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Messaggi di Giugno 2017

Doppo quattr'anni

Doppo quattr'anni

II


Chi? Caterina? quale? quella mora?
E chi l'ha più rivista? Va cercanno! (1)
Saranno ormai quattr'anni ... Eh, sì, saranno
perché fu ar tempo che tornai da fòra;

anzi me pare bene che fu quanno
pijavo l'ojoduro (2): sissignora,
fu ner novantasei, fu propio allora:
sì, ner novantasei, propio in quell'anno!

L'urtimo appuntamento? Era de festa ...
Già, la Befana, ché j'arigalai
un pettinino d'osso pe' la testa ...

Me costò, credo bene, un trenta sòrdi ...
Eh, so' quasi quattr'anni, capirai ...
Come diavolo vôi che m'aricordi? ...

Note:
1 Tira via!
2 Lo joduro.

Trilussa
Da: Ommini e bestie - Sonetti ripescati, 1923
Trilussa, Tutte le poesie, Mondadori, 1954, pag. 382

 
 
 

Lettera d'un arichiamato II

Lettera d'un arichiamato

II. Risposta


Caro marito (el venti de febbraro)

Miracolo che puro quanno scrivi
la tua lingua sacrilega ciarrivi
infinenta a insultà com'un somaro!

Stattene però e arestece, mio caro,
che in quanto a me e mi' madre, più ce privi
della facciata di quel grugno amaro,
più 'sta casa ce pare che rivivi.

Si sei contento tu, figurte (1) noi,
che già toccamo er celo colle dita!
El dispiacere de mi' madre poi! ...

Appena uscito tu s'è intesa male
e ce s'è tanto tanto impensierita
che à messo insino el lutto a l'orinale!

Signor Romeo Stràccale
Numero 2, Caserma Saristora (2)
Via di Santa Maria Nun-campi-n'ora

Giggi Zanazzo
17 febbraio 1898
Da: Bojerie vecchie e nove

Note [di Giovanni Orioli]:
1. Figurati. - 2. Era ben nota a Roma la caserma Serristori (poi "Luciano Manara", ora Scuola pontificia Pio IX), in via dei Penitenzieri. Per lo scoppio delle mine in questa caserma furono condannati a morte il 24 novembre 1868 e decapitati in Piazza dei Cerchi Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti.

 
 
 

Rimproveri

Post n°3979 pubblicato il 18 Giugno 2017 da valerio.sampieri
 

Rimproveri
Della Moglie di un Reduce Ferito nella Campagna di Genzano
(1)

- Ben tornato ... e ch'hai fatto giù a Genzano?
Ched'è sto grugno pisto e sgraffignato?
Arisponni, che hai fatto ... sei cascato?
T'ha dato quarche pugno er Capitano?

Tu te sei rotolato in d'un pantano!
Guarda qui che che cappotto inzaccherato!
E mo che te se sveja ... sei intoppato?
Finiscila, sta fermo co le mano ...

Ghetano?! Accidentacci? ... e che te pija? ...
Quanno ch'hai arzato er gomito, va a letto,
Nun fa cagnara ... nun svejà la fija.

E ... fermete! che rompi quarche tevola
Si dai quelle dagate li sur tetto;
E che sei? Orazio ar Ponte ... Muzio Scevola?

Nota:
1. Reduce da una passeggiata militare.

Augusto Marini
1872
Da: Cento sonetti in vernacolo romanesco, Perino 1877, pag. 50

 
 
 

Er gatto

Post n°3978 pubblicato il 18 Giugno 2017 da valerio.sampieri
 

LXV.

Er gatto


Ma com' è uscito fòri sto gattaccio,
Si (1) propio mo stav' in suffitta, e ho chiuso
La porta e puro messo er catenaccio?
Ma se ne trova un antro più sconfuso (2)

De sto gattaccio qui? Pe' quanto faccio,
Lui sempre appresso ... E làsseme stà er fuso,
Vattene via ... Ma gnente: io più lo caccio,
Più me vie attorno a strufinasse 'r muso.

Ma che vòi, micio mio? Che te s'è sciôrto, (3)
Che me guardi accusi tutt' intontito?  (4)
Ma che hai che me pari mezzo morto?

