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Messaggi di Marzo 2018

Mannaggia a la drondrona

Post n°4446 pubblicato il 17 Marzo 2018 da valerio.sampieri
 

Mannaggia a la drondrona

Mannaggia a la drondrona che te porta!
Sù, tela, smamma, tojete de mezzo,
ché si tu me farebbe 'n antro pezzo,
de botte te ne dò 'n fracco e 'na sporta!

Me chiedo: "Ma che vò 'sto gran burzugno?
Ma che vorà, co' cquela risatina?".
Lo so che ce vorebbe: 'na cinquina
je tojerebbe er ghigno da quer grugno!

Co' certa gente tocca avé pazzienza,
bigna nun fasse ròde er chiccherone,
sinnò la lasci senza conoscenza!

Usà dovrai li boni sentimenti,
sempre, comunque e in tutte l'occasione:
vedrai si nu' je fai sputà li denti!

Note:
v.1: drondrona, meretrice.
v.1: che te porta, che ti porta via, ti fa morire. Le maledizioni, di solito, non augurano realmente la morte, pur invocandola a carico di qualcuno.
v.2: telà, smammà, sono sinonimi di togliersi di mezzo, correre, andarsene velocemente.
v.3: fà 'n pezzo, compiere una cattiva azione, tenere un comportamento scorretto o irriguardoso.
v.4: un fracco e una sporta o un sacco e una sporta: una grossa quantità e qualcuna in più, per soprammercato!
v.5: burzugno: zotico, villano, deformazione di buzzurro.
v.7: cinquina, schiaffo con tutte e cinque le dita della mano.
v.10: bigna, bisogna
v.10: ròde er chiccherone, rodere il sedere.

Valerio Sampieri
17 marzo 2018

 
 
 

Ma parla come magni!

Sonetto di nessun valore, che serve solo per illustrare il senso di alcune espressioni ormi uscite dall'uso comune.

Ma parla come magni!

L'acqua a te co' le recchie porterebbe,
mó vedi de nun damme er piantinaro,
ché 'r bene che te vojo è 'n fatto raro
e mai senza de te io ce starebbe.

Le ruzziche nun giro, si me cacci,
la lupa só disposto puro a fatte,
corenno in lungo e in largo pe' trovatte,
nun só disposto a céde, li mortacci!

Si cambio te co' 'n'antra quarche sia,
'n ce fò la rimissione der norcino,
perdo davero tutto e così sia!

'Mmiracolo ce vôle pe' davero,
la grattacacio ha 'r bucio piccolino:
pe' te vojo lottà cor monno intero.

Note:
Tit.: Parla come magni vuol dire parla in modo semplice e comprensibile. Il titolo fa riferimento al fatto che il sonetto è composto da modi di dire ormai desueti e, a volte, non molto perspicui.
v.1: portà l'acqua co' le recchie indica una totle disponibilità nei confronti di qualcuno. A tal proposito Trilusa, in "La gente", ha scritto la poesia "La cicatrice", che tratta della morte di Checco, da tutti ritenuto eroe di guerra per via della cicatrice che portava in fronte, e che alle ultime tre sestine recita:
E, per te, che rimani ne le pene, / per te, povera vedova der morto, / chi trova una parola de conforto? / Iddio lo sa se je volevi bene! / - Ah, questo è certo! - sospirò la vecchia - / J'avrei portato l'acqua co' l'orecchia! [Giggi Huetter annota: Avrei fatto l'impossibile per contentarlo.] //
Stavamo sempre come pappa e cacio; / tutte le sere, prima d'annà a letto, / se facevamo er solito goccetto [La solita bevutina - GH] / Addio Nina... addio Checco... damme un bacio... / In sessantanni e più, solo una vorta /  / avemo liticato fôr de porta. //
E fu precisamente in una festa: / mentre ballavo con un bersajere, / povero Checco me tirò un bicchiere / e io je detti una bottija in testa: / lo presi in fronte, disgrazziatamente / e je restò lo sfreggio permanente!
v.2: Dà er piantinaro significa lasciare qualcuno.
v.5: Girà le ruzziche, voltare i tacchi, andarsene. In alternativa, si diceva un tempo: spesa. Arza le fangose [Rizieri Grandi].
v.6: fà fà la lupa significa far andare una persona di qua e di là, senza costrutto.
v.10: Fà la rimissione del norcino, essere scontento per aver guadagnato lievemente meno del previsto.
v.12: 'Mmiracolo sta per Un miracolo o 'n miracolo.
v.13: Sarvasse per bucio de la grattacacio, equivale a "per il rotto della cuffia", ma è più enfatico, date le minime dimensioni dei buchi della grattugia.

