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Messaggi di Aprile 2015

Sett'anni de bblogghe

Post n°1543 pubblicato il 26 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Sett'anni de bblogghe

Quanno che tte ce metti a rraggionà,
tte pare strano de vedé' cch'è stato;
penzi 'n po' a le perzone ch'hai 'ncontrato:
tante só' ite via, ma tu stai cqua.

Arcuni li conoschi da l'inizzio,
de chiacchiere n'hai fatte a nnun finì,
co' arcuni te stai ancora a ddivertì,
ggiocà per artri fu solo 'no sfizzio.

Ciài messo quarche ffrase de latino,
tanto pe' ddì: "Regà, ce stò ppur'io
che ssó ggajardo e ttosto e nun cretino!".

Mica era vero, n'era vero ggnente,
de cose sceme n'ho scritte 'n fottìo,
ma mme só ddivertito veramente!

Valerio Sampieri
25 aprile 2015

 
 
 

Aurora Sanseverina, sonetti

Post n°1542 pubblicato il 25 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

I tre sonetti che seguono, opera di Aurora Sanseverina Gaetani, sono tratti da: "Raccolta di rime di poeti napoletani non piu ancora stampate e dedicate all'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig.Girolamo Onero Cavaniglia de' Principi di Troja", nella nuova Stamparia di Domenico-Antonio Parrino a Strada Toledo, all'Insegna del Salvatore, 1602 - 281 pagine, curatore Giovanni Acampora

1.

Come selvaggia fiera i lumi ardenti
fugge del Sol, che rasserena il mondo,
e della notte l'obblio profondo
solitaria sen va tra l'ombre algenti:

Tal son'io già, che lungi dalle genti,
e dall'alme città fuggo, e m'ascondo,
e tra le selve e i miei sospir diffondo
di poggio in poggio, all'aure, all'onde, ai venti.

Talor d'un rio fu la fioritasede
peso le membra lasse, e al cantar fioco
odo risponder Progne, e Filomena.

Così prendendo il cieco mondo a giuoco,
cotal sento virtù, che mi rimena
a più felice via, ch'altri non crede.

Aurora Sanseverina

Raccolta di rime di poeti napoletani non piu ancora stampate e dedicate all'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig.Girolamo Onero Cavaniglia de' Principi di Troja, 1602, pag. 199



2.

Zeffiri molli, aure soavi, e chete,
vaghi augelletti, ombre gradite e sole,
gigli, ligustri e tremole viole,
deh cessi il riso, e al comun duol piangete.

Ninfe, voi, che 'n quest'onde albergo aveste,
lasciate i dolci balli, e le carole,
e accompagnando il suon di chi si duole,
sol di mesti cipressi il suol spargete.

L'aria, la terra, e 'l mare in duol fia volto,
e calzi ogni mio cigno atro coturno,
sol rida il Ciel per sì gradito acquisto.

Così disse, piangendo, il mio Volturno,
quando a lui giunse il suon tra l'onde misto,
ch'alta donna regal morte ci ha tolto.

Aurora Sanseverina

Raccolta di rime di poeti napoletani non piu ancora stampate e dedicate all'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig.Girolamo Onero Cavaniglia de' Principi di Troja, 1602, pag. 199



3.

Già del Sebeto in su la verde riva
sorger vegg'io con rilevata fronte,
qual'alto pino sopr'altiero monte,
l'aspettata virtù, che 'n te fioriva.

Questa vuol, ch'io di te cantando scriva,
Lucina, che nel bel Castalio fonte
me cantando illustrasti, e chiare, e conte
mie rime fai fin dove il Sole arriva.

Felice te, ch'al biondo nume a canto
posando all'ombra del lauro, e del mirto,
se' giunto al fin dell'onorata sete.

Deh, s'io voglio appressarmi a quelle mete,
tu m'addita il sentier, leggiadro spirto,
or che le sacre muse t'aman tanto.