Ah! sta' a guardà l' ucelletto che vola?
Hai famé, poverello? ... Ah, mo ho capito! ...
Ma nu' j'amanca propio la parola?!

Note: 1 Se. - 2 Noioso, importuno. Ma qui è detto per vezzo. - 3 Che ti si è sciolto? Maniera ironica(qui però adoprata scherzevolmente), per domandare: Di che hai bisogno? Come se dicesse: «Che cosa ti si è sciolto, ch' io ti deva rilegare o riallacciare?» - 4 Istupidito, incantato. Da intontire, che è voce viva non solo a Roma e nell'Umbria, ma (secondo il Fanfani, Voc. dell'Uso tosc.) anche in «quasi tutta Toscana.» Credo quindi che manchi per mera svista al pregevolissimo Rigutini-Fanfani, tanto più che non vi manca tonto.

Luigi Ferretti
Centoventi sonetti in dialetto romanesco, Firenze, G. Barbèra, Editore, 1879, pag. 113

 
 
 

Er primo amore

Er primo amore

I


Fu un venerdì, pe' (1) Pasqua Befania (2),
er sei gennaro der novantasei.
- No, Checchino, è impossibbile! Tu sei
troppo scocciante co' 'sta gelosia!

Nun se capimo più! - me disse lei -
Addio, Checchino ... - E se n'agnede (3) via.
Volevo dije: - Caterina mia,
viè qua, nun me lascià! ... - Ma nun potei!

Tu nun me crederai: da quer momento
m'è arimasta una spina drento ar core:
è più d'un anno e ancora me la sento!

Ne la malinconia de li ricordi
naturarmente resta er primo amore ...
Come diavolo vôi che me ne scordi?

Note:
1 Verso.
2 Epifania.
3 Andò.

Trilussa
Da: Ommini e bestie - Sonetti ripescati, 1923
Trilussa, Tutte le poesie, Mondadori, 1954, pag. 381

 
 
 

Di se stesso

Post n°3976 pubblicato il 17 Giugno 2017 da valerio.sampieri
 

Di se stesso

Non son chi fui: perì di noi gran parte:
Questo che avanza è sol languore e pianto;
E secco è il mirto, e son le foglie sparte
Del lauro, speme al giovenil mio canto;

Perchè dal dì ch’empia licenza e Marte
Vestivan me del lor sanguineo manto,
Cieca è la mente e guasto il core, ed arte
L’umana strage arte è in me fatta, e vanto.

Che se pur sorge di morir consiglio,
A mia fiera ragion chiudon le porte
Furor di gloria, e carità di figlio.

Tal di me schiavo, e d’altri, e della sorte,
Conosco il meglio ed al peggior mi appiglio,
E so invocare, e non darmi la morte.

Ugo Foscolo

Il verso 13 riecheggia quello Ovidiano delle Metamorfosi: "video meliora proboque, deteriora sequor", vale a dire "vedo e approvo le cose migliori, ma seguo le peggiori". Prima di Foscolo, si erano serviti del verso di Ovidio il Petrarca ("Et veggio 'l meglio et al peggior m'appiglio", Canzoniere, CCLXIV.136) e Matteo Maria Boiardo, nell' Orlando innamorato, Libro I, Canto I.31 ("Ch'io vedo il meglio ed al peggior m'appiglio").

 
 
 

Lettera d'un arichiamato I

Lettera d'un arichiamato (1)

I. Missiva


Cara moglie (li dieci der corente)

Te scrvo 'ste due righe colle quale
te faccio consapé co' la presente
che qui in quartiere stamo propio male.

Eppuro che me pigli un accidente
co' tutto che a stà qui de carnovale
me ce tintichi (2); a dittela papale (3)
me ce ritrovo bene e alegramente

e preferisco de sta qui ingrignito (4)
a fatigà, sudà, magnà la bobba (5)
che a vedé quel tu' grugno inviperito

e sentì quella forbice a tenaja
de tu' madre (che possi morì gobba)
che puro quanno dorme, cuce e taja.

Signora Nina Paja
Numero 23, Palazzo Rei
Santa Lucia 'n Serci, in faccia a lei.

Giggi Zanazzo
17 febbraio 1898
Da: Bojerie vecchie e nove

Note [di Giovanni Orioli]:
1. Cfr. sonetti "Penna in carta" e "La supprica a su' Minenza". - 2. Mi cuocia. - 3. A dirtela francamente. - 4. Sacrificato. - 5. Bobba, bobbia (sbobbia, arcaico dialettale), liquido assai denso e non buono: qui sta per rancio.

