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Rime di Celio Magno (29-32)

Post n°993 pubblicato il 06 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

29

In morte della clarissimo signor Elena Mazza, madre del clarissimo signor Orsatto Giustiniano

Chi di lagrime un fiume agli occhi presta
e mille lingue, onde si lagni, al core?
Chi segue il mio dolore
a celebrar la nobil donna estinta?
Versi, meco piangendo, eterno umore
il ciel, con faccia nubilosa e mesta;
sia di lugubre vesta
l'aria, l'acqua e la terra intorno cinta;
pianga ogni alma gentil, dal dolor vinta;
in pietà si distilli ogni aspro petto;
piangan le fere ancor, piangano i sassi;
ed ogni stil trapassi
il mondo, in segno dar di tristo affetto:
ché, se di tanto ben morte lo spoglia,
dritt'è che senza fin pianga e si doglia.
Era quella il suo lume, e 'n questa etate
d'antico onor nova Fenice apparse;
ch'in altra mai non arse
di più saggi desir più nobil mente.
Seguian suo volo, in larga schiera sparte,
innanzi iva onestate,
e cortesia, per farle scorta intente;
nel mezzo ella poggiando alteramente
con umiltà compagna ir si vedea,
pien di gioia e splendor l'aere d'intorno.
Indi nel rogo adorno
del cor, dove pensier santi l'accogliea,
ai rai del sommo sole ardendo il velo,
si rinovava ognor più bella al cielo.
Con l'alma, in lei, de la corporea scorza
la grazia tanto e la beltà rilusse,
che qual più chiara fusse,
mentre verdi fur gli anni, in dubbio pose.
Amor suo seggio in lei dal ciel ridusse
con l'arco sol, ch'i cor leggiadri sforza;
e la più nobil forza
del foco suo nel bel volto ripose:
ove fiorian ancor sì fresche rose
nel verno di su' età, ch'in privilegio
lor, del tempo parea ferma la rota.
Ma, qual in parte ignota
ben ricca gemma altrui cela il suo pregio,
o fior ch'alta virtute ha in sé riposta,
visse nel sen di castità nascosta.
In sua virtute e 'n Dio contenta visse,
lunge dal visco mondan che l'alme intrica;
e se provò nemica
fortuna, in vincer lei sue palme accrebbe.
Ma bastò ben che le concesse, amica,
parto gentil, per cui ricca se n' gisse
e gioia ognor sentisse,
quanta forse per figlio altra non ebbe.
Ch'eterno vanto a lui non men si debbe,
di senno e di valor raro e sovrano,
specchio d'ogni real, santo costume.
Da cui splende tal lume
di mente pia, ch'abbaglia ogni occhio umano,
poich'a lei, che 'l creò, l'aspra infelice
morte ancor fe' sembrar dolce e felice.
Premea, d'inferno uscita, orrida peste
del bel sen d'Adria la cittade altera,
spargendo, in vista fera,
a lei dentro e d'intorno, e tosco e morte.
Cadean l'afflitte genti in folta schiera,
fremendo il ciel di pianti e voci meste;
e le bare funeste
porgean spavento ad ogni cor più forte.
Oh quanti, chiuse a la pietà le porte,
fuggian la patria e ciò ch'avean più caro,
giunti fra via dal loro empio destino!
Quanti vide il mattino
salvi, ch'a sera poi l'alma spiraro!
Tutto era strage, e di pallor dipinti,
pareano i vivi, a par de' morti, estinti.
Mentre in sì strana guisa il crudel angue
fa la rabbia sentir del suo veleno,
ecco che 'l casto seno
di lei ch'or piango, ahi duro fato, impiaga.
L'abbandona ciascun, di tema pieno;
sol resta il fido parto ov'egra, esangue,
la genitrice langue;
e di seco morir l'anima ha vaga.
Sol ei, pronto a curar l'orribil piaga,
porge l'invitta man, pietoso e grato,
al dolce petto, onde già 'l latte prese.
Fa quella alte contese,
pregando s'allontani il pegno amato;
l'un di suo ben oprar morte procaccia,
l'altra cui più desia da sé discaccia.
— Deh non voler che ti dian morte, o figlio,
queste poppe — dicea, — che ti nodriro.
Non far doppio il martiro;
che vita avendo tu, nulla m'annoia.
Io più nel tuo che nel mio petto spiro,
e te veggendo almen fuor di periglio,
chiuderò lieta il ciglio;
salva in te la mia speme e la mia gioia.
Là son già corsa ove 'l gir oltra è noia,
e felice per te, mentre al ciel piacque,
vissi; e per tua pietà, felice or moro.
Sol la mia sorte i' ploro
che d'altro morbo il mio mortal non giacque:
ch'in queste braccia, ov'or per te ne temo,
ti darei de' miei baci il pegno estremo. —
Vita ricusa il nobil germe, e molle
il materno rigor col pianto rende.
A prieghi, a forza scende,
sì ch'al fin amor vinto ad amor cede.
Ahi, che tutto a suo scampo invan si spende,
e contra morte ogni riparo è folle!
Ma già non ti si tolle,
del magnanimo cor ch'in te si vede,
raro spirto, d'onor larga mercede.
Fama inalza il Troian perch'ei, dal foco
fuggendo, se n' portò l'antico padre;
tu per salvar la madre
tra le fiamme il perir prendesti in gioco.
Ma fece forza al ciel tanta virtute,
morte cangiando in tua gloria e salute.
E tu che te n' volasti, alma gradita,
da le tenebre nostre al sommo sole,
ch'or visibil si cole
da te, non più tra nebbie in fragil manto;
pregalo umil ch'a la tua dolce prole
tempri l'aspro dolor di tua partita,
e così degna vita
difenda ognor sotto 'l suo scudo santo.
Acciò il valor di lui, ch'in pregio tanto
già s'innalza e fiorisce, a la diletta
patria per lunga età risponda il frutto;
e poscia, in ciel ridutto,
n'abbia il premio divin ch'ivi l'aspetta:
onde ambo, al fin del desir vostro giunti,
pace eterna godiate in un congiunti.
Canzon, su verde riva un sacro tempio
in onor del materno amato nome
erge il pio figlio a chi trovar fu degna
la gloriosa insegna
che di morte per noi le forze ha dome;
colà te n' vola, e ne' bei marmi impressa,
alme sì degne ornando, orna te stessa.