Valerio Sampieri
16-17 marzo 2018

 
 
 

Marchesa Colombi

Post n°4444 pubblicato il 15 Marzo 2018 da valerio.sampieri
 

Marchesa Colombi (ovvero Maria Antonietta Torriani, 1840-1920)

Marchesa Colombi è lo pseudonimo letterario di Maria Antonietta Torriani. Nata a Novara il 1 gennaio 1840, in seguito al matrimonio con Eugenio Torelli Violler, fondatore e primo direttore del Corriere della Sera, si stabilisce a Milano, dove continua a vivere anche dopo la separazione dal marito.
Attiva frequentatrice degli ambienti letterari, si interessa in particolare alla riflessione sui contenuti e sulle forme veristiche del romanzo. Si impegna sin dal 1870 nel movimento femminile lombardo - che vede tra le sue massime esponenti Anna Maria Mozzoni - soffermandosi in particolare sull’analisi delle condizioni del lavoro femminile, tema che traspone in parte nei suoi testi.
La vena di ironia pariniana, cui allude anche la scelta dello pseudonimo, si coniuga felicemente infatti, in alcune sue opere, come in In risaia, edita da Trevers nel 1878, oppure in Un matrimonio in provincia, pubblicata nel 1885 dalla casa editrice Galli, con un impegno sociale polemico e fortemente sentito.
Pur nella diversità dei risultati stilistici, i suoi testi sono caratterizzati sempre da una forte capacità comunicativa, che la tonalità ironica e a tratti sarcastica , così rara nella nostra tradizione letteraria - e quasi inesistente nella produzione delle scrittrici tardo ottocentesche - rende in molti casi altamente originali. Muore a Milano nel 1920.

Le opere

I testi di Marchesa Colombi rivelano una predilezione per le tematiche care al verismo, le quali vengono analizzate in alcuni casi in relazione alle problematiche sollevate dalla nascente "questione femminile" (sono gli anni del primo femminismo): nel romanzo In risaia, per esempio, l’analisi della dura vita dei campi è svolta attraverso la vicenda della protagonista Nanna, che perde i capelli in seguito alle febbri contratte durante la mondatura del riso.
Nelle opere della scrittrice è inoltre centrale il tema amoroso, indagato come caratteristica propria dell’immaginario femminile, motivo che però assume forme diverse in rapporto al contesto sociale in cui è inserita la protagonista: mentre Nanna, contadina, pur non dichiarando esplicitamente il suo amore a Gaudenzio, civetta con lui fino al momento in cui la perdita della bellezza e le offese verbali dell’antico amore non la fanno rinchiudere in un silenzio ostinato e rancoroso, Denza, protagonista di Un matrimonio in provincia, appartenente ad una famiglia proprietaria di terre seppur non benestante, consuma la giovinezza in appassionati "scambi di sguardi" con Onorato, illudendosi di esserne la fidanzata finché il ragazzo invece non sposa un’altra.
Le novelle presentano storie di profili differenti: Scene nuziali, raccolta edita dalla casa editrice Roux e Favale nel 1877, contiene un racconto umoristico e quasi surreale, Un velo bianco, dove il tema della novella sentimentale è riletto attraverso una mordace ironia; una vicinanza ai motivi della Scapigliatura si ritrova invece in Cavar sangue da un muro - presente nella raccolta Racconti di Natale del 1878 - in cui si narra la storia di un anziano emarginato e solo che alla fine vede, durante un accesso di follia, un muro gettare del sangue, o anche in Curare, novella raccolta in Cara Speranza del 1896, che narra la vicenda dello spirito di un uomo, da poco morto, rimasto imprigionato nel corpo ormai cadavere.
Anche nei racconti, inoltre, è possibile rinvenire la costante attenzione della scrittrice per la vita delle donne a lei contemporanee: in Storiella pedante, contenuta nella raccolta Scene nuziali, è presente il motivo tematico della "zitella", che si ripete anche in In risaia e in Un matrimonio in provincia, elemento che testimonia una riflessione non occasionale intorno ai modelli e ai tabù sociali dominanti coercitivi verso il soggetto femminile; nella stessa novella, inoltre, troviamo la figura di Odda, lavoratrice "d’arte" perché pittrice.
Marchesa Colombi è anche raffinata e divertita compositrice di un piccolo galateo, La gente per bene, pubblicato nel 1877, ed autrice di un saggio, Della letteratura nell’educazione femminile, edito nel 1871, che approfondisce la questione della lettura e della cultura come elementi di un percorso di formazione al femminile. Si dedica inoltre alla letteratura per l’infanzia, producendo opere come I più cari bambini del mondo, del 1882, I bambini per bene a casa e a scuola, del 1884, I ragazzi d’una volta e i ragazzi d’adesso, edito nel 1888, e Il piccolo eroe, del 1890.
Per il teatro scrive nel 1882 due testi, La creola, in collaborazione con Eugenio Torelli Violler, e Il violino di Cremona.
Note biografiche a cura di Sonia Riosa, per LiberLiber.

