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Rime sparse (1)

Post n°852 pubblicato il 18 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Rime sparse di Giusto de' Conti

RIME SPARSE

CCVII

Canzone

L'aspra piaga mortal che me arde sempre
e la memoria de l'antico colpo
e me che sempre incolpo,
piangendo, a lamentar me stringe ognora,
poiché di doglia i' me distrugo e spolpo,
e che l'alma, provando amare tempre,
si deslegua e distempre
dal proprio obiecto in forma d'uom che muora.
Convien adonque, pria che 'l duol mi acora,
la mente isfoghi in parte il gran martire,
mostrando il stato mio, se tanto lice,
e ben mi avedo e so chi è la radice
dil mio languir e dil mio gran desire;
ma, pur potess'io dire
ogni mio male et ogni mio dolore,
io mostreria che amore
non solo alberga soto treze bionde,
Né sol se anida l'angue soto fronde.
Lasso ch'io mi lamento et più alto grido,
anzi pur mugio, et non trovo socorso,
e via di rabia scorso,
mi temo sempre gir di male in pegio.
Io mi rivolvo in mente chi me ha morso
e la mia vita fin l'ultimo strido,
e vegio in cui mi fido
esser caduco vano et debel segio.
Quanto più vegio ogni or, quanto più legio
nostri volumi et anco l'altre carte,
e trascorendo vo per l'universo,
per monti, piagie e boschi più disperso;
e quanto penso alor che Giove e Marte
con le sue forze et arte
regia il mondo e quella fioca giente,
lasso che un più dolente,
un più di me deriso non se vide,
a tal che del mio stacio il ciel ne ride.
Misero me! che, se ben miro intorno,
niun conforto mi è rimasto in terra,
Né triegua a la mia guerra,
ma sol cagion ch'io piangi e me lamenti,
non dico già di quella che mi serra
fuor dil camin d'ogni chiar sogiorno,
però che un lieto giorno
non eber gli ochi miei dal vero spenti.
Io vedo ben che mie contrarij venti
contra di me sono già fatti eterni,
e 'l ciel con suo pianeti mi rubella.
Lasso, che in mezo il mar mia navizella
rimasta è sola, et non è chi governi;
e cussi in questi schermi
mia vita afondo con eterno pianto,
e ben cognosco quanto
e soli e tristi sono i miei pensieri,
unde convien che dì e nocte sospieri.
Quando la notte è obscura e magna l'ombra,
e possa il mar, il cielo e 'l vento tace,
alor che ognuno ha pace,
rivolze gli occhi miei più largo fiume.
Io von pensando il dolor che mi sface,
e quel che ogni piacer dil pecto sgombra,
ché la ragione ingombra
gli sensi miei per antico costume.
Lasso, che tal pensier mi obscura il lume,
e trasportando va la mente in loco,
ove non cal de me, né de mia sorte,
gridando mille volte alora morte;
da poi che crescie in me l'aceso foco
che m'arde a poco a poco
l'anima, el pecto, le midole e l'ossa;
e, perché io non ripossa,
agiunge ogni ora più crudi pensieri,
di che convien ch'io peri e mai non spieri.
Che deb'io far se 'l mio gridar non giova,
se 'l cresce il mio doler quanto m'atempo,
se 'l rinuova il tempo,
se primavera per mi non vien mai?
Questo dolor ogni or di tempo in tempo,
con argumenti falsi et falsa prova,
sempre più mi rinova
lacrime agli ochi e al cor tristi guai.
Ay mondo iniquo e falso, in cui sperai
e la virtù, la forza e l'aspra voglia!
perché solo ver me tuo imperio spieghi,
perché a pietà di me tu non te pieghi?
Deh, movite a pietà di la mia doglia
che, como in foco foglia,
mi strugie e mi distilla et arde tuto.
Lasso, tu m'hai (di vita) al fin conduto!
Che maledeto sia ch'in te se fida,
Madonna ingrata, per cui l'alma strida.
Canzon, ben so che indarno i' me lamento,
e quanto parlo è nulla e quanto scrivo:
merzè non credo ritrovar dal cielo,
Né altrove ripossar di pace privo,
mentre che l'alma chiuderà il mio velo.
Ma pur, per fin ch'io vivo,
ti priego, mia canzon, e pianti insieme,
da poi che amor mi preme,
pietà dil viver mio ti mova almanco,
poiché me vedi tristo, lasso et stanco.