 
 
 

Alla Musa

Post n°3974 pubblicato il 17 Giugno 2017 da valerio.sampieri
 

Alla Musa

Pur tu copia versavi alma di canto
Su le mie labbra un tempo, Aonia Diva,
Quando de’ miei fiorenti anni fuggiva
La stagion prima, e dietro erale intanto

Questa, che meco per la via del pianto
Scende di Lete ver la muta riva:
Non udito or t’invoco; ohimè! soltanto
Una favilla del tuo spirto è viva.

E tu fuggisti in compagnia dell’ore,
O Dea! tu pur mi lasci alle pensose
Membranze, e del futuro al timor cieco.

Però mi accorgo, e mel ridice amore,
Che mal ponno sfogar rade, operose
Rime il dolor che deve albergar meco.

Ugo Foscolo

 
 
 

L'incapace

Post n°3973 pubblicato il 16 Giugno 2017 da valerio.sampieri
 

Povia - L'incapace - 2009
Dall'album: Centravanti di mestiere



L'incapace non fa niente da solo perchè in fondo niente sa fare
proprio per questo che l'unico ruolo che gli riesce bene è comandare
l'incapace non ammette l'errore e da la colpa a te
come si diverte a farti del male tanto poi ti dice lo faccio per te
l'incapace non fa niente per niente ma ti dice che ti ama è solo un proprio di puttana

l'incapace è colui che metterà il mondo sulla croce e continuerà finchè morirà
l'incapace si nasconde bene in mezzo alla gente io non ci divento come te

è incapace ma non è cattivo qualche volta piange anche lui
dice che ascolta capisce perdona ecco perchè sembra uno di noi
ti accarezza e dopo ti pugnala tutto molto all'italiana ?sei proprio un figlio di puttana?

l'incapace piano piano spegnerà tutta la tua luce e continuerà finchè morirà
con la voce dice il vero ma con la mente mente
amici e amori non hai e il bello è che non lo sai

la rovina del mondo non sono i cattivi ma gli incapaci

incapace vuoi vedere che scendiamo dalla croce non ti salverai garantiamo noi
incapace non scappare tanto non serve a niente
e continuerà finchè morirà l'incapace si nasconde bene in mezzo alla gente
io non ci divento come te

 
 
 

In cerca di morte 01

Post n°3972 pubblicato il 16 Giugno 2017 da valerio.sampieri
 

In cerca di morte 01

In Serata all’osteria della Scapigliatura si racconta che un giorno Tarchetti, non sapendo come sbarcare il lunario, "fece incollare sulle cantonate della città un avviso col quale si proponeva quale professore di conversazione inglese. Idea, è proprio il caso di dire, scapigliata, perché Tarchetti non conosceva una sola parola di quella lingua". Venne contattato da una signora dell’alta società che conosceva l’inglese perfettamente: "Mandò quindi un biglietto d’invito al Tarchetti, il quale, come se nulla fosse, andò a presentarsi e a raccontare come stavano in realtà le cose. «Non sapete l’inglese?» disse tranquillamente la signora. «Bene, ve lo insegnerò io». E glielo insegnò. Il maestro si fece scolaro.



In cerca di morte

Da: Racconti umoristici
di Igino Ugo Tarchetti
Milano, E. Treves e C. Editori, 1869