Aurora Sanseverina

Raccolta di rime di poeti napoletani non piu ancora stampate e dedicate all'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig.Girolamo Onero Cavaniglia de' Principi di Troja, 1602, pag. 200

 
 
 

Motteggi di nomi di strade...

Motteggi di nomi di strade, piazze, palazzi e di alcune cibarie ed altro.

Funtan-te-crèpi: Fontana di Trevi.

Santa Maria nun campi’n’ora: (?)

Piazza Stròzzete: Piazza Strozzi.

Santa Lucia in Sérci (in faccia a la salita): Ci si aggiunge quell’«in faccia» a bella posta.

Piazza Me-ne-frego-tanti: Piazza Manfredo Fanti.

Via dell’Anima (defôra ar caffè cce so’ le ssedie): Quel defóra vuol significare che ti esca l’anima di fuori.

Via de Testa spaccatte: Di Testa spaccata.

Piazza Marco Pépe: invece di Guglielmo Pepe.

Palazzo Tallónghi: Tanlóngo.

Palazzo Stròzzete: Strozzi.

Oro passato p’er Pellegrino: Oro falso.

Ojo svizzero, de Lucérna: Olio da ardere; per ironia.

Vino de Pisciano: Vinaccio.

Vino de le vigne d’Acquacetósa: Vinello acidulo, aspro.

Scarica-tràppole: Cacio pecorino.

Concertino de la pedacchia: Cruyère.

La sora Checca a ppanza per aria: Gallina lessa o arrosto.

Er merluzzo co’ li ggendarmi: Baccalà con le patate.

Le ranocchie co’ la giacca: Fritte all’olio con la pastella.

Le patate in gran tenuta: Lesse con tutta la buccia.

Er salame a spìnte: A spinte: affettato grossolanamente.

Li tre régni de la natura: Minestra di lenti.

Li sordati in galitta: Minestra come sopra.

Li ceci ar trotto: Poco cotti.

La minestra co’ la ritirata: Minestra di lardo.

La minestra cor sartarello: Idem.

La minestra a ttamburo battente: Idem.

Una fraccassata (in de le coste): Una fricassea.

Pollo a la sônatóra: Cantone di pane bruscato con sopra olio ed aglio.

Pollo de galèra: Pane condito con acqua, olio, aceto, sale, con alici od altro pesce.

Di Persone.

Esse de casa Strozzi: Fare lo strozzino.

» de Bassanèllo: Di bassa taglia.

» de razza Schiavetti: Come sopra. I piccoli cavalli sono detti Schiavetti.

» o Armà’ Treppigne e ’na tenaja: Essere spilorcio o avaro.

» de casa Tiratèlli: Come sopra.

» de casa Frappija: Pigliar sempre e mai donare.

» Sbafatore: Vivere a lo scrocco, scroccone.

» de razza Costaguti: Dicesi di cavallo o di donna che per la magrezza mostri le coste.

Dei Venditori Girovaghi.

«Giù-’n-cantina ar fresco!»: Voce del Giuncataio: Giuncatiua fresca.

«L’ammazzo io! l’ammazzo io!»: del Caciaio: La marzolina! ecc.

«L’assel’annà’! L’assel’annà’!»: del Mosciarellaio: Mosciarellà’!

Giggi Zanazzo
da Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma

 
 
 

Ppiù de 'n zuccheretto

Post n°1540 pubblicato il 25 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Ppiù de 'n zuccheretto

Sei bbella tonna e ssoda, ammazza quanto!
Ma ddorce sei, de ppiù de 'n zuccheretto,
comme 'r soriso che cciài sur gruggnetto.
Inzomma, hai da capì: mme piaci tanto!

Damme la mano, annamo e camminamo.
Te lo ricordi llà, 'ndò' semo stati?
Pe' mmano, come bbimbi 'nnamorati,
puro si è vvero, drento 'n zogno stamo,

adesso come allora, pe' la vita,
perché 'na cosa t'hai da mette 'n testa:
'sta favola, lo sai?, mica è ffinita!

Nun è ssortanto sesso 'r nostro amore;
certo, è 'mportante, ma bben artro resta:
er fatto che tu vvivi ner mio côre.