CCVIII

Canzone

ol mio signor libero e sioltto
lazi amorosi e dà suo forza
vido e secur per cuanto i critti
ai pensier mi naque o voglia o brama,
amor anzi fugir per boschi
l ragi suo qual m'an pur preso.
ncava al di quando fui preso
a noturna stanzia sioltto
altro giorno forza
sol vidi il qual veder non critti
glorioso ho zieca brama
pra te che fazea luze a boschi.
mi pur aver amor ne boschi
rato onde altrui male mai non criti
sta cussi chi altro voler brama
semi amor con una usata forza
il qual già avea ligato e preso
aure crine a l'aura dolzie sioltto
stra felize, ho cor mio sioltto,
fui ligato non già in meso i boschi
dove roze e fior radize han preso
siede Madona e spera e brama.
Onor per far in tela ogni suo forza
d'oro e di setta quel che io non critti.
Vagabondo lo giorno sempre critti
securo andar, perché tal sol m'ha preso,
che l'altro fugie lui nei foltti boschi.
La notte poi, d'ogn'altro pensier sioltto,
pensando scazio il sono e prendo forza
quasi, amore e gl'ochi piangne e brama.
Vivo cusì e dubito mia vita
aprir a lei, però che in tuti i boschi,
salvo in costei, piatà trovar mi critti.
Tropo non già starò, perch'io già preso
altro camin, e spero d'esser sioltto
da ogni altro amor e da ogni viva forza.
Brama già di veder mi guida e sforza
Né vorei sioltto quel che mai non critti,
e amor nei boschi e io non n'eser preso.

CCIX

El fin d'ogni piazer d'ogni mia zoglia,
d'ogni mio ben e paze
è gionto qui e convien che mi doglia.
Pianti sospiri e guai
sempre sta meco; e l'antiqua speranza
si m'a lasato solo,
zieco di dolze rai,
a bramar morte il tempo che mi avanza.
Amor mi preme al colo
già fa molt'ani un giogo ardente, e solo
con ascoze minaze
chi dil procazio mio mi ruba e spolglia?
Gionto son più per tempo
ch'io non mi criti al disusato loco
vedovo e sconsolato.
Son zerto che con tempo
arò ancor pegio et ardirà più il foco:
l'amor mio è marittato,
non che 'l sia morto, perso o invechiato.
L'eser cusì mi spiaze,
ché per suo onor conven che muti volglia.
Duro zerto mi fia
veder madona e non poter star seco;
anzi mostrarli guera.
Pensi ziascun la mia
vita qual lei sarà e piangea meco;
ragion si regie in tera,
non apetito che gli amanti affera.
L'alma mia se disfaze,
e al ziel rincresce la mia tanta nolglia.
Nel fedel mio servire
pasato pur mi fido e sto securo
che la mi vorà bene;
e 'l mio grave martire
e stimerà più spiatato e piuj duro;
che 'l preterito bene
lietto non fu ch'in vita mi mantene;
onde il mio amor veraze
gli ricomando e sia quel ch' eser volglia.

CCX

O vedovati e lacrimabil versi,
fornito avete quel dolzie viagio,
che già lieta speranza al cor mi porse.
O fortuna crudel, che muti volglia,
et hai il mio lieto stato tolto a sdegno,
per te pien di sospiri or mi trovo,
et son li pensier miei altrove voltti.
Tornami a mente gli ani e pasi persi
per seguir questo amor aspro e malvagio;
Né la speranza mia del fin s'acorse.
Piazer falaze il mio converso in dolglia;
il mondo è zieco, il sol è senza ragio;
la note signoregia, e io pure provo
e sento al cor gli ultimi stridi aoltti.
Vegio che 'l viver mio non vol dolersi
tropo, però ch'al fin io me sotragio.
Ah felize chi senza amor gli ani suo scorse!
Morte spiatata, che la diva spoglia
ai di mio ben e za zi rechi il pegno:
Vuoto è rimasto il nido, in cui mi covo,
vuoto di vita e di sospir pien foltti.
Mort'è quei chiari lumi ch'a conversi,
ch'erami un sol., e patisco disagio
vederli come a me Madona i torse.
Di viver più il dolor per si mi solglia,
ond'io mi tragio a quel felize regno
onde Madona ha fato un sedil novo,
e stali intorno sacri e santi voltti.
Gravoso fu sì il colpo ch'io sofersi,
quando amor mi ligò quel vivo ragio,
che a meno me di me dubio in forse;
sì ch'io non so quel faza o qual m[i] (voglia).
Un naspetar mi sprona, un far indegno
mi gira e volve, e io pur mi rimovo
per seguitare in camin degli molti.
Molti mortali d'amor senti[r] diversi
martir, perch'il suo stato aspro e malv[agio]
gli fea crudel sì ch'in lor co[r] contor[se]
il duol, che altrui dovea pur sentir dolglia.
Ragion non regna in questo mortal reg[no],
ma sforzato voler, e pur lo provo
per corer retro a sacri ochi a me tolti.
Sopiti è già e gli sensi sommersi,
Né le lacrime mie sen van adagio,
se morte al tempo il gientil cor suo m[orse],
Né dil sangue mio vo già ch'a mi spoglia,
però che 'l se ne vien senza ritegno,
sì forte il fredo fero in me commovo,
che gli spiriti miei son già disolti.
Con tal ventura e tal stela mi ofersi,
canzon dolgliosa, al mio falso presagio,
che ascosto fumi poi quel che mi acor[se].
Pregote, adunque, prego amor che 'l colg[lia]
ste vacue membre, e non se tenga in[degno]
poner in nun sepulcro adorno e n[ovo]
e l'ossa mie in setta et oro avolti.
E scrivin poi con aureo liquore:
iazen qui l'osa dove regnava am[ore].

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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