Pochi anni or sono, in un vecchio palazzo della via Recourse a Londra, conosciuto sotto il nome di Game of chance house (casa dei giuochi di rischio), convenivano ogni sera tutti i giovani eleganti del quartiere così detto di Reckless-men, per azzardarvi qualche migliaio di sterline al whist o al tarocco, ma più specialmente al diamonds-game (giuoco dei quadri).
I fashionables, i zerbini di quel quartiere, dopo aver cavalcato lungo i viali di Regent's park, o tirato di sciabola nelle sale di Mr. Wooden, il celebre schermitore, o gareggiato nelle corse dei boats sul Tamigi, provavano spesso degli assalti di spleen tormentosi, degli orribili istanti di noja; di quella noia fredda, piena, profonda, mortale, che non può essere provata che dagli inglesi, e che ha tanta analogia col loro cielo, colle loro pioggie, e colle loro nebbie perenni. Era naturale che essi sentissero quindi il bisogno di scosse più vive, di emozioni più eccitanti, e che non potendo procurarsele altrimenti, venissero a chiederle al giuoco. Il carattere degli inglesi è freddo e pacato, ma nel fondo del loro cuore vi è sempre qualche cosa di palpitante e di vivo; essi lo sentono e subiscono spesso, loro malgrado, il predominio della loro natura lenta e inflessibile: le maggiori eccentricità inglesi non segnano sovente che il limite estremo dei maggiori sforzi che essi hanno fatto per dominarla e per vincerla. E se è vero che l'affetto del danaro costituisce una delle loro passioni più tenaci, il giuoco che uno dei mezzi più solleciti per moltiplicarlo o per perderlo, deve offrir loro naturalmente una fonte di emozioni energiche e grandissime.
Ecco perché i giovani del quartiere di Reckless-men si raccoglievano volentieri nelle sale di Game of chance house, nelle lunghe sere d'inverno - per scuotere la loro anima paralizzata dall'atonia, per ritemprare in qualche modo la loro sensitività coll'attrito dei dadi del whist, o col giuoco pericoloso dei quadri.
Abbiamo detto i giovani, chè nei vecchi inglesi la mania delle emozioni è trascorsa, il periodo delle eccentricità è superato: un inglese a quarant'anni è la personificazione del positivismo, è l'incarnazione vivente del calcolo: i giovani soltanto possono azzardare sull'asse o sul fante d'una carta una eredità vistosa, una fortuna accumulata in lunghi anni di speculazioni e di lavoro.
E quante fortune non furono perdute o menomate in tal guisa! quanti di quei giovani eleganti che alla sera entrarono nella sala del palazzo in Recourse-street, ricchi d'una bagattella di centomila sterline, ne uscirono più poveri dell'ultimo operaio di Londra, e s'imbarcarono all'indomani sul postale delle Indie con un posto pagato di terza classe per tentare di ricostruirvi la loro fortuna perduta! Si osserva appunto ciò di singolare nei giuocatori inglesi, che non arrischiano come noi una piccola somma, una porzione meschina della loro proprietà, ma mettono anche nel giuoco dell'ardimento e del senno. - Ecco una carta sulla quale si sono posti centomila franchi - una, due, tre; una, due, tre; il sette di fiori e la dama di cuori, l'asse di quadri, e il re delle picche - perduto; si raddoppia la posta - perduto; la si triplica ancora - perduto: sta bene! All'indomani si va a Hang-king o a Calcutta; vi si va fiduciosi, imperturbati, tranquilli; vi si negozia nella gomma, nei datteri, o nei chiodi di garofano; s'impianta una manifattura di conterie, si perfeziona un tessuto, s'inventa una macchina, si acquista a metà prezzo un carico di coloniali, e la fortuna è rifatta. Allora si rimpatria e si dice: io sono quell'inglese che, otto anni or sono, ha sciupata la sua proprietà al giuoco dei quadri; oggi ritorno col mio capitale raddoppiato, e con un forte credito all'estero; i miei rapporti commerciali mi assicurano in pochi anni l'accumulazione di un capitale importante.
A questo punto della sua vita, l'inglese non giuoca più, non va in cerca di nuove emozioni; rientra nella famiglia e nell'ordine, frequenta la borsa, si fa eleggere membro di qualche associazione democratica, e trasmette a' suoi eredi legittimi un patrimonio di un mezzo milione di ghinee.
Paese singolare, dove tutto è grande e straordinario; dove anche nel vizio si rinvengono le traccie di virtù non comuni, dove è riverito il genio e santificato il lavoro; dove in ogni uomo vi ha parità di diritti, parità di doveri e consonanza di aspirazioni. Più volte considerando i caratteri de' miei connazionali, studiando le loro qualità e le loro tendenze, al confronto del tedesco grave e malinconico, dell'inglese dotto e laborioso, del francese facile e colto, ho dovuto arrossire della generale frivolezza degli italiani.... Oh perché non sono nato sotto quel cielo severo e melanconico dell'Inghilterra, dove gli uomini crescono liberi, nobili e dignitosi!

(continua)

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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