonetto, nel quale si toccano delle opinioni Platoniche, si mostra quanto sia utile, e quanto onore sia risultato e risulti all'autore dell'avere conosciuto l'eccellenza delle bellezze della divina signora Lucrezia Senese. Et l'aver tolto affettuosamente a servirla et a venerala. [4 Di Diomede Borghesi]
All'eccellentissima signora donna Marfisa d'Este Cibo.
Né lungo l'arbia mia, nobil, gioconda, Né di Brenta sui campi, o d'Adria in seno, Né sul felice, illustre, almo terreno, Che 'l sacro Tebro riverente innonda, Né d'Arno in su l'aprica, altera sponda, Né vicina al Sebeto, a l'ambro ameno, Né presso a l'umil Serchio, al picciol Reno, Né dove più d'onor l'adige abbonda, Né di Taro a le rive ornate e chiare, Né dove corre la tranquilla Secchia, Né dove il Mincio si trasforma in lago, Vera bellezza in alcun volto appare Quanto nel viso tuo leggiadro e vago, Nel qual meravigliando il Po si specchia. [5 Di Diomede Borghesi]
Quand'io presi a cantar superba, altera Donna, che 'l cor mi strinse e 'l fianco aperse, E l'alma accesa in grave doglia immerse Sovra il corso mortal rigida e fiera, Mi parve amica a l'honorata schiera Ch'altrui lodando in rime ornate e terse, Che non saran giamai di Lete asperse La sua propria virtù conserva intiera. Ma poi ch'a certa prova io veggio e scorgo Ch'ella schernisce chi scorrendo il giogo Va di Parnaso, e d'alta gloria è vago, Spenta l'indegna arsura, e rotto il giogo Questi versi a Vulcan dispenso e porgo Ch'han d'ombra di beltà formata imago. [5 Di Diomede Borghesi] L'autore prese a servire et a celebrare donna, la quale in principio mostrando di prendere in sommo grado d'esser cantata da lui, a poco, a poco li diede a divedere ch'essa non pregiava punto i suoi componimenti. Intendendo egli finalmente per lettere di suoi amici ch'ella indegnamente biasimandolo e schernendolo cercava d'avvilirlo, pien di nobile sdegno diede al fuoco tutte quelle rime, nelle quali era con eccellenti lode non volgarmente esaltata la ingratissima femmina. [6 Di Diomede Borghesi]
Diserte rive, alpestri monti e rupi, Piagge disabitate e colli incolti, Solitarie campagne e boschi folti, Riposte valli, ed antri ombrosi e cupi, Orsi, tigri, leon(i), serpenti e lupi, Squamosi pesci, augei liberi e sciolti, Notte che forse il mio lamento ascolti, Mentre la terra e il mar co' l'ombre occupi. Erbe, fior, dumi, fonti, arbori e pietre, Fauni, Oreadi, Amadriadi e Glauco e Dori, Zeffiro e Cintia ad oltraggiarmi avvezza, S'a voi cal' de' miei gravi, alti dolori, Pregote, Amor, che pur m'ancide, o spetre Del vivo scoglio mio l'aspra durezza. [7 Di Diomede Borghesi] Poiché repente un generoso sdegno, Amor, malgrado tuo, disciolse il nodo, Ond'io legato in doloroso modo Ebbi me stesso alcuna volta a sdegno, Fuor del tuo nequitoso, ingiusto regno, In dolce libertà lieto mi godo E l'ora e la stagion ringrazio e lodo Ch'io fui sottratto a l'aspro giogo indegno. Donna vil, che rabbiosa orsa crudele Nel cor simigli, e qual Medusa .... Col guardo in pietra i semplicetti amanti, Non sarà più cagion ch'aspre querele Io sparga al vento fra sospiri e pianti Vergogna e danno a procacciarmi .... [8 Di Diomede Borghesi]
Quella, che già mi parve altera luce Sol d'alme glorïose altero oggetto, E mirabil d'amor pregio o diletto Noiose e gravi a i cor tenebre adduce. Io tolsi, o SDEGNO, al sacro monte in duce Donna, ch'è scorta da volgare affetto; E 'l suo nome illustrai fosco e negletto Tal che tra i più famosi oggi riluce. Colpa d'amor, che l'intelletto e gli occhi M'addombrò lusingando, e poscia a forza Cader mi fece a lagrimosa rete. Ma perché tu mi presti ardire e forza, Ond'io pur freno i van desiri, o sciocchi, L'altrui falsa beltà ripingo in Lete. [8 Di Diomede Borghesi] L'autore haveva tolto a servire e celebrare donna, nel giudicare i meriti della quale s'era forte ingannato. Finalmente aiutato da nobile et generoso sdegno a conoscerla, et riconoscere sé stesso, s'era in diversa maniera ad annullare tutti quegli honeri, che gli haveva procurato con la penna, et ciò fece particolarmente mutando e trasformando alquante rime, che erano state composte ad esaltazione di lei. [9 Di Diomede Borghesi]
