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Messaggi del 18/11/2014

Irene di Spilimbergo

Post n°649 pubblicato il 18 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

Irene di Spilimberg, Friulana

Questa donzella, rampollo d’una feudataria famiglia ch’era in grandissima fama non solo per antica nobiltà e per larghezza di patrimonio, ma ben anche per protezione accordata alle belle arti, nacque da Adriano da Spilimbergo e da Giulia da Ponte, veneta patrizia, l’anno 1540. Veggiamo bene spesso che la scuola della sventura opera fortunati successi molto meglio che il sorriso della fortuna; e ciò appunto è quello che avvenne ad Irene. Tenerella rimase orba del padre, abbandonata dalla madre, spogliata de’ suoi averi, cacciata di casa, e buona ventura sua potè essere quella di rifuggirsi presso l’avo materno in Venezia, ove venne istituita al ricamo, alle lettere, alla musica, alla poesia, alla pittura. Di quest’ultima spezialmente si accese, avida di emulare Sofonisba Anguisciola, che allora teneva il campo tra le più famigerate Italiane; ma tanto Irene sforzò la sua debile complessione da contrarre un malore insanabile, di cui restò vittima nel 1559 non essendo ancor giunta al quarto suo lustro. Avea avuto Tiziano a suo precettore; e Apostolo Zeno ci narra di avere letto versi che la discepola gl’indirizzava in pegno di tenera riconoscenza. Giorgio Vasari le tributò i titoli di Vergine bellissima, letterata e musica, e scrisse che a tanta fama salita era da venir celebrata da tutte le penne degli scrittori d’Italia. In effetto Dionigi Atanagi diede l’anno 1561 a luce una raccolta di Rime tutte scritte in suo onore; ed a’ nostri giorni il conte Fabio di Maniago, elegante e diligente illustratore delle arti friulane, scrive che cospicue opere d’Irene serbansi tuttavia tra le pitture più scelte che vantar possa oggidì la patria sua. Ad esso dobbiamo anche lo scoprimento del ritratto della donzella da Tiziano dipinto, di quel ritratto che vide pure il grande Torquato, il quale in un Sonetto esclamò:
 
..... or dipinta (oh nobil maraviglia)
E di cure d’onor calde ed ardenti,
E d’onesti desir par che ne invoglie!

Tratto da: Alcuni ritratti di donne illustri delle provincie veneziane (1826) di Bartolommeo Gamba.

 
 
 

XIV. Borriposo

XIV. Borriposo

CARI AMICI ET NEMICI
NUN CERCATECE PERCHÉ SEMO MORTI
SEGNO DE CROCE DE FORTVNIA
MENICO A. MANO PROPRIA
HOGGI LI DUVE DE SEPTEMBRO
AÑO PESTIS 1658

Buonriposo, in dialetto Borriposo, vien chiamato un latifondo a 27 miglia da Roma sulla via Cecchina - Nettuno. Comprende 480 rubbia di terra un tempo interamente boschiva. Ebbe vari nomi, e lo possedettero le più nobili e celebri famiglie romane; fu un tempo chiamato Castel Verposo, Santa Maria in Verposa, ecc., ecc., ma verso il principio del secolo scorso venne ad un tratto chiamato Buonriposo.
È un piccolo proprietario di Genzano, romano di origine, che spiega perché quel latifondo prendesse la moderna denominazione di Buonriposo.
Orsano
è un grande fosso pittoresco e selvaggio che delimita a sud il confine della tenuta. La iscrizione che riporto, sta graffita sul muro di una povera casetta a Poggio Ginolfo e la trassi dal pregevole lavoro del Degliabati Da Roma a Sulmona.

1.

Nino Grisanti me l'aveva detto,
dice: - Stamme a sentì, nun poi sbajatte,
quanno stai lì davanti ar casaletto
de Borriposo, ce vai propio a sbatte

ar fosso Orsano, ce pij de petto.
Quann'è de marzo, pe de là ce batte,
lo poi dì forte, quarche animaletto,
Tu cerca solo a nun impappinatte.

Scegni, guarda e vedrai na piscinola
ch'è unica a vedesse in der suo genere:
l'acqua, come 'n oriloggio, batte e cola

a gocce a gocce su le toppe tenere
de villutella, e morta se conzola
tra l'ellera, er crescione e 'r capirvenere. -

2.