Valerio Sampieri
24 aprile 2015

 
 
 

La Chiesa diroccata

Post n°1539 pubblicato il 24 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

La Chiesa diroccata (1)

Batte la luna gialla su l'arcata
cadente d'una chiesa bisantina
e, ne la calma tepida d'estate,
ne lumeggia la splendida rovina.

E giù nel buio, stridono volate
di vipistrelli e cade la calcina
sopra le sepolture istoriate
da stemmi e da l'epigrafe latina.

E fra i rottami, stretto s'attanaglia
un caprifico in fiore. E da le rare
pitture che ricopron la muraglia

Guardano le madonne... e nel chiarore
giallastro, sul sagrato d'un altare
due gatti bianchi spasiman d'amore.

(1) Viaggio in Ciociaria di Cesare Pascarella  (ed Bideri Collez.dei Grandi Autori N. 9).

Cesare Pascarella
Da: Il Manichino, pag. 122

 
 
 

A 'sta città mmia

Post n°1538 pubblicato il 24 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

A 'sta città mmia

Ma 'na città ccussì, ma 'ndò' la trovi?
C'è 'r sole, 'r celo,  'r mare e cce sto io:
de cose bbelle assai ce n'è 'n fottìo,
che ggiri l'universo e nu' lo scovi!

L'ho ddetto già 'na vorta, Roma è bbella
nun solo perché è llà che cce só nnato,
ma ppuro per presente e per passato,
quarcosa che tte toje la favella.

Te fai du' passi e cciài tutta la storia,
sali su ar Pincio e ggodi 'r panorama
de 'sta città, così ppiena de gloria,

che ttutto quanto 'r monno nun cià uguale.
E, quanno a ssera, stai co' cchi ami e tt'ama,
te renni conto che la vita vale.

Valerio Sampieri
22-24 aprile 2015

 
 
 

Fatto vero

Post n°1537 pubblicato il 24 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Fatto vero

DI UN GIOVANE PITTORE DI BUONI COSTUMI
CHE PER DISPIACERI AMOROSI E PER L'ESPOSIZIONE
SI SUICIDA BARBARAMENTE CON LE SUE PROPRIE MANI

V'era un giovin di buona famiglia
Il quale, Peppino nomato
Che all'età di vent'anni arrivato
Si decise di fare il pittor!

La famiglia sua propria e i parenti
Gli dicevano no ad ogni costo;
Ma Peppino fuggì di nascosto,
Per studiare soletto da sé.

Era il tempo dell'anno passato
Quando v'era la gran discussione
Sul palazzo dell'esposizione
Che a Novembre s'aveva d'aprir.

Ma che invece per molte ragioni
E anche più, perchè ancora quel sito
A Novembre non era finito,
Si decise di andare più in là.

E Peppino pensando al suo Quadro
Ch'è la morte del Conte Ugolino
Lo dipinse e al suo proprio destino
Lo mandava all'esposizion!

Ma in quel tempo s'infiamma d'amore
D'una vaga, gentil damigella,
Che faceva il mestier di modella
E la volse per forza sposar!

Da principio fu sempre fedele
A Peppino la vaga sua sposa,
Ma più tardi poi fu un'altra cosa;
Sciagurata! Lo volle tradir.

Chè di lui un amico sincero,
Che fu poi un gran traditore.
Pria gli tolse la pace e l'onore
Poi fu causa di gran crudeltà.

Ma intanto si apre il palazzo
Con le opere all'esposizione,
Interviene la gran commissione
Con i corpi dell'Autorità.

E la morte del Conte Ugolino
Vien da tutti i giornali lodato,
Il gran premio gli vien decretato,
Ma nessuno lo vole comprar!

Ma la sera che stava al quint'ordine
Dell'Apollo, nel mese passato,
Col biglietto d'onor d'invitato,
Viene e bussa il suo fido portier!

Egli reca un tremendo dispaccio
Dove lui vi ci rompe il sigillo.
Cade in terra facendo uno strillo,
Che anche i sassi ne senton pietà.

