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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Post n°857 pubblicato il 19 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918) Al dolce mormorar di lucide onde, Col bel favor d'un glorïoso lume Lieto udir mi facea con dolci note, E fummi un tempo sì benigno il cielo Ch'ogni uom gradiva il mio soave canto. Mentre più intento al viver lieto, al canto Erbette e fior cogliea tra freschi rivi, Sì fiero incendio in me piovve dal cielo Che né al freddo liquor di liquide onde, Né al dolce suon de le continue note Temprar potei l'assalto di quel lume. Al fiammeggiar del dispietato lume, Lasciando a parte il dilettoso canto E l'erbe, e i flori, e 'l suon de le mie note, Fuggendo corsi ove ben mille rivi Sparge una fonte ognor di sì chiar'onde Che tali in terra mai non vide il cielo. Ben mi fu al tempo gratïoso il cielo Quando contro all'ardor del terzo lume Mi diede il refrigerio di quelle onde, Che destar ponno l'amoroso canto Nell'alma accesa, al mormorar de' rivi Dolci sonanti, e le più calde note. Or vorrei ben ch'Amor con le sue note, Scendendo qui tra noi dal proprio cielo, Or che dritto ne mira e secca i rivi Co' caldi raggi suoi l'ardente lume, Qui mi dettasse un sì mirabil canto Ch'i' potessi addolcirmi sì belle onde. Se degno potrò farmi di queste onde, Temprando i miei sospir con alte note Si ch'alla fonte mia non spiaccia il canto Forse gradite ancor fien sotto il cielo Quest'acque sì che sempre all'ombra e al lume Faranno al mondo i più pregiati rivi. Più degni rivi non conobbe il cielo Né fe' note apparir più vago lume, Né scaldò canto mai più nobili onde. [2 Di Giovanni Andrea Gesualdo] Del Medesimo O chiara fonte, che con lucide onde, Rinfreschi il tuo real seggio d'intorno, E quello rendi sovr'ogni altro adorno Col divino valor che 'n te s'asconde. Conservi il ciel le sue fiorite sponde, E più beato ognor di giorno in giorno Faccia il tuo lieto e candido soggiorno Tra queste grazie a mille altre seconde. Tranquillo e puro il tuo bel sen si mostri, Né tronco, o sasso mai delle fresche acque lo Disturbi, o rompa la chiarezza viva. Sian da te lunge i dolorosi mostri, E 'l mormorar che pria tanto mi piacque Tra l'erbe e i fiori eternamente viva. [3 Di Giovanni Andrea Gesualdo] Del medesmo Itene, o folti miei sospiri ardenti, Al puro sen di quelle gelide onde, E lo 'mpresso rigor ch'ivi s'asconde Rompete, aspra cagion de' miei tormenti. O se benigno Amor di sì possenti Note v'armasse mai, che le profonde Acque rendeste tepide e gioconde, Ond'è il principio e 'l fin de' miei lamenti! E fu ben già che 'l vostro intenso ardore Novella fiamma i duri petti accese; Ma lasso! Hor nulla al gran bisogno vale. Che 'n freddo ghiaccio il bel vivo liquore Compresso è tal che di faville accese Non teme, onde fia eterno il nostro male. [4 Di Giovanni Andrea Gesualdo] Al bel nido real, ch'adorno e chiaro Rendono i raggi del mio vivo sole Torno oggi a veder l'altere e sole Grazie che 'n modo tal pria mi legaro. Per racquistarmi un sol fido riparo, Ch'i' provo al pianto che m'affligge e duole, Cerco il bel riso e 'l suon delle parole Ch'al cuor rimbomba sì soave e raro. Ma d'onde avvien che sì sgomenti e treme L'anima stanca, e quanto al dolce lume S'appressa più, maggior cresca l'affanno? Lasso! Ben veggio che l'accesa speme Perch'io del tutto ardendo mi consumo Mi guida e sprona al mio più grave danno. [5 Di Giovanni Andrea Gesualdo] Può bene il sol nel lucido orïente Nascendo rimenarne il chiaro giorno Sgombrar le nebbie e far il mondo adorno Col lume suo sì candido e lucente. Ma, s'obbietto vi sia troppo possente D'un nembo tal che neghi il bel soggiorno, Non più ai raggi serenar d'intorno Sì ch'opri in terra quel vigore ardente, Così il mio sole ogni profondo orrore Col valoroso de' begli occhi assalto Vince, il mio non che troppo è folto e grave. Ma forse al lungo andar l'alto splendore Aprendo il cuor con l'amorosa chiave Torrà il mio cieco e tenebroso smalto. [6 Di Giovanni Andrea Gesualdo] Voi ch'attendete a glorïose imprese, Per farvi ricchi d'immortal tesoro Onde s'aspira a trionfale alloro Bel pregio è fin di vostre voglie accese. Indarno fien tante fatiche spese, Se dove alberga il più laudato coro Qui non volgete il vostro bel lavoro Ov'è chi in gentil fuoco il cor m'accese. In questa fonte, ch'el bel nido reggio Rende sì altiero e di bei fiori adorno Onde in me sorge l'onorata spene, Lunge dal primo loro antico seggio Fan le grazie e le muse alto soggiorno, Or qui s'acquista il disïato bene. Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918) |
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