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Messaggi del 29/11/2014

La Decarcomania

Post n°698 pubblicato il 29 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

La Decarcomania

La tedesca che canta la canzone
Giù ar caffè nostro, jeri tra le quinte,
Trovò er pajaccio co' le labbra tinte
e biacca, de rossetto e de carbone.

Cominciorno a ruzzà', lui co' le spinte,
Lei co' le sventajate.. ., in concrusione
S'abbraccicorno e lui cor un bacione
Je stampò in bocca le du' labbra finte.

In quer momento arivò' er conte, quello
Cor vetro all'occhio; lei tutta smorfiosa
Annò pe' daje un bacio scrocchiarello;

Er conte allegro je se buttò in braccio,
Baciò la bocca a quela smefolosa,
E restò co' l'impronta der pajaccio.

Trilussa
Tratta da: Quaranta sonetti romaneschi (Enrico Voghera, Roma, 1895)

 
 
 

Tasso madrigali 01-05

Post n°697 pubblicato il 29 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

Cinquanta madrigali inediti del Signor Torquato Tasso alla Granduchessa Bianca Cappello nei Medici, Firenze, Tipografia di M. Ricci, Via Sant' Antonino, 9, 1871. 

I Madrigali alla Serenissima Granduchessa di Toscana

1

Bianca e vermiglia Aurora,
ch' i fior tra l' herba desti
E rendi a sorvolar bramosi e presti
Gl'augelli udendo il mormorar dell'ora.
Sveglia benigna ancora
E'nalza me che son gravoso e frale:
Alto desìo d'onor m'impenna Tale,
Ma senza il tuo bel lume
Di vil notturno augello havrei le piume. 

2

Dal bel seren celeste
L'alba ch'ogni gelato core accese,
A Flora in grembo scese
Nel dolce tempo ch'el terren si veste
D'un ingemmato verde.
Mentre più dolce l'ora
Scherzando il prato infiora e 'l bosco inverde. 

3

Il dì che costei nacque era nel Cielo,
In alta eletta parte,
Giove ch'ardea fra la rugiada e 'l gielo
D'un amoroso zelo et in disparte
Fuggir Saturno e Marte
E fiammeggiar vedea la bella figlia,
L'Aurora in questa più che mai vermiglia,
Al suo Titon furandosi di grembo
Spargea di fiori un bel purpureo nembo. 

4

Luce di raggi incoronato il Sole
E con sua chiara lampa
(Né caldo è in sé) la terra e l'aere avvampa.
Questa di rose adorna e di viole
Col suo lucido sole
Più ch'Alba in sul mattin sempre risplende:
Gelata è pure e tutto il mondo accende. 

5

Del nubiloso velo,
Ch'altrui minaccia horribile tempesta,
All'apparir di questa
Sciogliesi e fassi il Cielo
Più che mai bello in vista e più sereno;
I fior ridenti, a verde herbetta in seno,
Ovunque gira sue luci tranquille
Destansi a mille a mille.

NOTE:

MADRIGALE I. 
Verso 1. - Bianca e vermiglia Aurora, ec. Scrivendo a una granduchessa di Firenze, l'autore comincia a ricordare i colori della impresa granducale, favorendolo pure, nell'allegoria, la combinazione del nome di quella sovrana ed il prisma di luce che fa l'Aurora tingendo argenteo-rossastro il suo orizzonte al primo levarsi. 
Il dar di vermiglia all'Aurora è una proprietà di molti poeti; ed ebbe costantissimo uso il denominarla così il Tasso (Gerusalemme St. 25, Canto VII):

E vede intanto con serene ciglia
Sorger l'aurora candida e vermiglia.
 
Idem nella St. 15, Canto XVIII: 
Fatta già d'auro la vermiglia aurora ec.
 
2. L'invocazione all'aurora benigna alla fecondazione dei fiori, viene espressa pure dal Tasso negli stessi termini del Madrigale in altre sue poesie. Il sonetto Aura ch'or quinci scherzi, or quindi vole, contiene il destar essa ne'prati i vaghi fiori.

3. Sorvolare, cioè volar sopra, volar alto, come nel Vocabolario detto della Crusca con esempio meno antico che il Tasso, che usò ancora questo verbo, e con proprietà più toccante, nella St. 14 del Canto XV della Gerusalemme:

Mentre ciò dice, come aquila 
Fra gli altri augelli trapassar sicura 
E sorvolando ir tanto appresso il sole, 
Che nulla vista più la raffigura, ec.