Elenco opere

Cara speranza
La cartella n. 4
La gente per bene
Il libro è suddiviso in sei parti, rispecchianti sostanzialmente il ciclo della vita della donna (si va dalla "bambina", alla "signorina", alla "signora" alla "vecchia"), articolate a loro volta in capitoli che toccano varie altre figure sociali (dalla "sposa" alla "mamma", alla "zitellona").
In risaia
Un matrimonio in provincia
Prima morire
Senz'amore
Serate d'inverno
Tempesta e bonaccia
Romanzo senza eroi
Il tramonto d'un ideale

 
 
 

L'inzògno

Post n°4443 pubblicato il 14 Marzo 2018 da valerio.sampieri

L'inzògno

Si me lo só inzognato, nu' lo sò.
Quelo che m'aricordo è ch'era sera,
stavo spaparanzato lì pe' tera,
nun c'era freddo e stavo cor partò.

P'ogni cosa c'è 'n come e c'è 'n perché.
Lo sai che 'r mónno è tónno, ch'è 'na sfera,
che quann'è notte, divié nera nera.
Che c'entra, me dirai? Mó te dirò!

Er freddo e 'r bujo è la commare sécca,
ch'ariva puro si tu nun ce penzi,
nun devi da ingrugnatte, si te bécca!

Lasseli stà 'sti sogni jettatóri,
gustete quer che t'offreno li senzi,
vivi sereno, fino a cquanno môri.

Valerio Sampieri
14 marzo 2018

 
 
 

La neve a Roma

Post n°4442 pubblicato il 14 Marzo 2018 da valerio.sampieri
 

La neve a Roma

Chissà che c'ha voluto dì oggi Nostro Signore
Rimboccando stà città sotto un lenzolo bianco
Magari l'ha fatto pè coprì pè nà manciata d'ore
Quarche zozzata di cui pure Lui ormai se sente stanco

Come se fa con cristiano senza più respiro
Steso li per terra poveraccio
In un gesto de pietà prima del ritiro
Rigido e freddo come n' pezzo de' ghiaccio

Su quer lenzolo però nun more la speranza
C'ho visto come fiori sboccià mille regazzini
Corese dietro e abbracciasse co' tanta gioia e fratellanza
Immenso amore nell'occhi Sua guardanno quei  meravigliosi giardini.

Paolo Ferraro
febbraio 2018

 
 
 

Ada Negri

Ada Negri (1870-1945)

Ada Negri nacque a Lodi il 3 febbraio 1870. Di famiglia poverissima, il padre manovale e la madre tessitrice in filanda, trascorse gli anni della sua infanzia nel contrasto di ambienti offerto dal palazzo altoborghese dove si trovava l'angusta abitazione della portineria della nonna. Conseguito, a seguito di pesanti sacrifici economici, il diploma di maestra elementare nel 1887, l'anno seguente ottenne l'insegnamento dapprima nella scuola elementare di Motta Visconti e successivamente a Milano. Le prime liriche di Ada Negri apparvero su riviste locali e nazionali tra gli anni 1889-90, ottenendo subito favorevoli critiche, tra cui ricordiamo quella per Gelosia apparsa nel 1891 su "L'Illustrazione italiana" a firma di Raffaello Barbiera e quella per tutte le sue opere, firmata da Sofia Bisi Albini che la definì "poetessa rurale". Ma sarà Fatalità, la prima raccolta di poesie data alle stampe nel 1892 presso l'editore Treves, a conferirle la notorietà e assicurarle unanimi consensi. Sullo sfondo della sua lirica ritroviamo gli esempi di Verga, De Amicis, Stecchetti e della Scapigliatura, ma in primo piano emerge la reazione personale, vigorosa e talvolta incontenuta della Negri al destino immutabile dei poveri e insieme la trasfigurazione del lavoro manuale. I suoi versi caratterizzati da immediatezza di linguaggio esprimevano le lotte del primo socialismo italiano e gli ideali di redenzione sociale in uno stile sonante, spesso incline alla retorica. A Fatalità seguirono poi Tempeste (1895), Maternità (1904), Dal profondo (1910), opere di poesia nelle quali la Negri manifestò, con pari immediatezza e scioltezza formale, sentimenti propri dell'intima vita familiare. Se in precedenza le sue composizioni avevano risentito qualche eco del Carducci e ancor più degli influssi della poesia borghese e scapigliata di Praga, Betteloni e specialmente dello Stecchetti, la nuova fase della sua lirica si orientò di preferenza verso certe forme dell'estetismo dannunziano; ne sono esempio il poema Il libro di Mara (1919) e I canti dell'isola (1924). Negli anni successivi la Negri alternò prose, racconti e versi (Le strade, 1926; Sorelle. Ritratti di donne, 1929; Vespertina, 1930; Di giorno in giorno, 1933; Il dono, 1936; Erba sul sagrato, (1939) nei quali, in virtù di una impostazione vagamente leopardiana e di una interpretazione del dolore umano inserito in una visione cristiana della vita, riuscì a conseguire accenti espressivi di più modulata cadenza, formulati in una misura metrica più equilibrata e di nitida eleganza.