Faccio 'n tantino de mente locale
e dico: Eh! annamo, la serata è bella...
Guardo er cielo... pareva 'n carnivale,
gni tantino filava quarche stella.

Già annaveno in amore le cicale!
Do 'n bacio a Nena, pijo la cupella,
lo schioppo, du sfumate (1) de majale,
armo er somaro e... alegri, serenella!

Quela strada è 'n giardino! Quarche vorta,
ć'è la macchia, e se sa, pe quanto sia,
quarche sgrassetto, na perzona morta...

Se capisce, mich'è na sagristia,
La macchia è macchia! Ma la gente accorta
accorda la ghitarra (2) e tira via...

3.

Se la magna la strada zì Nicola,
er somarello mio! Ć'à 'n portantino,
che co 'n bicchiere immano nun ce cola,
pieno cormo che sia, 'n goccio de vino!

Te dico che je manca la parola...
Poteva sonà er primo a matutino
e noi già stamio a quela piscinola
der fosso Orsano che diceva Nino.

Lì, quanno scegni, doppo l'accimata,
te trovi immezzo a na battajeria
de scatrafossi (3) drento a na vallata,

ma da fatte strillà: Gisummaria!
L'acqua l' inverno cure indiavolata,
cor piove, rode, sfascia, e porta via.

4.

Ingajardiva la tramontanella
mentre faceva giorno a poco a poco,
Scenno e a ridosso de na macchiarella
pijo du frasche secche e je do foco.

Finita de ballà la tarantella,
è 'r caso, dico, da fà n'antro gioco:
de dà na succhiatina a la cupella.
Magno un pezzo de pane, ć'arioco.

E, capirai! cor freddo e beve e magna,
viè quer calluccio... embè, dico, sor coso,
ve pija 'n tantinello de cecagna... (4)

M'indormo, e tra 'n rumore scivoloso
sento na voce umana che se lagna
sospiranno: - Fratello, borriposo!... -

5.

Grazzie tante - je fo... Ma qui a le corte:
o zì Nicola è quelo ch'à parlato,
o è n'anima ch'à fatto mala morte!
Richiudo l'occhi, e come appennicato,

riecco quela voce! e pe tre vorte!
Ah! dico: fresca! e qui je puzza 'r fiato!
- Che er Signore te pozza oprì le porte
der Paradiso, fijo tribbolato!... -

E de potenza schizzo come 'n grillo
su zì Nicola, e su pe no stradello
pijo la carrareccia, e, manco a dillo

ài visto er fugge de quer somarello!
Che 'r Signore lo pozza benedillo,
je vojo bene peggio che a 'n fratello!

6.

Volevo chiede a quarchiduno vivo:
- Chi è che canta lì sta littania?...
E filo dritto indove che sentivo
batte l'accetta d'una compagnia

che cioccava la macchia...Io ce pativo...
Era puzzona forte sta maggia!...
Trotta, bastona, e in mezzo a queli arivo,
domanno, e sento a dì sta bojeria:

Poggio Ginorfo, dice, è 'n paesetto
che sta sopra d'un monte, a pettorina (5)
in faccia a sole, che pare 'n farchetto.

E lì ć'era na bella Poggiolina,
che l'obbrigorno de sposà 'n moscetto,
co sordi tanti e 'n fiore de cantina!

7.

Fortunia invece lei portava amore,
a core a core de la su casetta,
a Menico, un rigazzo tajatore,
che puro lui campava co l'accetta.

Sposa d'un antro, a quela poveretta
je prese come fusse 'n sopraccore,
che perdeva li senzi e lì interdetta
restava come morta ore e ore!

Viense la peste, che a sentì e' ricconto
de sto fraggello da le genti dotte,
ma te dico che tu rimanghi tonto.

Pe mesi e mesi sani, giorno e notte,
cascaveno a mijara, fatte conto
come fussero state peracotte!

Note:

1) Sfumate, piccole fette di carne affumicata.
2) Accorda la ghitarra, cioè arma il fucile.
3) Scatrafossi, grandi fossi, malagevoli a praticarsi per le corrosioni prodotte dalle acque piovane.
4) Cecagna, sonnolenza.
5) A pettorina, col petto rivolto ai raggi del sole.