4. Gl' augelli udendo il mormorar dell'ora, ec. Ricorda l'altro Madrigale del Tasso:

Ecco mormorar l'onde 
E tremolar le fronde 
All'aura mattutina e gli arboscelli; 
E sopra i verdi rami i vaghi augelli 
Cantar soavemente 
E rider l'oriente, ec.

6. Gravoso e frale. L'autore si accusa malato, né vi ha dubbio di ciò. Scriveva nel 1578 in Urbino:

Fugace peregrino,
A queste tue cortesi amiche sponde
Per sicurezza vengo e per riposo.

Indirizzandosi poi all'Ardizio a Firenze nel 1582, gli diceva: Signor Curzio, son molti anni ch'io patisco d'umor malinconico e di frenesia; e così frenetico ho fatto varie sorti di poesia per compiacere agli amici e per servire a'patrroni: ora sarebbe tempo ch'io pensassi a ricuperar la sanità ed a vivere in ozio qualche anno o mese almeno: e questo non mi è conceduto dal comune consentimento del mondo al quale bisogna mostrar la fronte ec. (Epistolario del Tasso; lettera 204). Da dieci anni gli si era suscitata questa malinconia o diciam paura, che lo spaventava sempre la sua incertezza. E' memorabile il testamento ch'egli fece nel 1573 in Ferrara prima della sua andata in Francia; Perchè la vita è frale, ec. (Serassi: Vita del Tasso pag. 151, ediz. di Roma). Non potendone abbandonare il pensiero, questo suo dolore si faceva in lui travedere nella parola e negli scritti. Senza dire che le sue lettere ne son piene, questo frale l'usò cosi spesso in poesia che si trova persino in un sonetto per le rime a P. Angelo Grillo:

La mente in questo grave incarco e frale, ec.

Tuttavia il gentile poeta non dimesse la voglia del continuo fare; né mancò mai a quella sua ambizione di distinguersi. Per il Madrigale presente nel verso 7 Alto desìo d'onor m'impenna l'ale, s'è mostrato da se stesso in parola del bisogno di mostrar la fronte al mondo, come nell'allegata lettera scrisse all'Ardizio.

7. Impennar l'ale, come augello di alto volo, fu ognora il suo desiderio e lo attesta nel sonetto Giovine incauto e non avvezzo ancora, ec. Ma la volontà senza i mezzi non servendo a nulla, chiede 'che la signora Bianca lo irraggi della sua luce e gli dia ausilio a far cosa degna d'alto soggetto.
L'invocazione è senza dubbio alla serenissima Bianca sua vermiglia aurora 
comecché ne sperasse un benigno successo da Lei. E con questa forma la poesia tassiana ne'Madrigali conserva le §ue similitudini usate altra volta, esempio il Madrigale 77 degli editi dal Rosini, ove se ne leva quasi il ritratto della Granduchessa:

Voi rosati e bei labri
E rosate le guancia avete aìicora,
Come vermiglia Aurora,
E dorate le chiome
E bianca sete come U vostro nome.

9. Notturno augello. Conobbi allor che augel notturno al sole, ec Gerusalemme 
St. 46, Canto XIV.

II.

1. Dal bel seren celeste. Potrebbe intendersi dal mare, ma pare che voglia dirla piuttosto provvidenziale, cioè piovuta dal cielo alludendo che il manifestarsi di questa sovrana a Flora, cioè alla Toscana, non fu che un benefizio di tutti. Rianimando colla sua prontezza di spirito ed affabilità somma il granduca Francesco suo marito, ebbe a scrivergli pure il Tasso, che in quella corte, oltre le virtù, che ha seco portate, v'ha ritrovata particolarmente quella che suol favorire gli studi de le belle lettere e de le scienze, amiche dell'ozio e de la tranquillità (Dedicatoria del dialogo del Rangone).

7. Infiora e inverde. Il Tasso nella Gerusalemme, St. 15, Canto XVI:

Così trapassa al trapassar d'un giorno
Della vita mortale il fiore e'I verde.
Né perchè faccia indietro aprii ritorno,
Si rinfiora eUa mai né si rinverde.
Inverdire è nel Varchi nelle Rime pastorali: Ma nel mio Furor, che'twerde più 
quanto più imbianco, ec.

III.

1. Il dì che costei nacque era nel Cielo, ec. Rammenta il sonetto del Tasso: Quel di ch'el nobil parto al mondo nacque, ec. Ma più che altro è una reminiscenza del Petrarca nella Canzone: Tacer non posso e temo non adopre, ec., esaltando il natale di M. Laura.