Quando s'alza che torna in sé stesso
Corre a casa e ritrova la moglie
Che gridando fra orribili doglie
Di due figli lo fa genitor!

Lui li prende e li guarda i visetti
E li vede che sono il ritratto
Di colui che compiva il misfatto
Di quel vile del suo traditor!

E fu allora che ai gran dispiaceri
Del suo quadro, nonché la consorte
Lui decide di darsi la morte
Suicidando se stesso da sé.

E impugnato un tubetto di biacca,
Lo sorbiva piangendo, il tapino!
Ed in braccio del suo manichino
Lui moriva fra grandi dolor!

Da questa storia imparino,
Per non passar de' guai
A non scherzar giammai
Con l'arte del pittori

Cesare Pascarella
Da: Il Manichino, pag. 117

 
 
 

L'arrestato

Post n°1536 pubblicato il 23 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

L'arrestato

Ma queste so' maniere da burino!
Si, sì, va bè', tu porteme in questura,
ma lasseme la giacca... E ch'ai paura?
Te credi d'arestà quarch'assassino?

E che te spigni? l'anima? Cammino
come me pare! mica c'è premura!
Se voi che t'arispetti la montura
tu fa' la guardia, ch'io fo er cittadino!

E doppo dice ch'uno s'aribbella!
Vojo che me ce porti co' le bone!
Dunque cammina e mosca! Oh quest'è bella!

E abbada a te, mannaggia l'animaccia...
ché si me fo pijà le convursione,
t'abbotto er grugno de cazzotti in faccia!

Trilussa
1918 (Da: Robba vecchia)

 
 
 

Un povero soldato

Post n°1535 pubblicato il 23 Aprile 2015 da valerio.sampieri
 

Un povero soldato

Istoria commovente
Vi narreremo or ora,
Istoria che addolora
La vita militar.

Il povero soldato
E' condannato a morte,
Lontan da la consorte
Vicino al colonnel.

Quando al mattin si sveglia
Per esser fucilato,
Si butta per malato
E dice che non può.

Allora vien chiamato
Il militar dottore,
Che dice il tuo malore
Son tutte falsità.

Il colonnello intanto
Fa batter l'assemblea;
Si forma una platea
Di lutto e di terror!

Arrivano i soldati,
In fila e derelitti
I lor fucili dritti
Facevano penar!

L'onesto condannato
Domanda di parlare.
La legge militare
Gli vieta di tacer.

Sopra una sedia messo,
Dal prete confessato,
Il milite soldato
Lo benda il caporal.

Il colonnel vestito
Impugna la sua spada
E dice che si vada
Con morte a fucilar.

Ma ecco la grazia arriva
A dargli salvamento,
Torna al quartier contento
A far il suo dover!

Signori questa storia
Che noi vi abbiam narrata
Un soldo è valutata
Nel Regno Italian!

Cesare Pascarella
Da: Il Manichino, pag. 117

Se l'autore del testo della canzone sia effettivamente Pascarella lo ignoro. Di fatto, il testo è presente nel suo libro.

 
 
 

La crudertà de Nerone

La crudertà de Nerone

Nerone era un Nerone, anzi un Cajjostro;
E ppe l’appunto se chiamò Nnerone
Pell’anima ppiú nnera der carbone,
Der zangue de le seppie, e dde l’inchiostro.

Quer lupo, quer caníbbolo, quer mostro
Era solito a ddí nnell’orazzione:
«Dio, fa’ cche ttutt’ er monno abbi un testone
Pe ppoi ghijjottinallo a ggenio nostro».

Levò a fforza er butirro a li Romani,
Scannò la madre e ddu’ mojje reggine,
E ammazzò ttutti quanti li cristiani.

Poi bbrusciò Rroma da Piazza de Ssciarra
Sino a Ssanta-Santòro, e svenò arfine
Er maestro co ttutta la zzimarra.

Giuseppe Gioachino Belli
26 agosto 1835

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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