Poich'ha leggiadro avventuroso sdegno Disciolto il fiero e miserabil nodo Che mi legò pur dianzi e strinse in modo Ch'avrò mai sempre un tal servaggio a sdegno: Fuor d'ingiusto amoroso acerbo regno In dolce libertà lieto mi godo, E l'ora e la stagion ringratio e lodo Ch'io fui sottratto al grave giogo indegno. Donna, che sia di core aspra e selvaggia Qual tigre hircana, e qual Medusa colga Misero spirto ad hora, ad hora in sasso. Non farà più ch'a duro laccio io caggia; E 'n tutto di ragion orbato e casso Tormento e scorno a procacciar mi volga. [10 Di Diomede Borghesi]
Damma seguir ch'ognor veloce fugge Sperar di render molle hircana tigre, Creder placar leon ch'irato rugge, Versar novo per gli occhi Eufrate, o Tigre, Neve bramar che 'l cor m'incende e strugge, Cercar due luci ad oltraggiarmi impigre, Nel sen ch'angue crudel m'attosca e fugge Ricettar voglie al bene inferme e pigre. D'opere illustri aver dispregio e biasmo E tanto esser avvezzo a guerra, a lutto, Che già del mio languir più non m'incresce. È d'amor cura, ond'io m'adiro e 'l biasmo, E poi che è tal di sua radice il frutto Lo schivo e ratto mi procuro altr'esca. [11 Di Diomede Borghesi]
S'egli avverrà che dia cortese e largo Dopo la morte mia vivere alquanto, L'alato vecchio a quel ch'io scrivo e canto, Mentre a' sospiri ardenti il freno allargo, La terra, il mare udrà ch'empio letargo M'offende; udrà ch'io mi distillo in pianto E bramo, per mirar fera che 'l canto Schernisce il mio dolor, cangiarmi in Argo: Udrà che 'ngombro Amor d'alto disdegno, Mi fa seguir per calle aspro e selvaggio Zoppo cursore una veloce dramma. E forse fia che dal mio stratio indegno Apprenda spirto valoroso e saggio, Chiuder il petto a l'amorosa fiamma. [11 Di Diomede Borghesi] L'autore haveva inconsideratamente preso a servire et a celebrare donna, la quale, o per soverchia alterezza, o per accidental cagione si beffava di lui, e delle sue compositioni. [12 Di Diomede Borghesi]
Dunque non feci un grave oltraggio al vero Biasmando lei, che 'n varie guise ognora Lo steril prato del mio ingegno infiora Con dolce sguardo, fiammeggiante, altero. Carca di gloria al ciel drizza il pensiero Madonna, e sol quà giù virtute onora; Per lei riluce Apollo, e strali indora A mille, a mille il pargoletto arciero. Lasso! in qual parte avrà fido ricetto Un, ch'è d'amor nemico; in odio al sole, Rubello di virtute, in ira al cielo. Ahi! che mi pose intorno a gli occhi un velo Megera, e ministrò sensi e parole, E carta e 'nchiostro dispensommi Aletto. [12 Diomede Borghesi] Mostrasi il doloroso pentimento ch'ebbe l'autore d'havere (colpa di cieco e malvagio sdegno) biasimata in alcune compositioni bella et gentilissima donna, la qual fia sempre da lui, come cosa divina, affettuosamente lodata et devotamente honorata. [13 Di Diomede Borghesi] Da tuoi begli occhi un raggio ardente e puro, Ond'è ch'ancho per fama uom' s'innamora, Lampeggia sì che 'l sole, ad ora, ad ora Altrui rassembra tenebroso e oscuro. E da i rosati labri alma reale, Ch'oggi col tuo valor Ferrara indori, E le cui grazie SOLE ONORA il mondo. SANTA spira soventi aura VITALE, Che di rara dolcezza ingombra i cori E rende il nostro ciel chiaro e giocondo. |
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