3. Giove, cioè Cosimo I de' Medici, padre a Francesco allora sposo di Bianca, imperante in Toscana. Ch' ardea fra la rugiada e 'l gielo, come a dire che in tirannia vivesse e in libertà. Infatti, abbenchò sui primi anni del suo governo, non ostante che eguagliasse Tiberio, allontanò il popolo dalle guerre civili riuscendo il fondatore di un nuovo stato che dovea sol compirsi comunità d'Italia. 
L'ardere fra la rugiada el gelo è frase che si riscontra nel Petrarca convertendo l'ardere in fiammeggiare:

Gir per l'aere sereno stelle erranti 
E fiammeggiar fra la rugiada e 'l gelo.

8. Al suo TUon, ec. Modo eccellentemente poetico per ricordare come e per qual modo giungesse in Toscana la Bianca e come l'apparir suo qua fosse ammirato per la superba sua grazia e bellezza. Si può far maggiore omaggio a una gentildonna che in dirle uguale la sua derivazione a quella di Venere o Galatea? 
Nel sonetto: Quando l'Alba si leva e si rimira, ec, il Tasso chiama l'Aurora La bella amica di Titon geloso.

9. Nella Gerusalemme, l'autore chiude la St. 15, Canto XVIII colle stesse desinenze grembo e nembo, dopo aver descritto la vermiglia aurora:

Che sopra al capo suo scotea dal grembo 
Della bell'alba un rugiadoso nembo.

IV. 
4. La terra di rose adorna e di viole è ad imitazione del Fontano e ci suggerisce un luogo di altro Madrigale del Tasso nella raccolta del Rosini:

Rose dico e viole, 
A cui madre è la terra e padre il sole.

7. Dal gelo suscitar il fuoco e trarre le faville dal pianto fu esagerazione del tempo in che si trovò il Tasso. Nella Gerusalemme, St. 61, Canto XX:
Ella si fa di giel, divien poi foco.

Rappresentando Armida in lacrime, St. 76, Canto IV:

Ma il chiaro umor che di sì spesse stille 
Le belle gote e 'l seno adorno rende. 
Opra effetto di foco, il qual in mille 
Petti serpe celato, e vi s'apprende. 
miracol d'amor che le faville 
Tragge del pianto e i cor nell'acqua accende!

V. 
4. Sciogliesi e fassi a noi d'intorno il cielo, ec. Cod. 329 della Classe VII, nella Magliabechiana, pag. XI, presentando altresì l'aggiunta di questi due versi dopo il 5:

Hor questo, hor quel terreno 
Dal suo bel pia calcato si rinverde.

7. Luci tranquille; in altra occasione tranquille ciglia, come nel sonetto Questa 
d'Italia bella e nobil figlia, ec. Ivi:

E col seren delle tranquille ciglia 
Quetar l'ardito franco e 'l forte Ibero. 
E nel Madrigale Anù sei novo ec. 
Al bel seren delle tranquille ciglia.

8. A mille a mille, il medesimo che a migliaia, come anco mille volte il di per cosa innumerabile; latinamente millies. A mille a mille nel Tasso. Vedasi il sonetto: Secco era quasi l'odorato alloro ec. Idem nel sonetto D'aria un tempo nudrimmi: e cibo e vita ec. Idem nel sonetto: Ardeano l tetti: e'I fumo e le faville, ec, 
Idem nel sonetto: La terra si copria d'orrido velo ec. 
 
 
 

Giovambatista Ricchieri (13-16)

Post n°696 pubblicato il 29 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

Giovambatista Ricchieri (13-16)

La Luce.

XIII.

Quando l'alta di Dio Mente infinita
Trasse dal nulla questa mole immensa,
Per avvivar la massa informe e densa,
Creò la Luce, e le dié moto e vita.

Questa è l'alma del Mondo; e insieme unita
Splende nel Sol con viva fiamma intensa:
E quindi agli Astri e al suol i rai dispensa,
E del Fabbro Divin l'immago addita.

Essa dà moto all'acque, al fuoco, a i venti,
Vita alle piante; e dalle sue faville
Traggon l'esser primier tutti i viventi.

Ma poi, raccolta nelle tue pupille,
Vibrò sì luminosi i raggi ardenti,
Che rea si fé di mille morti e mille.



L'Aurora boreale.

XIV.

Per incognita legge di Natura
Ogni corpo è dall'altro attratto, e sente
L'interne scosse allora più violente,
S'egli è minor di mole, e di figura.

Quindi talor parte dell'aurea e pura
Sfera dell'Astro, che fiammeggia ardente,
S'attrae dal nostro Globo, e rilucente
L'aria veggiam nell'atra notte oscura.

Nasce così la boreale Aurora;
Ma non sapea l'antica etade inante
La cagione, onde il Ciel da lei s'indora.