La raccolta Le Strade, composta contemporaneamente a I canti dell'Isola, costituisce quasi un completamento in prosa di quei versi. Una sostanziale uniformità autobiografica e sentimentale unisce infatti queste due opere, al punto che l'una, Le Strade, diviene quasi un'integrazione, un' annotazione chiarificatrice a luoghi, momenti e persone dell'altra. Paesaggi lacustri e montani, Capri e il suo incanto, Milano con i suoi palazzi e le vie cittadine, ritornano qui nella ricostruzione di un percorso intimo e personale che, grazie alla prosa ariosa che mescola elementi visivi e di riflessione a presenze naturali ed a memorie, assume nuove forme poetiche determinando la fisionomia del nuovo autobiografismo della Negri : "... questa trasformazione rappresenta la conquista dell'ultima Negri. La forza di trascinamento con cui agisce sul passato rianimandolo, non solo ricongiunge l'intera materia di un così lungo narrare ma, come un amalgama, procura a un'opera impremeditata il colpo d'occhio dell'organicità -" ( Anna Folli, Penne leggère. Neera, Ada Negri, Sibilla Aleramo, Milano, 2000, p.167) Marino Moretti che conobbe e intrattenne con Ada Negri un amichevole rapporto epistolare, offre con queste parole un ricordo della poetessa legato a La casa nuova: "-Rimasta sola, agitata irrequieta, cambiava spesso di casa. Variano gl'indirizzi in cima alle lettere. Non credo d'esser tornato più d'una volta o due volte nella stessa casa. Le ultime volte che la vidi, fu nel lontano 1920, nel suo salottino di via Guastalla, una nobile via della vecchia Milano, non lungi dal giardino della Guastalla ch'ella frequentava e adorava. La finestra dava sui tetti (anche questi adorava) - diceva che i tetti le avevan fatto amare e conoscere i gatti. -." (Marino Moretti, Il libro dei miei amici, Milano, 1960, p.115).

Scheda tratta dal sito Digitami.

Immagine tratta da: Maria Bandini Buti, Enciclopedia biografica e bibliografica italiana: poetesse e scrittrici (Roma, 1942), vol. 2, p. 67.

 
 
 

Er fiore

Post n°4440 pubblicato il 08 Marzo 2018 da valerio.sampieri
 
Foto di valerio.sampieri

Er fiore

Quer fiore che me dette Nina mia
Senz'abbadà' l'ho preso e l'ho riposto
Dentr'in saccoccia, propiamente accosto
A 'sto cortello, e nun te fo bucìa...

Quanno iersera giù nell'osteria
Io litigai co' Toto Grugnotosto,
Lui che nun sa tenè le mano ar posto
Me dette 'no schiaffone e scappò via.

E io je corsi appresso pe' freddallo,
Ma quanno annetti pe' caccià' er cortello
Trovai quer fiore... possin'ammazzallo!

Nun fui più bono a gnente... embè, indovina?
Er fiore in quer momento de fraggello
Me parve che dicesse: Pensa a Nina!...

Giggi Pizzirani
Da: Quanno Berta filava..., Casa Editrice M. Carra & C. di Luigi Bellini, Roma 1907

 
 
 

Er monumento a Trilussa

Er monumento a Trilussa

Pover'amico mio, chi t'ha stroppiato?
Tu che vivo parevi un monumento,
ner monumento pari un disgrazziato;
tu ch'eri tanto bello, fai spavento.

Io me ce sento rabbia, me ce sento,
de nun poté conosce st'ammazzato
che prima t'ha scorpito a tradimento,
poi mette in mostra er corpo der reato.



Tutto pe sbieco, mezz'a pecorone
lui po' ringrazzià Dio che nun te vedi
arinnicchiato accanto ar fontanone.

Se te vedessi, Tri, nun ciabbozzavi
e benché t'abbia fatto senza piedi,
ma sai li carci in culo che je davi!

Guglielmo Guasta (Il Travaso del 10 febbraio 1958)

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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