Augusto Sindici
Tratto da: "XIV leggende della Campagna romana", Augusto Sindici. Poesie in dialetto romanesco, con prefazione di Gabriele D'Annunzio, Milano, Treves, 1902

 
 
 

Cassandra Fedele

Post n°647 pubblicato il 18 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 
Foto di valerio.sampieri

Cassandra Fedele, Veneziana

Va annoverata tra le italiche donne più dotte e più famigerate. Da originaria famiglia milanese nacque l’anno 1465, e fin da giovanetta sentì molto avanti nelle greche e latine lettere, avendo in ispezieltà le muse latine tanto propizie, che di frequente improvisava versi bellissimi, accompagnandoli essa medesima sulla cetra. La eloquenza, la storia, la teologia, la povera filosofia de’ suoi dì le procacciarono mezzo di rendersi celebre e merita, e lo fu a segno, che giudicata venne emula delle antiche sapienti. Giovanni Bellino fece il suo ritratto in età di anni sedici. Il Poliziano si recò a bella posta in Venezia per conoscerla, confessando poi che rimaneasi in dubbio se a confronto del prodigioso Pico dalla Mirandola dovesse concederle il primo seggio. Voleanla alla loro corte i sovrani delle Spagne Ferdinando ed Isabella, ma la repubblica di Venezia comandò, che la patria non restasse orba di sì strenuo ornamento. Cinta di alloro recitò Orazioni nella Università di Padova, ed altre al cospetto del doge e del senato. Al cospetto di Bona, regina di Polonia, venuta a Venezia, recitò, quantunque in età di 90 anni, tal conclone da meritarsi issofatto lo splendido dono di una ricca collana d’oro; ed altre onorificenze ottenne da re e da pontefici, co’ quali ebbe frequente carteggio. Altro non ci è rimasto di tanto suo sapere se non che qualche Orazione, varie Epistole, e pochi altri frammenti in versi ed in prosa. Ebbe a marito Giammaria Mapelli, medico vicentino, da cui non ottenne mai prole, e con cui passò a vivere per qualche anno in Creta. Rimasta vedova e povera nel 1521, riparossi a’ recessi dello studio e della religione, e fu direttrice di un ritiro ospitaliere a S.Domenico di Castello, sin a tanto che giunse l’ultima sua ora l’anno 1558, contando (secondo lo Zeno in sua lettera all’abate Parisotti del dì 16 luglio, 1740) 93 anni di età. Fu onorata di mausoleo e di elogi da’ suoi contemporanei Barbaro, Sabellico, Augurello. Il francese Thomas, l’italiano Tiraboschi, il nostro Marco Foscarini, l’inglese Roscoe la ricordarono tutti con ammirazione; e Maria Petrettini, nobile corcirese, ne scrisse forbitamente la vita. Da ultimo parlò di lei con patrio entusiasmo la vivente dipintrice ingegnosa delle costumanze veneziane, Giustina Renier Michiel, in una delle briose sue Feste Veneziane.

Tratto da: Alcuni ritratti di donne illustri delle provincie veneziane (1826) di Bartolommeo Gamba.

Cassandra Fedele nacque, probabilmente nel 1465, a Venezia e morì nel 1558. Nata in famiglia aristocratica, i suoi genitori era Angelo o Angiolo Fedele e Barbara Leoni. Nel 1498 sposò Giammaria Mapelli, con il quale ebbe un figlio.

1. Cassandra Fedele, Tomasini, Giacomo Filippo, 1595-1655, ed., Clarissimae feminae Cassandrae Fidelis, venetae. Epistolae et orationes posthumae, nunquam antehec editae (Padova: F. Bolzetta, 1636). Di tale testo è reperibile una versione digitale all'indirizzo http://artflsrv02.uchicago.edu/cgi-bin/efts/textdbs/iww/editionidx.pl?edition_code=E20002-02+OR+E20002-03&showfullrecord=on

2. Cassandra Fedele, Robin, Diana Maury, ed., Letters and Orations (Chicago: University of Chicago Press, 2000)

3. Cassandra Fedele, Oratio pro Bertucio Lamberto (Modena, 1487)

Una biografia in inglese, curata da Jennifer Haraguchi, The University of Chicago, 2003, è al seguente indirizzo: http://www.lib.uchicago.edu/efts/IWW/BIOS/A0015.html

L'immagine del titolo è tratta da: Maria Bandini Buti, Enciclopedia biografica e bibliografica italiana: poetesse e scrittrici (Roma, 1941), vol. 1, p. 258.

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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