Perciò destrieri, accese travi, e tante
Si figurò vane apparenze allora,
Che il nuovo comparia splendor vagante.



Il Parelio.

XV.

Talor nell'alta region de i Venti,
Onde il sulfureo scende orribil telo,
Vasta nube al rigor di quegli algenti
Immensi vuoti si condensa in gelo.

Ma se percossa è poi da i raggi ardenti,
Si dirada sul ghiaccio un'acqueo velo,
E, riflesso da quel, veggon le genti
Un doppio Sol folgoreggiar nel Cielo.

Così quel vetro, sotto a cui si stende
Bianco metallo, il chiaro opposto oggetto
Riflette, e raddoppiato a noi lo rende.

Che se, Cinzia, lo miri, ivi ristretto
Apparisce il tuo volto, e sì risplende,
Che, ingannando lo sguardo, infiamma il petto.



Il Vento.

XVI.

Credea con folle error la favolosa
Antica età, che orribili frementi
Nel sen d'ampia montagna cavernosa
Eolo fermasse imprigionati i Venti:

E che, aprendosi poi la ruggionsa
Porta, carchi di nembi, e d'ira ardenti,
Portasser guerra alla campagna ondosa,
Tutte ingombrando di terror le genti.

Vane follie! Questo, ove abbiam soggiorno,
Vasto globo su i Poli errando gira,
E là, d'onde partissi, ei fa ritorno.

Or mentre ei va ruotando, ancor s'aggira
L'aria, che immensa a lui s'avvolge intorno,
E a quel rapido moto il Vento spira.

Giovambattista o Giovambatista Ricchieri
Tratto da: Rime filosofiche e sacre del Signor Giovambatista Ricchieri Patrizio Genovese, fra gli Arcadi Eubeno Buprastio (Genova, Bernardo Tarigo, 1753)

 
 
 

Il Dittamondo (1-10)

Post n°695 pubblicato il 29 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO PRIMO

