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Canzoniere petrarchesco 16

Post n°1845 pubblicato il 17 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

Canzoniere

106

Nova angeletta sovra l'ale accorta
scese dal cielo in su la fresca riva,
là 'nd'io passava sol per mio destino.

Poi che senza compagna et senza scorta
mi vide, un laccio che di seta ordiva
tese fra l'erba, ond'è verde il camino.

Allor fui preso; et non mi spiacque poi,
sí dolce lume uscia degli occhi suoi.


107

Non veggio ove scampar mi possa omai:
sí lunga guerra i begli occhi mi fanno,
ch'i' temo, lasso, no 'l soverchio affanno
distruga 'l cor che triegua non à mai.

Fuggir vorrei; ma gli amorosi rai,
che dí et notte ne la mente stanno,
risplendon sí, ch'al quintodecimo anno
m'abbaglian piú che 'l primo giorno assai;

et l'imagine lor son sí cosparte
che volver non mi posso, ov'io non veggia
o quella o simil indi accesa luce.

Solo d'un lauro tal selva verdeggia
che 'l mio adversario con mirabil arte
vago fra i rami ovunque vuol m'adduce.


108

Aventuroso piú d'altro terreno,
ov'Amor vidi già fermar le piante
ver' me volgendo quelle luci sante
che fanno intorno a sé l'aere sereno,

prima poria per tempo venir meno
un'imagine salda di diamante
che l'atto dolce non mi stia davante
del qual ò la memoria e 'l cor sí pieno:

né tante volte ti vedrò già mai
ch'i' non m'inchini a ricercar de l'orme
che 'l bel pie' fece in quel cortese giro.

Ma se 'n cor valoroso Amor non dorme,
prega, Sennuccio mio, quand 'l vedrai,
di qualche lagrimetta, o d'un sospiro.


109

Lasso, quante fïate Amor m'assale,
che fra la notte e 'l dí son piú di mille,
torno dov'arder vidi le faville
che 'l foco del mio cor fanno immortale.

Ivi m'acqueto; et son condotto a tale,
ch'a nona, a vespro, a l'alba et a le squille
le trovo nel pensier tanto tranquille
che di null'altro mi rimembra o cale.

L'aura soave che dal chiaro viso
move col suon de le parole accorte
per far dolce sereno ovunque spira,

quasi un spirto gentil di paradiso
sempre in quell'aere par che mi conforte,
sí che 'l cor lasso altrove non respira.


110

Persequendomi Amor al luogo usato,
ristretto in guisa d'uom ch'aspetta guerra,
che si provede, e i passi intorno serra,
de' miei antichi pensier' mi stava armato.

Volsimi, et vidi un'ombra che da lato
stampava il sole, et riconobbi in terra
quella che, se 'l giudicio mio non erra,
era piú degna d'immortale stato.

I' dicea fra mio cor: Perché paventi?
Ma non fu prima dentro il penser giunto
che i raggi, ov'io mi struggo, eran presenti.

Come col balenar tona in un punto,
cosí fu' io de' begli occhi lucenti
et d'un dolce saluto inseme aggiunto.


111

La donna che 'l mio cor nel viso porta,
là dove sol fra bei pensier' d'amore
sedea, m'apparve; et io per farle honore
mossi con fronte reverente et smorta.

Tosto che del mio stato fussi accorta,
a me si volse in sí novo colore
ch'avrebbe a Giove nel maggior furore
tolto l'arme di mano, et l'ira morta.

I' mi riscossi; et ella oltra, parlando,
passò, che la parola i' non soffersi,
né 'l dolce sfavillar degli occhi suoi.

Or mi ritrovo pien di sí diversi
piaceri, in quel saluto ripensando,
che duol non sento, né sentí' ma' poi.


112

Sennuccio, i' vo' che sapi in qual manera
tractato sono, et qual vita è la mia:
ardomi et struggo anchor com'io solia;
l'aura mi volve, et son pur quel ch'i'm'era.

Qui tutta humile, et qui la vidi altera,
or aspra, or piana, or dispietata, or pia;
or vestirsi honestate, or leggiadria,
or mansüeta, or disdegnosa et fera.

Qui cantò dolcemente, et qui s'assise;
qui si rivolse, et qui rattenne il passo;
qui co' begli occhi mi trafisse il core;

qui disse una parola, et qui sorrise;
qui cangiò 'l viso. In questi pensier', lasso,
nocte et dí tiemmi il signor nostro Amore.


113

Qui dove mezzo son, Sennuccio mio,
(cosí ci foss'io intero, et voi contento),
venni fuggendo la tempesta e 'l vento
c'ànno súbito fatto il tempo rio.

Qui son securo: et vo' vi dir perch'io
non come soglio il folgorar pavento,
et perché mitigato, nonché spento,
né-micha trovo il mio ardente desio.

Tosto che giunto a l'amorosa reggia
vidi onde nacque l'aura dolce et pura
ch'acqueta l'aere, et mette i tuoni in bando,

Amor ne l'alma, ov'ella signoreggia,
raccese 'l foco, et spense la paura:
che farrei dunque gli occhi suoi guardando?


114

De l'empia Babilonia, ond'è fuggita
ogni vergogna, ond'ogni bene è fori,
albergo di dolor, madre d'errori,
son fuggito io per allungar la vita.

Qui mi sto solo; et come Amor m'invita,
or rime et versi, or colgo herbette et fiori,
seco parlando, et a tempi migliori
sempre pensando: et questo sol m'aita.

Né del vulgo mi cal, né di Fortuna,
né di me molto, né di cosa vile,
né dentro sento né di fuor gran caldo.

Sol due persone cheggio; et vorrei l'una
col cor ver' me pacificato humile,
l'altro col pie', sí come mai fu, saldo.


115

In mezzo di duo amanti honesta altera
vidi una donna, et quel signor co lei
che fra gli uomini regna et fra li dèi;
et da l'un lato il Sole, io da l'altro era.

Poi che s'accorse chiusa da la spera
de l'amico piú bello, agli occhi miei
tutta lieta si volse, et ben vorrei
che mai non fosse inver' di me piú fera.

Súbito in alleggrezza si converse
la gelosia che 'n su la prima vista
per sí alto adversario al cor mi nacque.

A lui la faccia lagrimosa et trista
un nuviletto intorno ricoverse:
cotanto l'esser vinto li dispiacque.

Francesco Petrarca

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Data di creazione: 26/04/2008
 

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