30

In morte di madama Margherita di Francia, madre dell'altezza del signor duca di Savoia vivente, introducendo i suoi popoli a parlare

Mira dal ciel dove beata or vivi,
alma real, del tuo funesto giorno
la mesta pompa al sacro busto intorno,
e de' nostr'occhi i lagrimosi rivi;

mira com'or di te, sua luce, privi,
il tuo gran sposo e 'l tuo bel parto adorno
in tenebre di duol faccian soggiorno,
celebrando tuoi pregi alteri e divi.

tu prega Dio ch'almen, se te piangemo,
a lor, poiché 'l ben nostro in lor si serra,
prolunghi oltra mill'anni il giorno estremo:

perché qual di fortuna ingiuria o guerra
temer si può, s'a nostra guardia avremo
te in ciel co' preghi e lor col senno in terra?

31

Sopra la sceleratezza machinata già molt'anni in Verona contra la persona dell'illustrissimo signor allora vescovo Valiero

Che ponno armi e furor d'uman consigli
se Dio n'ha in guardia? In sacro, occulto loco
scoprio sol egli il cavo ferro e 'l foco
mortali insidie al suo diletto figlio.

Turbò l'Adige l'onde al gran periglio,
ché fu dal crudo fin lontan sì poco
lui salvo, poscia, il duol rivolse in gioco,
qual se da morte a vita aprisse il ciglio.

Ma tu, ch'ignoto a tanto mai t'ingegni,
com'è che 'l tenti? E sì fero desio
contra innocenza in uman petto regni?

O nefand'opra, o secol empio e rio!
Poiché d'uccider tenti i suoi più degni
e cari figli insin nel grembo a Dio.

32

All'illustrissimo e reverendissimo signor Leonardo Mocenico, per la morte del serenissimo principe di Venezia il signor Luigi Mocenico suo zio di felicissima memoria

Giacque il vostro grand'avo, e fu ben dritto
largo pianto versar d'acerba doglia;
ma tempo è omai che 'l fren ragion raccolga,
né varchi il senso oltra 'l camin prescritto.

L'aver perpetua a noi stanza è interditto
dentro a questa mortal, caduca spoglia;
né più bel vanto avien ch'altronde uom coglia
che dal pugnar con rea fortuna invitto.

Chi può morte fuggir? Chi dar col pianto
e co' lamenti al corpo esangue aita?
Perché quel ch'a Dio piacque, aborrir tanto?

Colma d'anni e di pregi al ciel salita
è l'alma, e gode, al suo fattor a canto,
fuor di queste miserie, eterna vita.

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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