CAPITOLO X

"Se noti ben come le corde tocco, 
tu vedi ch’io son giunto nel ponente, 
a le fin d’Atalante e del Morocco. 
E però che piú lá non truovo gente, 
ritornar voglio in vèr settentrione, 5 
dove lassai Europa in oriente. 
Due Sizie son: l’una in Asia si pone 
sopra ’l mar Caspio, e l’altra si racchiude 
in Europa, ove stanno le Amazone, 
dico da le Meotide palude, 10 
dal Tanai; poi, di verso merigge, 
bagna il Danubio le sue ripe crude. 
Da l’altra parte, che Boreas affligge, 
par l’Oceano coi gioghi Rifei, 
dietro da’ quai mal fa chi vi s’affigge. 15 
Alania, Gozia, Dazia, Iperborei, 
Teroforoni e Arimaspi abbranca, 
Calibi e Dachi. che son crudi e rei. 
Ne l’Oceano, ove la terra manca, 
pare il mar Cronio e quello di Tabí, 20 
isole e genti in cui natura stanca. 
Non è da toso che legga l’a bi 
voler passar per la profonda Sizia, 
ma quale piú fra noi si fa rabí. 
Quivi Propanno e Ipano s’indizia 25 
con altri fiumi e, dove il nome lassa 
di vèr zeffiro, Germania ospizia. 
Due son le Germanie, l’alta e la bassa: 
l’alta il Danubio da levante lega, 
poi dal suo nido in vèr la Trazia passa; 30 
dal mezzodí, la bassa bagna e frega 
il Reno e questo mai non l’abbandona, 
in fin che giunge al mar, in che s’annega. 
Di vèr settentrione la incorona 
e da ponente il grande Oceano, 35 
ch’a tutto il mondo, come vedi, è zona. 
Monte Acuo è qui, che signoreggia il piano, 
non minor di Rifeo, senza alcun fallo, 
benché quel mostri piú solingo e strano. 
Lá è Gangavia, ove nasce il cristallo, 40 
Suezia, Alamania e Graconia: 
assai v’è gente, ma freddo è lo stallo. 
Buemia, Ottoringia e Appollonia, 
Osterich, Soapia, Bavaria e Ulanda, 
Sansogna, Frisia, Utrech e Colonia. 
L’isola è poi d’Inghilterra e d’Irlanda, 
Ibernia, Scozia e, ne l’ultimo, è Tile, 
ché piú gente non so da quella banda. 
Seguita Francia, secondo il mio stile, 
che di verso aquilon la chiude il Reno 50 
e Apennin da levante fa il simile. 
Poi, di verso austro, è monte Pireno 
e, da ponente, il mare di Bretagna; 
Aquitania e Fiandra tien nel seno. 
Rodano, Senna e l’Escalt la bagna 55 
con altri fiumi e gran province serra; 
ricca è molto. E di qui passo in Ispagna. 
Galizia truovo al fine de la terra; 
truovo la stretta, dove Ercules segna 
che qual passa piú lá il cammin erra. 60 
Questa provincia è bella, grande e degna, 
e piú parrebbe, se quel di Granata 
fosse cristiano, che tra questi regna. 
Di verso l’aquilon Piren la guata; 
poi da tre parti per lo mare è chiusa; 65 
in due si parte, tanto è lunga e lata. 
Li maggior fiumi, che il paese accusa, 
sono Tagus ed Iberus e Biti, 
benché forse or tai nomi in lor non s’usa. 
Lusitan vede di Castella i liti 70 
e Maiolica, che nel mare è fitta; 
Portogallo e Ragona par che additi. 
Segue Nerbona per la via diritta 
lungo il Mar nostro, su, verso oriente, 
fin che a Italia Nizza la man gitta. 75 
Italia, con le Alpi, nel ponente, 
de la Magna e di Gallia confina, 
sí che ’l bel petto il lor gran freddo sente. 
E l’un de’ bracci suoi distende e china 
verso Aquilea, nel settentrione, 80 
lá dove Istria e Dalmazia vicina. 
L’altro del corpo, cosce e piedi, pone 
in fra due mari e giunge in fine a Reggio, 
dico tra l’Adriatico e il Leone. 
Dal mar Leone la Cicilia veggio, 85 
il Sardo, il Corso e altre isole molte, 
le qua’ vedrai, se farem quel peleggio. 
Il Po la bagna con le larghe volte, 
Tevere e Arno e piú fiumi reali, 
ch’Apennin versa per le ripe sciolte. 90 
Da quella, dove il braccio par che cali, 
vede Pannonia, ch’a levante stende 
tanto, che a Galazia dá de l’ali. 
Dal mezzogiorno la Grecia prende 
e dal settentrion la chiude e cinge 95 
la Germania e con quella s’intende. 
Mesia il piú di quel paese stringe 
col nome suo, ben ch’ora l’Ungaria 
con maggior fama quivi si dipinge. 
Grecia mi chiama e io fo quella via: 100 
sette province tien, le cinque in terra 
e due dentro al suo mare par che sia. 
Istria, Mesia e l’Egeo mar la serra 
da le tre parti e Tracia vo’ che copoli 
che su, vèr subsolano, un poco afferra. 105 
In Tracia son molti diversi popoli: 
questa con Istro ad aquilon confina 
e da levante con Costantinopoli. 
Cumani truovo in su la gran marina, 
dove il Danubio, over Istro, par ch’entre 110 
per via diserta, lunga e pellegrina. 
Ora, se noti le parole, in mentre 
ch’io ragiono, veder puoi che son giunto 
al mar, che ’l Tanai riceve in ventre, 
e dove l’Asia si divide appunto".

 
 
 

Rime arternate

Post n°694 pubblicato il 29 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

Rime arternate

Si vvôi sapé com'è 'na vita vera,
fatta de ggioia e ppuro de dolore,
tu vedi da trovà modo e mmaniera
d'avecce sempre puro e llindo 'r côre.

Te piace rìde. Come 'na preghiera,
vai sempre a ricercà der bonumore.
'Na bocca ciài che ppare 'na dentiera,
stà ssempre aperta, a ride con amore.

Però, la vôi sapé puro 'na cosa?
Bisogna ride sempre co' mmisura.
La vita, certe vorte, è 'n po' ambizziosa

e vvole avé 'na certa caratura,
così se mette a ffà la dispettosa:
la vita è 'na gran bella fregatura.

Valerio Sampieri
29 novembre 2014

 
 
 

Le corisponnenze amorose

Post n°693 pubblicato il 29 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

Le corisponnenze amorose

Lui se firma Mughetto e lei Viola,
Se scriveno sur fojo, lo so io:
Ma non parlate, pe' l'amor de Dio,
Che me dà' la licenza a la spagnola.

Pagheno du' bajocchi la parola:
Lei ch'un giorno je scrisse: Idolo mio!
Aspetterotti, bacerotti, addio,
Sai quanto spese? Mezza lira sola.

Lui prima annava a casa; dar momento
Ch'er boccio se n'accorse, cominciorno
A daje co' avvisi a pagamento.

E mò' er marito manco se l'immaggina
Che queli dua, co' pochi sordi ar giorno,
Je metteno le coma in quarta paggina.

Trilussa
Tratta da: Quaranta sonetti romaneschi (Enrico Voghera, Roma, 1895)

 
 
 
 
 

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